INTELLIGENCE, Russiagate Italia. I risvolti politici di un caso controverso: Conte ha strumentalizzato i servizi segreti?

È bufera sui servizi segreti italiani e anche il capo del governo viene trascinato nella polemica, accusato di uso politico dell’intelligence di Stato. Egli avrebbe autorizzato due incontri degli agenti dei Servizi con gli uomini di Trump per passargli dei documenti compromettenti sulla Clinton. Ma intanto il Paese vive una fase di incertezza, col Copasir che non può riunirsi

Servizi segreti di nuovo nella bufera, stavolta si tratta di un’appendice della controversa campagna elettorale per le presidenziali Usa di Donald Trump, in particolare delle e-mail (messaggi di posta elettronica) dell’allora Segretario di Stato dell’amministrazione democratica presieduta da Hussein Barack Obama, cioè dalla ex first lady Hillary Clinton.

Nel caso di specie, avrebbero –  condizionale d’obbligo – partecipato al tentativo di condizionamento dell’ultima campagna elettorale per le presidenziali americane mediante la fornitura di documentazione “compromettente” per la candidata democratica avversaria del tychoon repubblicano che poi avrebbe vinto insediandosi quindi alla Casa Bianca, le famigerate e-mail di Hillary Clinton.

I fatti. Nell’aprile 2016 il controverso professor Joseph Mifsud, cittadino maltese coniugato con una italiana che collaborava con la Link University of Malta di Roma, stabilito un contatto con George Papadopulos, uomo dello staff di Trump, avrebbe rivelato a quest’ultimo l’esistenza di migliaia di messaggi di posta elettronica riconducibili alla Clinton indicati come «compromettenti» che erano stati acquisiti dall’intelligence russa.

Materiale che se scientemente utilizzato nel durissimo confronto tra i due candidati alla Casa Bianca avrebbe potuto costituire una carta vincente nelle mani dei repubblicani.

A quanto pare, il controverso professore maltese – in seguito misteriosamente scomparso – venne però considerato un agente provocatore.

A questo punto il quadro diviene sempre meno chiaro, poiché non è appurabile se questa documentazione potenzialmente compromettente – che si sarebbe tentato di mettere nelle mani dello staff di Trump per poi incastrarlo in qualche modo – provenga davvero da agenti provocatori (britannici e italiani) magari direttamente da qualche manina di settori dell’allora amministrazione democratica a fine mandato, quella presieduta da Barack Hussein Obama.

Insomma, un vero e proprio “pacco” (esplosivo però) che sarebbe transitato anche dall’Italia.

Ed ecco i due incontri segreti che sarebbero avvenuti tra esponenti dell’amministrazione Usa ed elementi dei servizi di intelligence italiana, uno dei quali – quello al quale si attribuisce l’autorizzazione, se non addirittura l’organizzazione, a Palazzo Chigi – risalente all’agosto scorso, proprio nella fase più calda (e non soltanto climaticamente) della vita politica italiana.

Infatti, a cavallo di ferragosto il Paese era nel pieno di una fase di incertezza politica, con il governo Conte 1 – quello espressione della maggioranza formata dal Movimento 5 stelle e dalla Lega – sul punto di cadere a causa di una crisi aperta dai comportamenti concludenti del leader leghista Matteo Salvini, seppure ancora non formalizzata ufficialmente.

E qui si collocherebbe l’uso strumentale dei servizi segreti da parte del Presidente Conte ai fini della propria sopravvivenza politica, nel quadro più ampio e repentino del parziale riposizionamento sia in politica estera che con riguardo alla vexata quaestio del programma di acquisizione e schieramento in linea dei nuovi caccia F-35 da parte di Aeronautica e Marina militari.

Purtroppo al momento non si ha contezza di dove questo incontro abbia avuto luogo, di cosa abbiano eventualmente parlato le persone che vi avrebbero partecipato e, infine, se dei documenti più o meno compromettenti siano davvero passati di mano.

Un reciproco complotto che tuttavia ha fatto divampare la polemica sul capo del governo e sul suo controllo sui servizi di informazione e sicurezza, con Matteo Renzi – leader della neonata formazione politica di centro distaccatasi dal Partito Democratico alla ricerca di visibilità – che ne ha immediatamente approfittato per sparare a zero su Giuseppe Conte, chiedendo la revoca della delega sui servizi segreti conferita a quest’ultimo.

Renzi afferma che in quella delicata casella della struttura dello Stato sarebbe meglio che ci fosse un professionista del settore, mentre dal canto suo, il Presidente del Consiglio continua a difendere i vertici dell’intelligence dalle accuse e dalle critiche.

Lo fa però in modo maldestro, avvitandosi in uno scoordinato balletto di dichiarazioni non del tutto collimanti fra loro.

Infatti, dapprima Palazzo Chigi nella giornata di domenica emette un comunicato ufficiale nel quale si dichiara che la vicenda altro non era stata se non «uno scontro intestino ai sevizi segreti come in passato spesso era avvenuto», poi lo stesso Conte prende le distanze da questa dichiarazione, negando inoltre che il primo incontro abbia avuto luogo all’interno dell’Ambasciata statunitense a Roma, senza comunque rivelare ulteriori particolari in merito.

È difficile ricostruire anche soltanto parzialmente questa oscura vicenda, poiché i margini di incertezza e l’immagine di instabilità manifestata dal Paese influiscono sulla rappresentazione dei fatti.

Esistono dei personaggi ignoti o poco conosciuti, c’è (o meglio, non c’è più perché è scomparso nel nulla) uno degli artefici dell’operazione, quel professor Misfud che insegnava in una università privata dove molti funzionari delle Forze dell’Ordine e dell’intelligence hanno partecipato in varie vesti a corsi di formazione tenuti al suo interno.

Quella Link University che vede al proprio vertice Vincenzo Scotti, ex parlamentare democristiano della corrente gavianea che ricoprì anche la carica di ministro dell’Interno dal 1990 al 1992 nel governo Andreotti.

La polemica divampa alimentata dalle inesorabili dinamiche politiche del momento, a tratti fratricide, ma in assenza di un organismo deputato all’esame della vicenda che ne è alla base.

Il Paese attraversa una delicata fase caratterizzata dall’impossibilità di demandare l’intera questione al Copasir, cioè all’organismo parlamentare di controllo sui servizi di informazione e sicurezza competente ad affrontarla, poiché esso non è attualmente in condizioni riunirsi a causa della vacatio del suo elemento di vertice. Infatti, Lorenzo Guerini, il suo ultimo presidente fino al 4 settembre scorso, ha assunto in seguito la carica di ministro della Difesa e, conseguentemente, per farlo funzionare se ne dovrà attendere la nomina di quello nuovo.

Una figura istituzionale di fondamentale importanza che spetta all’opposizione, un fronte politico che per il momento su di essa non ha tuttavia ancora raggiunto una intesa.

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