TERRORISMO, minaccia jihadista all’Italia (1). Gabrielli rinnova l’allerta: «Mantenere alta la guardia»

«Il Paese vive una condizione di minaccia immanente e non imminente, una situazione nella quale dobbiamo mantenere la guardia molto alta». A tre mesi dalle festività natalizie, puntuale ritorna la principale preoccupazione degli italiani in materia di sicurezza

È di pochi giorni fa l’accoltellamento di un militare in servizio davanti alla stazione centrale di Milano, responsabile un uomo di origini africane. Mesi prima, sempre in Lombardia, era stato arrestato un cittadino italiano figlio di immigrati di origine marocchina, il giovane aveva avviato il suo processo di radicalizzazione in questo Paese per poi completarlo in Germania.

Nel primo caso, ad agire è stato un soggetto sostanzialmente imprescindibile da logiche di carattere preventivo, un «lupo solitario» in tutto e per tutto.

Nel secondo, invece, si è trattato di una persona sulla quale è stato possibile intervenire prima che compisse atti terroristici proprio perché le strutture di sicurezza italiane si sono trovate nella condizione di agire venendo a conoscenza delle potenzialità e dei propositi del giovane jihadista.

Negli ultimi anni le modalità di azione dei terroristi sono mutate, un fenomeno accentuatosi a seguito della sconfitta militare di Islamic state in Iraq e Siria, quando i reduci del sedicente califfato, a fronte del deperimento delle loro capacità sul piano militare, si avvalsero maggiormente dell’unico strumento che gli rimaneva disponibile per affermare la propria identità: il terrorismo.

La mutazione ha investito sia le forme di affiliazione sia le capacità di impiego dei militanti – esecutori materiali delle azioni non più necessariamente collegati a un’unica centrale strategica -, nonché le regole di ingaggio.

L’esasperazione dell’asimmetricità del confronto è stata la caratteristica principe documentata da qualche anno a questa parte dalle attività degli jihadisti, che tendono a rendere la prevedibilità delle loro azioni terroristiche a zero mediante il drastico abbattimento dei tempi intercorrenti tra la fase del concepimento dell’attacco e quella della sua materiale realizzazione, rendendo in questo modo estremamente difficile se non addirittura impossibile un intervento in funzione di contrasto preventivo.

Si pensi all’attentato compiuto a Stoccolma, dove il furgone utilizzato dai terroristi era stato rubato quando era in sosta, mentre il proprietario, un autotrasportatore, era intento a consegnare della merce a un esercizio commerciale. Dieci minuti dopo quello stesso veicolo sarebbe stato lanciato a forte velocità contro la folla.

Nel quadro della prevenzione si pone dunque sempre di più il problema di come contrastare prima della sua esplicazione concreta la minaccia nei termini della sua spontaneità.

Accanto agli attacchi a prevedibilità zero, i gruppi jihadisti continueranno comunque a concepire e a organizzare anche attentati maggiormente strutturati, come quelli in passato compiuti a Londra e Manchester.

Per ridurre al minimo la minaccia terroristica sono necessarie capacità nei settori dell’intelligence, della prevenzione e della prevenzione, unite a un capillare ed efficace controllo del territorio.

Quest’ultimo elemento non può prescindere dal contributo apportato dalle comunità islamiche presenti in Italia, frutto dell’instaurazione di un rapporto positivo con esse nell’ambito di una concreta politica nazionale in materia di immigrazione, poiché altrimenti si renderebbe necessaria una totale blindatura del Paese.

Risale soltanto a due giorni fa l’ultimo intervento pubblico sull’argomento del capo della Polizia. Avvicinandosi il periodo delle festività natalizie, durante il quale il livello di all’erta attentati aumenta, parlando alla stampa il prefetto Franco Gabrielli ha ricordato di avere già emanato, prima dell’attentato di Strasburgo, disposizioni per il potenziamento dei controlli antiterrorismo su tutto il territorio nazionale.

«La minaccia è costante – ha affermato – ed è una condizione che ci è data di vivere in questi anni, tuttavia non è imminente. Ci sono soggetti in giro per il mondo che vogliono fare danni e ci sono anche in Italia. Ma esiste anche, come dimostrano le operazioni di Macomer e Bari, la capacità degli apparati di rispondere alla minaccia».

Sempre secondo Gabrielli, queste capacità avrebbero trovato conferma nelle 259 espulsioni disposte dalle Autorità di polizia a partire dal gennaio del 2015 a oggi, nonché negli arresti di oltre 170 persone accusate di reati connessi col terrorismo internazionale.

«Il Paese – ha concluso il prefetto – vive una condizione di minaccia immanente ma non imminente. È una situazione, come vado ripetendo da tempo, nella quale dobbiamo mantenere la guardia molto alta. Non dobbiamo amplificare nulla ma nemmeno sottovalutare nulla. La condizione è la stessa vissuta in questi ultimi anni».

(1 – continua)

Condividi: