Di Mario Baldassarri, pubblicato da “Il Sole 24 Ore” il 2 gennaio 2020. Le previsioni sull’economia italiana derivano dal quadro “esterno” internazionale ed europeo e dai provvedimenti contenuti nella legge di bilancio.
Rispetto al quadro tendenziale “esterno”, le stime del Centro studi Economia Reale mostrano che la legge di bilancio produce un impatto del -0,2% sulla crescita del 2020 e un +0,1% su quella del 2021 e del 2022. In totale: “effetto zero sulla crescita del triennio”.
Di conseguenza l’effetto su disoccupazione e occupazione risulta del tutto irrilevante. A fronte di questo “effetto zero” sull’economia reale, si pongono però elementi di rischio in termini di andamento della finanza pubblica.
Il deficit pubblico si collocherebbe al 2,5% nel 2020, superiore all’obiettivo del 2,2%, e scenderebbe sotto il 2% soltanto nel 2022, ma solo perché nel 2021-22 rimangono legge vigente le clausole di salvaguardia per un totale di 47 miliardi di euro.
Senza questo aumento automatico dell’Iva, il deficit pubblico si collocherebbe tra il 3,5% e il 4% del Pil.
Il debito pubblico in valore assoluto, dai 2.361 miliardi del 2019, salirebbe a quasi 2.500 miliardi nel 2022 avvicinandosi ai 2.600 miliardi nel successivo biennio.
In rapporto al Pil il debito salirebbe il prossimo anno al 134,5%, dal 133,2% del 2019 per poi scendere di qualche decimale di punto nel successivo biennio.
Ma anche qui senza le clausole di salvaguardi a per il 2021-22, il rapporto volerebbe verso il 136 per cento.
Rispetto a questo quadro che assegna alla legge di bilancio 2020 appena approvata in Parlamento effetti “reali” pressoché nulli e profili di finanza pubblica fragili e rischiosi, il Centro studi Economia Reale ha valutato gli effetti di una manovra “aggiuntiva” ben più solida e consistente poggiata su due patti economici e sociali.
Per lavoratori e famiglie si propone una riforma Irpef a tre aliquote con riduzioni di imposte sui redditi medio bassi di circa 30 miliardi di euro con pari copertura da ottenere con un taglio delle tax expenditure, da ridurre dagli attuali 80 miliardi a circa 50 miliardi, mantenendo le deduzioni e detrazioni più rilevanti per famiglie e lavoratori.
Per le imprese si propone di ridurre di 30 miliardi i fondi perduti in conto capitale ed in conto corrente destinando queste risorse al taglio del cuneo fiscale delle imprese, magari azzerando l’Irap per 20 miliardi, e aumentando gli investimenti pubblici per 10 miliardi.
Come si vede questi due patti sociali avverrebbero con piena copertura e quindi senza un euro in più di deficit e di debito pubblico.
I risultati ottenuti dimostrano che una manovra di questo tipo darebbe una significativa spinta alla ripresa della crescita e dell’occupazione che avverrebbe con un parallelo riequilibrio della finanza pubblica.
Il rapporto debito/Pil non aumenterebbe nel 2020 e sarebbe uguale a quello di quest’anno per poi ridursi di circa il 2% all’anno in tutti gli anni successivi. È evidente la difficoltà politica di una manovra di questo tipo.
Si tratterebbe infatti di aggredire il Moloch dei 900 miliardi di spesa pubblica totale e quello degli 850 miliardi di entrate totali.
Si tratta cioè di andare contro gli interessi di consorterie, cosche e intrecci corporativi trasversali rispetto a tutte le forze politiche, tagliando gli sprechi e le malversazioni della spesa pubblica e facendo una concreta lotta all’evasione. Certamente però un patto con lavoratori e imprese potrebbe creare il necessario consenso per dare alle forze politiche e al governo il maggiore coraggio che la grave situazione economica, finanziaria e sociale del Paese richiede con urgenza.