LIBIA, negoziati di Mosca. Da Putin, Haftar “il temporeggiatore” rinvia a domattina il cessate il fuoco definitivo

Il presidente al-Serraj invece ha firmato subito per la tregua, tuttavia, per l’eventuale pace si dovrà attendere il vertice di Berlino fissato per il 19 gennaio; i sette i punti indicati nella bozza di accordo. Intanto, il capo del governo italiano incontrava Erdoğan ad Ankara e il ministro degli esteri Di Maio si recava a Tunisi dal presidente Saied

Alla fine, a firmare la bozza di accordo per il momento è stato soltanto il premier libico Fayez al-Serraj a capo del Governo di accordo nazionale (Gna), che ha accettato subito la tregua e i sette punti indicati nel documento, mentre il suo nemico, l’uomo forte della Cirenaica Khalifa Haftar, ha   voluto prendere tempo rinviando la decisione a domattina.

Dopo un’intensa giornata di consultazioni propiziata dal presidente della Federazione russa Vladimir Putin e da quello turco Reçep Tayyip Erdoğan – che nel frattempo ad Ankara incontrava il capo del governo italiano Giuseppe Conte -, l’ex generale di Gheddafi oggi comandante in capo dell’Esercito nazionale libico (Lybian National Army, Lna) ha ritenuto opportuno chiedere un rinvio di alcune ore motivandolo con l’esigenza di «valutare» la bozza d’intesa per un cessate il fuoco a tempo indeterminato.

Gli aspetti del vertice moscovita sono stati resi noti dal ministro degli esteri Sergeij Lavrov, che, malgrado le evidenti difficoltà e i ripetuti stop and go di questi ultimi mesi, ha comunque affermato che sono stati compiuti dei «passi in avanti».

«È stato esaminato un documento che dovrebbe rendere possibile la soluzione di questioni specifiche riguardanti il regime di cessate il fuoco – ha proseguito il responsabile della diplomazia russa -, la bozza del documento finale degli incontri di oggi è stata esaminata nel dettaglio ed è stata oggetto di serie discussioni. Possiamo dire di aver compiuto dei progressi».

Lavrov ha quindi concluso assicurando che la Russia e la Turchia continueranno ad assistere le due parti in guerra nell’attuazione degli accordi negoziati.

La tregua, seppure di tanto in tanto violata da sporadici combattimenti, è in vigore dalla mezzanotte di sabato, accettata dai belligeranti su richiesta dei presidenti di Russia e Turchia, il cui ruolo viene riconosciuto esplicitamente nell’intesa.

A Mosca si è recitato un copione ormai noto, con al-Serraj e Haftar – rispettivamente assistiti dal presidente del Consiglio di Stato di Tripoli Khaled al-Mishri e da quello della Camera dei rappresentanti di Tobruk Aguila Saleh – che non hanno avuto contatti diretti tra loro, mantenendo le distanze anche nella comunicazione visiva a uso mediatico.

Nel corso delle non facili trattative, a fare da tramite tra i due nemici si sono prestati i ministri degli esteri e della difesa della Russia Lavrov e Sergej Shoigu, e quelli della Turchia Mevlüt Çavuşoğlu e Hulusi Akar.

Per il momento Haftar non è intenzionato a ritirare le proprie forze dalle posizioni conquistate a seguito dell’offensiva lanciata su Tripoli il 4 aprile e questa sua posizione è stata fissata come condizione nella bozza di accordo discussa quest’oggi.

Essa bozza si basa su una serie di premesse, quali il sostegno alle iniziative di Mosca e Ankara per il cessate il fuoco a tempo indeterminato, l’impegno inderogabile al mantenimento di sovranità, indipendenza, unità e integrità territoriale della Libia, la consapevolezza delle parti in guerra che la crisi possa essere risolta esclusivamente attraverso un dialogo inclusivo intra-libico che ponga urgentemente fine alle sofferenze del Paese e allievi la crisi umanitaria in atto. Infine, essa prevede l’assunzione dell’impegno incondizionato alla lotta senza compromessi al terrorismo internazionale e al traffico di esseri umani.

I sette punti indicati nella bozza di accordo sono i seguenti:

osservare incondizionatamente la cessazione delle ostilità entrata in vigore alla mezzanotte del 12 gennaio scorso;

stabilire le condizioni per assicurare un cessate il fuoco sostenibile attraverso le necessarie misure assunte sul terreno al fine di stabilizzare la situazione e normalizzare la vita quotidiana nella capitale Tripoli e nelle altre città della Libia, ponendo fine a tutti gli atti di aggressione e procedendo a una de-escalation armonizzata delle tensioni militari;

assicurare l’accesso sicuro, la consegna, lo stoccaggio e la distribuzione di aiuti umanitari alle persone che vi necessitano;

designare i membri di una commissione militare 5+5 cos’ come prevista dal piano d’azione della missione delle Nazioni Unite per la Libia (UNSMIL) per determinare contatti diretti tra le due linee del fronte, monitorare l’attuazione del cessate il fuoco e assicurarne la sostenibilità;

designare rappresentanti che partecipino a un dialogo sui diversi piani economico, militare e politico promosso dall’inviato dell’Onu Ghassan Salamé;

formare dei gruppi di lavoro incaricati di elaborare attraverso fasi negoziali le modalità di una soluzione politica intra-libica, la risoluzione della crisi umanitaria e la ripresa economica del Paese;

tenere il primo incontro dei gruppi di lavoro entro il mese di gennaio del 2020 (cioè questo mese).

Tutto questo, ovviamente, dovrà comportare la cessazione della fornitura di armi in violazione dell’embargo internazionale, l’interruzione dello schieramento di truppe turche in Libia (con ogni probabilità un sollievo per Erdoğan e il suo partito politico, l’Akp), il rientro dei miliziani appartenenti alle varie formazioni armate nelle caserme e, inoltre, il disarmo di alcune di queste stesse milizie combattenti.

Importanti aspetti dell’accordo – del quale sono filtrate alla stampa alcune indiscrezioni – riguardano il controllo militare dei siti di produzione di petrolio e gas e il contrasto del fenomeno terroristico jihadista (che verrebbe affidato alle forze di Haftar), mentre il controllo degli approdi marittimi e delle vie terrestri di accesso al Paese nordafricano resteranno soggetti a una supervisione internazionale.

Delle trattative in corso nella capitale russa venivano aggiornati in tempo reale il presidente turco Erdoğan e il capo del governo italiano Giuseppe Conte, quest’ultimo in visita ufficiale ad Ankara per un vertice bilaterale.

I due hanno trovato «piena condivisione sul dossier libico», è un’affermazione del Presidente del Consiglio Conte, che tenuto a sottolineare il proprio ottimismo sull’esito dei negoziati.

Egli ha poi espresso l’auspicio che l’eventuale accordo possa essere la base della Conferenza di Berlino che dovrebbe tenersi il prossimo 19 gennaio.

Rispondendo alle domande del corrispondente di Radio Radicale, Mariano Giustino, Conte ha poi sottolineato come il ruolo o la credibilità di un paese «non si misuri su singoli episodi».

Il capo dell’esecutivo ha voluto precisare che sulla Libia non vi è «una rincorsa a chi fa prima e di più», poiché bisogna lavorare «tutti nella medesima direzione, altrimenti non si va da nessuna parte. Quando si fanno valutazioni su scenari complessi, invito tutti ad avere una visione di prospettiva. Non dobbiamo fare i tifosi da stadio, né fare commenti di piccolo cabotaggio», riferendosi egli in modo particolare alle polemiche seguite al mancato incontro di Roma con al-Sarraj la scorsa settimana.

«Oggi – ha proseguito -, leggo che avrei avuto l’intenzione di far incontrare al-Sarraj e Haftar: questo significa non conoscere i dossier. Non è stato assolutamente concepito nulla del genere, avevo già sperimentato a Palermo la difficoltà di far partecipare le due parti alla stessa conferenza, così come le forti contrapposizioni che si scatenano a livello internazionale».

Per Conte, quella nella capitale turca è la prima tappa di un viaggio in Medio Oriente che si concluderà in Egitto.

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