AFRICA, Mediterraneo. Una possibile agenda comune europea

Gli interessi italiani e quelli europei per una regione importante e allo stesso tempo instabile sono contemperabili? Se ne è discusso in un convegno della Fondazione Craxi al Senato

È possibile un’agenda comune italiana ed europea per il Nord Africa? Possono essere compatibili tra loro i diversi interessi nutriti dai vari Paesi membri dell’Unione europea a fronte dell’attuale situazione di instabilità nell’area rivierasca meridionale mediterranea?

L’Africa settentrionale riveste senza ombra di dubbio un’importanza strategica per l’Italia, che si trova però a misurare le proprie capacità di salvaguardia dei propri interessi nazionali in un contesto altamente instabile caratterizzato anche dall’azione di paesi alleati che non sempre hanno vedute coincidenti riguardo agli sviluppi della situazione nella regione.

Di questo e delle possibili prospettive si è discusso nel corso del convegno “Un’agenda per il Nord Africa”, organizzato dalla Fondazione Craxi, che ha avuto luogo nella Sala di Santa Maria in Aquiro del Senato della Repubblica a Roma il 23 ottobre 2019.

 

Cinque paesi, diversi problemi. Sono numerosi e diversi gli attori del teatro nordafricano, in primo luogo tra di essi figurano gli stati rivieraschi.

L’Egitto, col suo importante ruolo nel mondo arabo e i suoi problemi; la Tunisia, giovane democrazia e fonte di speranza; la Libia (forse sarebbe meglio dire «le Libie»), devastata dalla guerra civile e dal caos, la cui soluzione risulta fondamentale alla stabilizzazione dell’intero Maghreb; l’Algeria, anch’essa insicura e instabile, che deve fare i conti con la propria classe dirigente; il Marocco, baluardo degli Usa, ma traviato anch’esso da non pochi problemi.

Anche Algeri, storica rivale di Rabat, nel tempo è divenuta un’alleata di Washington e, al pari del Regno confinante (contro il quale ha combattuto persino una breve guerra) aderisce alla via della seta cinese.

Quella americana – a dispetto di quanto si immagini riguardo ai disimpegni di Trump – è una presenza militare corposa, in quanto il dispositivo schierato sui territori di quegli Stati ammonta a tremila uomini.

La superpotenza è un attore esterno presente in quei luoghi ormai da anni per contrastare il fenomeno terroristico jihadista e, forse con maggiore impeto, cercare di chiudere più spazi di manovra possibili alla Cina.

 

Mancata integrazione regionale. Il Nord Africa è una lunga e profonda striscia di territorio che al momento non esprime uno stato egemone. Non solo, la regione nordafricana, se si eccettuano le sue ricchezze di idrocarburi e le problematiche dell’immigrazione e del terrorismo che presenta, risulta di importanza secondaria nello scacchiere mondiale, non è così importante negli scenari internazionali.

La regione è tra le meno integrate al mondo, un aspetto che (stime della Banca mondiale) farebbero perdere complessivamente due punti di Pil. Un potenziale mercato di duecento milioni di persone, una economia regionale deteriorata dalla disunione.

Cinque paesi con loro specifiche problematiche urgenti che però necessitano di approcci differenziati se non, a volte, opposti. Questo a fronte di enormi difficoltà nella loro stessa integrazione.

Si tratta di specificità che vanno comprese al fine di rinvenire degli interlocutori affidabili, soggetti con i quali sarà possibile improntare successivamente una strategia per il perseguimento degli interessi nazionali e comuni.

 

Assenza di una visione comune europea. E qui emerge il primo grande ostacolo: l’assenza di una visione comune europea del Mediterraneo e di un piano per il riavvicinamento tra Europa e Africa. Non esiste un’agenda comune europea per la sponda sud del Mediterraneo e quindi chi può agisce da solo anche a danno dei suoi partner. Come sta facendo la Francia in questo momento.

E allora? Allora tutto dipenderà dalle capacità dell’Unione europea di “ripensarsi” e addivenire a una sintesi delle diverse sensibilità dei suoi membri, uscendo da quella condizione che Gianni De Michelis definì il «rattrappimento baltico», infatti, un’agenda comune è sicuramente auspicabile, però non è certamente scontata.

 

Gli attori esterni. L’Africa è uno delle caselle dello scacchiere mondiale dove si gioca la partita tra Usa e Cina per l’egemonia globale. Nella fascia dei Paesi mediterranei Pechino, in diverso modo, ha saputo dimostrare le proprie capacità di penetrazione economica.

Anche la Russia di Putin, oggi non più superpotenza ma riscopertasi potenza “pluriregionale”, è presente nell’Africa settentrionale, dove però ha interessi tutto sommato limitati, che in ogni caso sarebbe soltanto relativamente in grado di tutelare a causa delle sue scarse capacità di intervento.

La dimensione scenografica dell’attuale proiezione di potenza di Mosca sarebbe il riflesso della sua condizione di fragilità strutturale sui piani economico e demografico.

Naturalmente, tra coloro i quali esercitano forti influenze nella regione non va dimenticata la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan,

 

Il necessario cambio di paradigma. Due sono le principali preoccupazioni evocate dal Nord Africa nell’immaginario collettivo italiano: l’immigrazione e l’energia. Temi fondamentali, non c’è dubbio, tuttavia la realtà presenta anche altre opportunità e un approccio diverso aprirebbe scenari di sviluppo.

Ma andrebbero vinte le paure, superando quella visione del Mediterraneo come di un confine per affrontare in modo costruttivo i problemi. In fondo l’idea di Europa nesce nel Mediterraneo, che non deve essere un luogo di paura, qualcosa che riporti indietro di secoli alla logica della battaglia di Lepanto.

Posta al suo centro, l’Italia non dovrebbe calarsi in uno scenario di guerra, di “scontro di civiltà”, ma attivarsi sul piano infrastrutturale per dare impulso alle economie della sponda sud. Infatti, lo sviluppo potrebbe crescere dalla collocazione italiana nella regione, uno sviluppo che contribuirebbe a liberare dal bisogno quelle popolazioni.

Ma da dove ripartire? Certamente dalla cooperazione finalizzata alla stabilizzazione – anche attraverso un “sano” rapporto tra Roma e Parigi -, mediante una forte azione di natura politica e (anche) militare, ovviamente d’accordo con i Paesi e le organizzazioni regionali della sponda meridionale.

 

Tre dimensioni strategiche per l’Italia. Il Mediterraneo riveste almeno tre dimensioni strategiche per l’Italia: migratoria, commerciale, energetica.

L’esternalizzazione della frontiera europea ha costretto l’Italia in una sorta di “limbo” schiacciato tra l’area Schengen e la frontiera esterna dell’Unione europea, con una circolarità dei migranti, che vengono respinti alle varie frontiere interne dei Paesi europei.

Il rischio è quello che il Paese si riduca al rango di clientes, “retribuito” – al pari della Turchia o della Libia – per fungere da gigantesco campo profughi alla periferia del Vecchio continente.

Nell’assenza di una politica migratoria comune europea l’Italia paga lo scotto maggiore.

Dal lato del commercio estero, va rilevato che nel complesso degli scambi a livello internazionale per l’Italia il Nord Africa resta un mercato residuale, tuttavia, si registrano volumi notevoli nel Meridione.

La sponda sud del Mediterraneo costituisce un mercato importante dove, però, l’Italia conta meno della Cina e della Germania.

 

Muta l’equazione energetica. Avviata la transizione energetica – seppure con un battage propagandistico per alcuni molto green washing -, quella italiana resta pur sempre un’economia di trasformazione, priva di risorse energetiche sufficienti al proprio fabbisogno.

Quindi, il Paese è costretto a ricorrere ancora alle fonti fossili, petrolio e gas. Quest’ultima materia prima –  che ha registrato una propria crescita nel mix energetico nazionale – viene importata per un 40% dalla Russia e per un 25% da Algeria e Libia. I due terzi del gas importato viene consumato nelle regioni settentrionali, che dunque, non essendo pienamente soddisfatte dai volumi provenienti dall’Europa orientale, abbisognano di quelli nordafricani.

Ma nel frattempo l’equazione energetica è mutata. È stato registrato un incremento dei consumi elettrici (anche) nei tre paesi produttori della sponda sud del Mediterraneo: Algeria, Libia ed Egitto.

Un aumento dei consumi interni generato dalla crescita demografica, che ha iniziato a incidere, riducendole, sulle quote di materia prima esportabili all’estero. uno dei risultati è stato che la rendita energetica tende a non rispondere più alle necessità reddituali di quelle popolazioni, mentre si rendono necessari e urgenti degli investimenti finalizzati allo sviluppo e alla messa in produzione di nuovi giacimenti.

Contestualmente, nel Nord Europa si assiste a un’alterazione del bilancio energetico. Le risorse del Mare del Nord si vanno progressivamente esaurendo, mentre entro il 2023 cesserà la produzione in Olanda, che produrrà un conseguente gap nei flussi verso la Germania e gli altri paesi dell’Europa centrale e settentrionale.

In previsione di questi cambiamenti la Russia ha raddoppiato le sue condotte, ma la crisi ucraina ha inciso sulla sua reputazione di “fornitore sicuro”, ingenerando incertezze relative alla sicurezza degli approvvigionamenti nei destinatari dei flussi di gas.

Proseguono intanto le prospezioni nell’Artico e le importazioni di gas naturale liquefatto dal Qatar.

In Libia, la messa in sicurezza dei giacimenti da parte del generale Khalifa Haftar ha in qualche modo favorito un leggero incremento della produzione.

Anche in Egitto sono aumentati i consumi di elettricità, tuttavia, una volta estinti i debiti pendenti con le compagnie energetiche grazie al prestito erogato dal Fondo monetario internazionale, gli impianti di produzione sono stati riavviati e oggi, nonostante i forti consumi interni, il Cairo è riuscito a riesportare all’estero piccole quote di gas.

 

di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale del convegno “Un’agenda per il Nord Africa”, organizzato dalla Fondazione Craxi

A201AB – ESTERI, NORD AFRICA: una possibile agenda comune italiana ed europea per la sponda sud del Mediterraneo; convegno organizzato dalla Fondazione Craxi che ha avuto luogo presso la Sala dell’Istituto di Santa Maria in Aquiro a Roma (Senato della Repubblica) il 23 gennaio 2019.
Coordinatore dei lavori: NICOLA CARNOVALE (segretario generale della Fondazione Craxi); introduzione: STEFANIA CRAXI (vicepresidente della Commissione Affari esteri e immigrazione del Senato della Repubblica); DARIO FABBRI (analista geopolitico e giornalista di Limes), il Nord Africa e la destabilizzazione libica; PAOLO PIRANI (segretario generale Uil Tec), il Nord Africa e le opportunità di sviluppo per il lavoro italiano; MAURIZIO MELANI (professore straordinario di Relazioni internazionali alla Link Campus), politiche euro-mediterranee: da dove ripartire?; S. E. MOEZ SINAOUI (ambasciatore di Tunisia a Roma), visioni dal Nord Africa; FABRIZIO MARONTA (analista geopolitico e giornalista di Limes), l’interesse italiano e i rapporti con i partner europei; MARGHERITA PAOLINI (coordinatrice scientifica di Limes), la partita energetica nel contesto regionale; MARCO DI LIDDO, Nord Africa e problematiche poste dall’immigrazione.
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