VATICANO, problematiche sociali. Il messaggio lanciato dal pontefice con la via crucis di ieri: protagonista il mondo delle carceri

Nel corso del rito del venerdì santo, medici e detenuti hanno portano la croce in una Piazza San Pietro deserta. Anziché nel tradizionale scenario del Colosseo, per la prima volta dopo cinquantasei anni a causa della pandemia la celebrazione ha avuto luogo sul sagrato della basilica vaticana

Fin dall’inizio del suo pontificato Jorge Mario Bergoglio ha tenuto conto della condizione dei carcerati e, quest’anno, ha voluto dare voce e forma ai pensieri di questi ultimi.
«In un momento tanto particolare – ha affermato ieri nel corso della celebrazione del rito del venerdì santo -, nel quale il mondo intero combatte la propria via della croce a causa del coronavirus, l’intento delle meditazioni odierne è trasformare la via crucis in una via lucis».
Anziché nel tradizionale scenario del Colosseo, per la prima volta dopo cinquantasei anni a causa della pandemia la celebrazione ha avuto luogo sul sagrato della basilica vaticana. In una Piazza San Pietro deserta, come quella dell’ultima preghiera straordinaria del 27 marzo scorso, quando il papa ha invocato la fine della pandemia in atto.
Il cammino della croce è stato percorso da due gruppi, ciascuno formato da cinque persone: quello della casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova e quello della Direzione Sanità e Igiene del Vaticano. Carcerati, medici e infermieri si sono fatti dunque carico della croce.
Il percorso ha avuto inizio nei pressi dell’obelisco, poi ha girato attorno a esso per otto stazioni, procedendo quindi verso il ventaglio per altre quattro stazioni.
Sotto quest’ultimo è collocato il crocifisso di San Marcello, che è rivolto verso il pontefice, punto nel quale vi è la dodicesima stazione del Calvario. La tredicesima era a metà del ventaglio, l’ultima sopra la piattaforma. L’intero percorso era segnato da fiaccole a terra.
«Raccogliendo l’invito di Papa Francesco, quattordici persone hanno meditato sulla Passione di nostro signore Gesù Cristo rendendola attuale nelle loro esistenze. Tra loro figurano cinque persone detenute, una famiglia vittima per un reato di omicidio, la figlia di un uomo condannato alla pena dell’ergastolo, un’educatrice del carcere, un magistrato di sorveglianza, la madre di una persona detenuta, una catechista, un frate volontario, un agente di Polizia penitenziaria e un sacerdote accusato e poi assolto definitivamente dalla giustizia dopo otto anni di processo ordinario».
Questa la presentazione delle meditazioni della via crucis di quest’anno pubblicate sulla nuova pagina web della Lev, la Libreria editrice vaticana. I testi, raccolti dal cappellano del carcere patavino, don Marco Pozza, e dalla volontaria Tatiana Mario, sono stati scritti in prima persona e intendono dare voce a tutti coloro che nel mondo condividono la medesima condizione, «perché – prosegue la nota – accompagnare Cristo sulla via della croce, con la voce rauca della gente che abita il mondo delle carceri è l’occasione per assistere al prodigioso duello tra la vita e la morte, scoprendo come i fili del bene si intreccino inevitabilmente con i fili del male».
Nell’occasione, il pontefice ha ascoltato le meditazioni con attenzione e raccoglimento tra una stazione e l’altra. Come quella, la prima stazione del Calvario, scritta da un uomo condannato alla pena dell’ergastolo:
«Quando, rinchiuso in cella, rileggo le pagine della Passione di Cristo, scoppio nel pianto: dopo ventinove anni di galera non ho ancora perduto la capacità di piangere, di vergognarmi della mia storia passata, del male compiuto. Mi sento Barabba, Pietro e Giuda in un’unica persona».
Questa via crucis è stata un viaggio intenso tra le grida soffocate dei carcerati e il silenzio assordante di una piazza deserta, un viaggio conclusosi all’ultima stazione, la quattordicesima, nella quale il papa ha preso tra le sue mani la croce consegnatagli da un infermiere.

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