Revenge porn, una vendetta che può colpire chiunque. Si tratta infatti della cosiddetta pornografia non consensuale (NCP), che include nel suo ambito anche la sexual extortion.
Spesso le vittime di queste attività criminali sono dei minorenni, che nella metà dei casi giungono addirittura al suicidio.
«Il revenge porn ha raggiunto negli ultimi anni proporzioni allarmanti – ha afferma Roberto De Vita, avvocato e docente attualmente alla presidenza dell’Osservatorio cyber security dell’Eurispes -, i casi di cronaca e gli studi che hanno analizzato il fenomeno della diffusione non consensuale di immagini private a sfondo sessuale a scopo di vendetta rendono la cifra relativa al rischio di una esposizione generalizzata. Nessuno è escluso, dagli adolescenti fino ai rappresentanti delle Istituzioni, passando per personalità pubbliche e per cittadini comuni».
Un fenomeno globale dunque, che dimostra l’estrema fragilità dell’identità di un individuo all’interno dell’ecosistema digitale.
Uno studio condotto nei mesi scorsi negli Usa, presso l’American Psicological Association, ha evidenziato quale sia la diffusione del fenomeno, poiché a essere vittime di attività del genere sono quasi una persona su dieci, con percentuali ancora più elevate nel caso dei minori.
Di queste, come accennato in precedenza, il 51% giunge a contemplare la possibilità di suicidarsi.
Un problema di estrema gravità legato allo sviluppo delle tecnologie del quale ci si inizia a rendere conto.
Al riguardo spiega ancora l’avvocato De Vita: «Il revenge porn è parte di un più ampio fenomeno, quello della pornografia non consensuale, che non necessariamente è connesso a vendette di relazione e che attiene alla condivisione e alla diffusione digitale senza il consenso della persona ritratta, di immagini di carattere sessuale. Immagini riprese consensualmente o volontariamente nel corso di un rapporto o di un atto sessuale, ma destinate a rimanere private o a essere condivise privatamente. Immagini carpite da telecamere nascoste, sottratte da dispositivi elettronici o riprese nel corso di una violenza sessuale».
Nella rete sono attivi numerosi siti web che diffondono pornografia non consensuale, incoraggiando al contempo i propri visitatori a caricare per vendetta fotografie e video intimi dei loro ex partner.
È anche frequente che essi offrano il “servizio” nell’ambito di un forum nel quale gli altri utenti/partecipanti hanno la possibilità di postare commenti dispregiativi o volgari nei confronti delle persone ritratte nelle immagini, che nel 90% dei casi sono donne.
Secondo uno studio svolto negli Usa nel 2014, il 50% delle foto intime sono corredate da nome, cognome e link ai profili social personali, mentre il 20% da indirizzi e-mail oppure numeri telefonici.
Conseguentemente, questo fenomeno è in grado di generare pesanti ripercussioni anche sul piano lavorativo. Secondo degli studi condotti da Microsoft e da Career Builder, circa l’80% dei gestori di imprese fa ricorso a motori di ricerca e a social media al fine di assumere informazioni sui candidati ai posti di lavoro offerti e nel 70% dei casi da queste raccolte ne consegue un’esclusione motivata da una cattiva web reputation di questi ultimi.
Da un altro studio – stavolta pubblicato nel 2019 da Cyber Civil Rights Initiative – si evince che l’8,02% degli adulti intervistati ha riferito di essere stato vittima di pornografia non consensuale. La maggior parte delle vittime (all’incirca il 70% di esse) ha subìto la condotta dell’attuale partner (31,15%) o di un partner precedente (39,75%).
«I dati riguardanti i minori sono ancora più preoccupanti – prosegue il presidente dell’Osservatorio cyber security dell’Eurispes –, anche a causa della crescente pratica del sexting.
L’American Medical Association ha stimato che su 110.380 partecipanti minorenni, rispettivamente il 14,8% e il 27,4% di questi aveva inviato o ricevuto sexts, inoltre, il 12% aveva inoltrato almeno uno di questi sext senza consenso».
In non pochi casi i minori che hanno inviato le loro foto sono stati costretti oppure hanno ricevuto forti pressioni in tal senso.
I risultati di un’indagine del Massachusetts Aggression Reduction Center mostrano invece come al 58% degli intervistati sia capitato di ricevere pressioni per fargli inviare sexts e nella maggior parte dei casi questi episodi sono avvenuti nell’ambito di rapporti stretti.
Mediante l’adozione dell’Anti-Photo and Video Voyeurism Act of 2009”, sul piano normativo le Filippine sono state tra i primi Stati a introdurre una normativa di contrasto del fenomeno.
In Italia soltanto di recente è stata varata una legge che disciplina in modo specifico il revenge porn, lo ha fatto nel quadro del cosiddetto “Codice Rosso”, entrato in vigore il 9 agosto 2019, nel quale ha trovato inserimento il nuovo articolo 612 ter del Codice penale, che sanziona la diffusione illecita «di immagini o video sessualmente espliciti», prevedendo quale pena la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro.
«Da un punto di vista tecnico – ha concluso De Vita –, è possibile avere protezione nei confronti dei fenomeni esposti con una denuncia immediata che attivi l’assistenza di public e private enforcement, rappresentati rispettivamente da reparti specializzati delle Forze dell’ordine come la Polizia Postale e delle Telecomunicazioni, nonché dai consulenti privati che con questi collaborano. Ad esempio, in caso di sextortion, se si è in possesso delle immagini con le quali si sta venendo ricattati è possibile rintracciarle ed eliminarle. Peraltro, collaborando con siti come Facebook o YouTube, è possibile fornire le immagini; in tal modo, conoscendo già l’impronta del file, questi sono in grado di impedirne la pubblicazione prima ancora che avvenga».
I minori sono i soggetti più esposti e vulnerabili, poiché la loro intera vita di relazione è progressivamente strutturata attraverso i social network e costruita attraverso la condivisione di immagini.
Un recente report del Dipartimento di Giustizia statunitense ha evidenziato come il mercato della pedopornografia si alimenti sempre più attraverso le immagini condivise privatamente tra i minori stessi, successivamente diffuse, però, senza il loro consenso, attraverso le immagini rubate ai più giovani o estorte attraverso la sextortion.
Quando questi episodi si verificano, i giovani incontrano maggiori difficoltà nel cercare e trovare aiuto. Spesso – come avviene nei casi di cyberbullismo – tendono a isolarsi celando il problema che li assilla, ritardando così l’attivazione del sostegno e il contenimento tecnico della diffusione, che invece è sempre possibile.
Non è casuale, quindi, che in molti paesi siano attive campagne nelle scuole, finalizzate a una effettiva educazione dei minori al comportamento digitale responsabile, oltreché per informare su come difendersi, reagire e fermare la sextortion – diffusa anche tra minori stessi -, rendendo note le linee di emergenza dedicate ai minori attive in buona parte dei paesi a democrazia avanzata.
L’Eurispes, attraverso il proprio Osservatorio sulla cyber security, ha avviato un articolato progetto di ricerca sul tema, i cui primi risultati verranno diffusi all’inizio del prossimo anno.
di seguito è possibile ascoltare l’audio dell’intervista realizzata da insidertrend.it con il professor Roberto De Vita (A219)