Ormai quello delle indagini su ponti, viadotti e altre infrastrutture è divenuto un filone inesauribile.
Dopo la notizia diffusa nella mattinata di ieri sulle perquisizioni e i sequestri disposti dalla Procura della Repubblica di Genova in ordine alle barriere fonoassorbenti fatte installare a suo tempo dalla Società Autostrade, oggi torna alla ribalta il cedimento della travata del viadotto Madonna del Monte sull’A6 Torino-Savona, disastro verificatosi il 24 novembre scorso che fortunatamente, a differenza del “Ponte Morandi” di Genova, non ha provocato vittime.
Da questa mattina i militari del Nucleo di polizia economico-finanziaria dipendenti dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Savona, stanno eseguendo una serie di acquisizioni documentali presso gli uffici di Autostrada dei Fiori a Torino e quelli milanesi e savonesi della Sina, entrambi società per azioni facenti parte del gruppo Gavio.
Autostrada dei Fiori è la concessionaria del tratto autostradale interessato dal crollo verificatosi nel 2013, mentre Sina si è occupata di eseguire, sempre a far data da quello stesso anno, le necessarie ispezioni periodiche su tutti i tratti dell’arteria viaria precedentemente ottenuti in concessione da Gavio.
Quelle attualmente in corso sono attività disposte mediante decreto dalla Procura della Repubblica di Savona nell’ambito dell’indagine seguita al crollo del viadotto sulla Torino-Savona.
Esse sono finalizzate all’acquisizione dell’intera documentazione relativa al viadotto crollato, quindi quelle inerenti alla sua progettazione, alla successiva realizzazione, alle ispezioni periodiche nel tempo e alle attività manutentive.
Una mole di carte e files che verrà sottoposta a successive analisi, questo anche alla luce delle indicazioni peritali fornite dai tre Ctu (i consulenti tecnici della Procura) che la magistratura competente per lo specifico caso ha nominato la scorsa settimana.
Sulla base degli accertamenti effettuati dapprima dai Vigili del Fuoco intervenuti sul luogo del disastro e, in una seconda fase, dai consulenti del pubblico ministero, la frana del 24 novembre 2019, anche a causa della morfologia del terreno, ha di fatto “scucchiaiato” uno dei plinti del viadotto con il relativo pilone sovrastante, facendo così venire giù la travata.
Quello che gli inquirenti stanno cercando di appurare è se le metodologie e le procedure di costruzione del tempo in cui venne realizzata l’opera fossero idonee a quel tipo di viadotto.
Quel giorno gli eventi climatici furono certamente di eccezionale intensità – come, per altro, sempre più si verifica da qualche anno a questa parte -, tuttavia permane il dubbio su come una massa di fango e acqua, seppure di quella ingente portata, possa avere travolto uno o, addirittura, due plinti con annessi piloni.
Al riguardo va comunque rilevato che è anche vero che i parametri di sicurezza in termini di efficienza delle costruzioni di quaranta anni fa non sono gli stessi di oggi.
Ovviamente, i consulenti incaricati dalla Procura della Repubblica stanno procedendo a tutta una serie di altri accertamenti sulla qualità dei materiali impiegati nella costruzione e sulla conformità dei successivi interventi manutentivi sull’opera.
Allo specifico riguardo va in ogni caso chiarito che al momento non sono emersi collegamenti tra controllante e controllato all’interno dello stesso gruppo societario, tuttavia, allo stato delle indagini è parimenti difficile poter affermare che una frana come quella dello scorso novembre abbia potuto provocare un crollo di un viadotto in totale assenza di responsabilità umane. Solo le attività investigative, forse, potranno fornire una risposta in merito.
A oggi il relativo fascicolo risulta iscritto a carico di ignoti e sul procedimento gli inquirenti mantengono il massimo riserbo e la massima cautela.