VATICANO, il papa in Giappone. Oggi Bergoglio parlerà contro le armi nucleari all’Atomic Bomb Hypocenter di Nagasaki

Le esagerazioni storiche del cardinale Giacomo Biffi e la testimonianza della tragedia di Hiroshima resa da Hubert Schiffer, padre gesuita tedesco scampato all’esplosione della prima bomba atomica

Scrive Andrea Gagliarducci nella nota diffusa quest’oggi dall’agenzia ACI Stampa:

«A Hiroshima negli anni della Seconda guerra mondiale c’era una piccola comunità formata da otto gesuiti. Il loro presbiterio si trovava proprio sul raggio di devastazione della bomba atomica sganciata sulla città il 6 agosto del 1945, ma loro rimasero miracolosamente tutti illesi e attribuirono il miracolo al fatto che vivevano ogni giorno il mistero di Fatima».

La storia dei gesuiti di Hiroshima è una delle tante “storie della bomba” che si raccontano nel flusso di una narrativa densa di devastazione e disperazione, ma anche di speranza.

A Nagasaki – l’altra città bombardata con dagli americani nel 1945, che servì a questi ultimi principalmente per la sperimentazione dell’ordigno al plutonio – rimase intatto il monastero voluto da padre Massimiliano Kolbe, nel frattempo tornato nella sua Polonia per sacrificare la propria vita al posto di un altro internato nel campo di sterminio nazista di Auschwitz.

A New York, all’Onu c’è una statua di Sant’Agnese che proviene direttamente dalla cattedrale di Urakami di Nagasaki, oltre a quella  di una Madonna definita «sopravvissuta» al bombardamento atomico.

Tutte storie che si intrecciano e che troveranno una sintesi quest’oggi, quando il papa si recherà a pronunciare il suo discorso contro le armi nucleari all’Atomic Bomb Hypocenter di Nagasaki, il luogo simbolo all’interno del Parco della Pace.

Nagasaki è la città dove si registra la maggiore presenza di cattolici in Giappone, è lì che trovarono rifugio i cristiani in clandestinità, che tramandarono la loro fede senza sacerdoti, di padre in figlio, fino al 1865, cioè quando poterono professare la loro fede liberamente.

Nagasaki venne colpita dalla bomba il 9 agosto del 1945, tre giorni dopo Hiroshima, scelta all’interno di una “lista dell’orrore” dalla quale a Washington decisero di scartare Kyoto, ritenuta troppo importante sul piano artistico e culturale.

Allo specifico riguardo, il cardinale Giacomo Biffi ebbe a dire che «Nagasaki non fu scelta a caso», ingenerando così il sospetto che fosse stata bombardata proprio perché città cattolica.

«Di Nagasaki –scrisse il cardinale nella sua biografia – avevo già sentito parlare. L’avevo ripetutamente incontrata nel “Manuale di storia delle missioni cattoliche” di Giuseppe Schmidlin, tre volumi pubblicati a Milano nel 1929».

E ancora: «A Nagasaki, fin dal secolo XVI era sorta la prima consistente comunità cattolica del Giappone. A Nagasaki il 5 febbraio 1597 avevano dato la vita per Cristo trentasei martiri (sei missionari francescani, tre gesuiti giapponesi, ventisette laici), canonizzati in seguito da Pio IX nel 1862».

Quindi, proseguì Biffi, «quando riprese la persecuzione nel 1637 vennero uccisi addirittura trentacinquemila cristiani. Poi la giovane comunità visse, per così dire, nelle catacombe, separata dal resto della cattolicità e senza sacerdoti; ma non si estinse».

Ed ecco che nel 1865 «il padre Petitjean scoprì questa “Chiesa clandestina”, che si fa da lui riconoscere dopo essersi accertata che egli è celibe, che è devoto di Maria e obbedisce al papa di Roma; e così la vita sacramentale può riprendere regolarmente. Nel 1889 è proclamata in Giappone la piena libertà religiosa, e tutto rifiorisce. Il 15 giugno 1891 viene eretta canonicamente la diocesi di Nagasaki, che nel 1927 accoglie come pastore monsignor Hayasaka, che è il primo vescovo giapponese ed è consacrato personalmente da Pio XI. Dallo Schmidlin veniamo a sapere che nel 1929 di 94.096 cattolici nipponici ben 63.698 sono di Nagasaki».

Da qui, il prelato che fu presbitero di Alfredo Ildefonso Schuster e, in seguito, arcivescovo metropolita di Bologna, si pose l’interrogativo: «Come mai per la seconda ecatombe è stata scelta, tra tutte, proprio la città del Giappone dove il cattolicesimo oltre ad avere la storia più gloriosa era anche più diffuso e affermato?»

Nagasaki era un obiettivo secondario, poiché il primo obiettivo era la città di Kokura, ma secondo il prelato ci sarebbe stata – forse – della sadica ironia della sorte perché alla fine la scelta cadde su Nagasaki, città dove erano concentrati due terzi dei cattolici in Giappone, i quali, dopo secoli di persecuzione, dovettero patire questo terribile colpo proprio alla fine del conflitto mondiale.

Eppure, quella tragedia di dimensioni gigantesche  incredibilmente lasciò anche delle speranze. Il convento francescano che il sacerdote Massimiliano Kolbe – ucciso ad Auschwitz nel 1941 offrendo la propria vita al posto di un altro prigioniero – aveva stabilito a Nagasaki prima della guerra non riportò danni a seguito del bombardamento.

Kolbe aveva deciso di costruire il convento alle falde del monte Hikosan, chiamandolo Mugenzai no Sono, cioè «Giardino dell’Immacolata» e quando l’ordigno al plutonio esplose distruggendo la città, il convento venne protetto proprio dall’interposizione del rilievo.

Tra gli edifici ridotti in rovine ci fu anche la cattedrale di Urakami, allora una delle più grandi chiese del continente asiatico. Le vetrate si sciolsero a causa dello scoppio di «Fat Boy», i muri crollarono, l’altare si bruciò e le campane si liquefecero, ma la testa di una statua di legno di Maria vergine sopravvisse tra le strutture collassate e le macerie del luogo di culto.

I resti di quella statua oggi vengono conservati all’interno della chiesa, che è stata ricostruita nello stesso punto dove si trovava l’edificio originario, a soli cinquecento metri dal punto di esplosione della bomba.

Tre giorni prima Hiroshima era stata colpita da «Little Boy», la bomba sganciata dal velivolo B-29 «Enola Gay» su ordine impartito dal presidente statunitense Harry Truman, nonostante il fatto che Tokyo avesse già chiesto la resa tramite il governo svizzero. Washington voleva indurre Stalin all’accondiscendenza nella sistemazione postbellica dell’assetto istituzionale globale e così, alle otto e un quarto del 6 agosto 1945 – per i cattolici giorno della Trasfigurazione del Signore – la città venne quasi completamente distrutta.

L’atomica esplose a circa 600 metri al di sopra della città, una gigantesca vampa che vetrificò tutto ciò che incontrò nel raggio di un chilometro e mezzo. Si stima che 80.000 persone persero la vita immediatamente, ma molte altre sarebbero morte nei mesi seguenti a causa delle ferite e degli effetti delle radiazioni.

Sopravvisse però la piccola comunità formata da otto gesuiti che viveva in un presbiterio vicino alla parrocchia, edificio situato a un chilometro dal punto di detonazione, quindi nel pieno del raggio di totale devastazione della bomba. Essi rimasero praticamente e il presbiterio rimase in piedi, a differenza dei due terzi degli edifici della città, che invece erano crollati.

Uno di questi sopravvissuti fu Hubert Schiffer, un gesuita tedesco che nel 1945 aveva trent’anni e che visse fino all’età di sessantatré in buona salute, nel dopoguerra viaggiò per il mondo per raccontare la propria incredibile esperienza

Il 6 agosto, dopo aver detto messa, Schiffer si sedette per consumare la prima colazione, fu allora che vide l’intenso fascio di luce il “gran sole di Hiroshima”. Dato poiché in città erano presenti delle installazioni militari, egli ritenne che potesse essersi verificata una esplosione al porto, tuttavia, quasi subito si rese conto che non era andata così.

«Una terribile esplosione – testimoniò in seguito – riempì l’aria con un tuono rumorosissimo. Una forza invisibile mi sollevò dalla sedia, mi scagliò per aria, mi scosse, mi sbatte e mi fece girare intorno e intorno».

Dopo essere stato sbalzato a terra Schiffer si risollevò e si guardò intorno, ma non vide niente da nessuna parte, poiché tutto era stato devastato.

Il religioso gesuita riportò qualche lieve ferita, tuttavia nulla di serio, e anche dopo essere stato sottoposto ad esami clinici da parte dei medici dell’US Army e da alcuni scienziati (esami effettuati dopo la capitolazione del Giappone seguita dall’occupazione americana) emerse che, né lui né i suoi compagni, avrebbero sofferto di malattie causate dalle radiazioni o dall’esplosione della bomba.

Ovviamente, sia Schiffer che i suoi confratelli gesuiti si dissero convinti di essere sopravvissuti all’esplosione atomica in quanto «vivevano il messaggio di Fatima pregando il rosario ogni giorno» nella loro casa.

A differenza della cattedrale di Urakami a Nagasaki, quella di Hiroshima nel dopoguerra è stata integralmente ricostruita per volere di Hugo Lassalle, un parroco tedesco di Nobori Church, che a stento è sopravvissuto all’esplosione del 6 agosto 1945. Egli ha dedicato la propria vita alla ricostruzione del tempio cristiano, che oggi è divenuta la “Memorial Cathedral for the World Peace”, la cattedrale memoriale per la pace del mondo.

Lassalle volle che l’edificio aderisse ai canoni architettonici giapponesi, prestandosi allo stesso tempo alla funzione di luogo di culto cattolico e di memoriale. È qui, infatti, che ogni anno si celebrano i Dieci giorni per la pace, iniziativa che ha fatto seguito all’appello lanciato da Giovanni Paolo II nel febbraio 1981 nel corso del suo intervento al “Peace Memorial Park” di Hiroshima.

In quella occasione Karol Wojtyla affermò che: «Ricordare il passato è impegnarsi per il futuro. Non posso non rendere onore e plauso alla saggia decisione delle autorità di questa città  secondo cui il monumento in memoria del primo bombardamento nucleare dovrebbe essere un monumento alla pace. Così facendo, la città  di Hiroshima e tutto il popolo del Giappone hanno vigorosamente espresso la loro speranza per un mondo di pace e la loro convinzione secondo cui l’uomo che fa la guerra è anche in grado di costruire con successo la pace. Da questa città e dall’evento che il suo nome ricorda si è andata originando una nuova consapevolezza mondiale contro la guerra ed una rinnovata determinazione ad operare in favore della pace».

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