AFRICA, Etiopia. Premio Nobel per la pace al giovane primo ministro Abiyi Ahmed Ali

Prima guerrigliero nel Fronte Oromo, quindi una carriera folgorante nell’intelligence. Oggi «Abiyot», divenuto primo ministro, nonostante i limiti, dovrà perseverare nel contribuire all’opera di stabilizzazione del Paese e della regione del Corno d’Africa. I meriti per la pace con l’Eritrea

Quest’anno il premio Nobel per la pace è stato conferito al primo ministro etiopico Abiyi Ahmed Ali.

Il quarantatreenne Abiyot (è il suo soprannome, che tradotto significa «rivoluzione»), appartenente alla comunità Oromo – un tempo all’opposizione nel Paese – e scampato a due attentati, alla guida dell’Etiopia da un anno è riuscito a fermare la guerra.

Giunto al potere nell’aprile 2018 in una Etiopia in stato di emergenza nazionale dopo le dimissioni del suo predecessore dimissioni di Hailemariam Desalegn, Abiyi si è rivolto subito alla sua gente affermando di voler lavorare a uno sviluppo inclusivo e promuovere un processo di riconciliazione nazionale coinvolgendo l’opposizione, inoltre di essere fermamente intenzionato a costruire delle relazioni diplomatiche pacifiche con la confinante Eritrea.

Una serie di risultati molto ambiti, espresso chiaramente nel corso del suo discorso di insediamento alla carica pronunciato ad Adis Abeba, parole che avevano ingenerato forti aspettative tra la popolazione.

«A tutti gli etiopi – aveva infatti detto -, sia quelli che vivono all’estero che quelli che vivono in patria, dico che occorre perdonare».

Il perdono, primo passo indefettibile alla costruzione della pace. Infatti, Abiyi viene descritto come uomo di dialogo, di confronto, lavoro sotterraneo, l’esatto opposto di una figura di rottura e dirompente. Nato in una famiglia oromo di religione mista, è cresciuto con i nonni musulmani e cristiani.

A quattordici anni si è unito alla guerriglia per combattere contro il governo comunista del Derg Mengistu Hailé Mariam, entrando a far parte di in una piccola formazione armata della galassia oromo coordinata dai ribelli tigrini.

Arruolatosi poi nell’esercito (a quel tempo le forze armate etiopiche erano le più potenti dell’Africa nera) ebbe l’opportunità di studiare l’informatica e la crittografia.

Dopo la caduta di Mengistu proseguì la carriera militare applicandosi agli studi sul dialogo, di strategia di de-escalation dei confronti violenti e sulle comunicazioni e la cyberwar, prestando anche servizio nell’intelligence.

In seguito, nell’ambito della missione Onu venne inviato nel Rwanda del post-genocidio e, successivamente, al confine tra Etiopia ed Eritrea.

Un incarico delicato gli venne conferito quando, sempre in qualità di ufficiale dell’esercito, lo inviarono nella sua città natale allo scopo di cercare di porre termine ai violenti scontri interreligiosi che contrapponevano cristiani e musulmani.

Riuscì ad appianare tensioni e violenze, ritagliandosi un ruolo di mediatore che sarebbe stato chiamato a interpretare negli anni a venire.

Nel 2007 figurò tra gli organizzatori dell’Ethiopian Information Network Security Agency (Insa), di cui fu subito vicedirettore e in seguito, dal 2008 al 2010, direttore.

La sua figura si era attratta critiche e appunti fin quando era circolata la voce di una sua possibile candidatura alla premiership, in quanto ritenuto eccessivamente legato all’establishment politico-militare al potere in Etiopia dopo la caduta del Gerd, un gruppo che aveva chiuso ogni spazio ad altre forze, critiche che tuttavia sono cessate dal momento della sua effettiva assunzione dell’incarico.

Egli nei primi cento giorni di premierato ha impresso una svolta radicale alla politica estera di Adis Abeba, raggiungendo un accordo di pace con l’Eritrea fortemente voluto, al punto da recarsi in visita ufficiale all’Asmara e tendendo simbolicamente la mano a Isaias Afewerki, da decenni autoritario leader eritreo.

Sul piano interno, invece, ha posto fine allo stato di emergenza nel Paese disponendo la liberazione di migliaia di prigionieri politici, ha eliminato la censura che da anni era in vigore, legalizzando numerosi gruppi dell’opposizione che in precedenza erano costretti alla clandestinità.

Si tratta di passi nella direzione dell’auspicata garanzia dei diritti umani (è, ad esempio, tuttora in vigore la “stringente” legge antiterrorismo) e della libertà di espressione politica in un paese ancora segnato dal confronto etnico, circondato da altri enormi focolai di instabilità quali la Somalia, il Sudan e per certi aspetti anche la stessa Eritrea.

Restano le tensioni con l’Egitto e il Sudan a causa della enorme diga in fase di realizzazione sul fiume Nilo, che quando sarà attiva garantirà all’Etiopia notevoli capacità nel settore dell’elettrogenerazione, ma al costo di porre in una condizione di stress idrico i paesi a valle dell’impianto.

È qui che i tre paesi interessati dovranno proseguire nel dialogo diplomatico e tecnico per addivenire a una soluzione condivisa della grave controversia.

Ma, soprattutto, ha avviato una rivoluzione sociale e dei costumi nel Paese, conferendo a non poche donne incarichi dirigenziali in posti chiave dell’amministrazione, come quelli apicali della presidenza della repubblica e della corte suprema, nonché a capo del ministero della difesa.

L’economia etiopica, che prima della crisi finanziaria del 2008 era cresciuta a ritmi turbinosi, oggi si attesta al 7% cerca di attrarre investimenti dall’estero, in particolare finalizzati alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali come dighe, strade e ponti.

Tuttavia, va riscontrata il perdurante squilibrio nella redistribuzione della ricchezza prodotta nel Paese, che presenta ampie sacche di povertà, con milioni di persone che sopravvivono con meno di un dollaro al giorno e un elevato tasso di disoccupazione giovanile, fenomeno registrato principalmente nei maggiori centri urbani. Tutti fattori potenzialmente destabilizzanti sui quali dovrà lavorare il primo ministro per evitare l’implosione sociale del suo paese.

Commentando l’assegnazione del premio Nobel, Abiyi ha affermato che si tratta di «una vittoria collettiva dell’intero popolo etiope, ora facciamo dell’Etiopia un nuovo orizzonte di speranza, un paese prospero per tutti».

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