Le parti in conflitto in Sud Sudan hanno concordato la formazione di un governo transitorio di unità nazionale, esecutivo che assumerà pieni poteri il prossimo 22 febbraio.
Lo ha annunciato il presidente sud sudanese Salva Kiir al termine di un incontro avvenuto oggi a Juba con il leader dell’opposizione armata Riek Machar.
Kiir ha inoltre annunciato che oggi lo stesso Machar verrà nominato primo vicepresidente del Sud Sudan, carica che deteneva già prima del conflitto, nel dicembre 2013.
Il 22 febbraio rappresentava il termine ultimo stabilito dai mediatori per giungere alla formazione del governo di unità, una composizione della questione più volte rinviata negli ultimi mesi.
L’accordo di condivisione del potere firmato nel 2018 era stato prorogato per ben due volte, nel maggio e nel novembre del 2019, ritardando così la cessazione formale delle ostilità che, negli anni, hanno provocato 400.000 vittime e milioni di sfollati, portando decine di migliaia di persone alla fame.
Tra le questioni che hanno costituito un maggiore ostacolo al raggiungimento di un accordo figuravano la problematica riunione delle forze armate governative e delle formazioni guerrigliere ribelli in un nuovo esercito unificato di 83.000 soldati, inoltre anche il disaccordo sul numero di stati componenti il Paese, unitamente alla definizione dei loro confini.
E proprio una parte significativa degli aiuti economici internazionali erogati a seguito del raggiungimento dell’accordo di pace sono stati stanziati a copertura delle spese relative all’integrazione, formazione, alloggio e alimentazione degli ex combattenti appartenenti alle forze governative e a quelle dell’opposizione, denaro la cui gestione, tuttavia, risulterebbe poco trasparente.
Infatti, un ulteriore ostacolo all’accordo è derivato proprio dalla mancanza di trasparenza sulle risorse effettivamente pervenute ai fruitori che ne avevano diritto.
Per quanto riguarda invece il numero degli Stati che formeranno il Sud Sudan, essi subiranno una riduzione, passando da trentadue a dieci.
Questo in accoglimento della condizione imposta da tempo dagli ex gruppi armati per il raggiungimento di un accordo, riconfigurazione che introdurrà al contempo tre nuove aree amministrative nelle regioni di Abyei, Ruweng e Greater Pibor.
La formazione del governo di unità nazionale era stata precedentemente prevista nell’Accordo di pace del settembre 2018 siglato dalle parti ad Addis Abeba, in Etiopia.
La scorsa settimana la Comunità di Sant’Egidio ha ospitato la prima sessione negoziale resa possibile dall’entrata in vigore del cessate il fuoco nel Sud Sudan, sulla base di una intesa raggiunta a Roma lo scorso 12 gennaio.
Alle trattative – ha reso noto la comunità cattolica trasteverina – hanno partecipato una cinquantina di delegati in rappresentanza del governo del Paese africano, di tutte le forze politiche dell’opposizione (Ssoma, Splm-Io, Ndm, Opp, Fds) e di alcuni osservatori internazionali, tra i quali l’Autorità intergovernativa per lo sviluppo (Igad), le Nazioni Unite e l’Unione Europea, che prenderanno parte alla verifica e al monitoraggio del cessate il fuoco
In particolare, Ssoma è l’aggregazione che riunisce tutti i movimenti di opposizione che non hanno aderito all’accordo di pace di Addis Abeba.