Si andrà al ballottaggio e il confronto nelle urne sarà tra un docente universitario, Kaïs Saïed, e un tychoon attualmente in carcere, Nabil Karoui. Questo l’esito del primo turno elettorale per le presidenziali in Tunisia, che hanno visto i sondaggi risultare completamente errati.
In Tunisia si è votato per l’elezione del presidente della repubblica, carica vacante dopo la scomparsa di Mohammed Beji Caid Essebsi, deceduto il 25 luglio scorso.
Queste seconde consultazioni elettorali rappresentano un passaggio importante per la fragile ma tenace democrazia nordafricana. Si è trattato di un voto a suffragio universale diretto alla quale avevano diritto poco meno di otto milioni di cittadini.
Questa mattina, ancora prima dell’apertura dei circa 13.000 seggi distribuiti su tutto il territorio nazionale, molte persone erano già in fila in attesa di poter esprimere la loro preferenza, tuttavia, alla chiusura – alle ore 18:00, le 19:00 in Italia – l’affluenza registrata è stata debole, il 45% del totale degli aventi diritto.
Ventisei i candidati, che avrebbero dovuto ottenere almeno il 50% e un voto dei consensi, altrimenti tutto sarebbe slittato – come in effetti è poi avvenuto – al secondo turno, un ballottaggio da fissare in una data che non vada oltre il 13 ottobre, quindi dopo il primo turno delle legislative indette per il 6 ottobre.
Se gli exit pool non verranno stravolti da risultati diversi, a confrontarsi saranno appunto Kaïs Saïed e Nabil Karoui.
La situazione nel Paese è molto delicata, poiché attraversa una fase di transizione democratica che, iniziata tra molti travagli nel 2011 con la cosiddetta «Rivoluzione dei gelsomini», non è però ancora del tutto completata.
C’è un vuoto istituzionale, poiché si attende l’elezione dei deputati al parlamento, mentre la corte costituzionale non ha raggiunto la completezza dei propri membri a causa dei veti incrociati tra i partiti politici.
Infine, all’incertezza politica che pervade il Paese si aggiunge una precaria condizione di sicurezza derivante dal terrorismo di matrice islamista e dalla situazione di crisi alla frontiera con la Libia, in guerra praticamente dai tempi dell’attacco occidentale a Gheddafi.
In tale quadro le scelte degli elettori saranno dunque indice dei possibili scenari politici futuri, e il capo dello stato che essi sono stati chiamati a eleggere, assumerà giocoforza un ruolo di estremo rilievo, ponendosi come necessaria figura di riferimento.
Dai sondaggi e dalle analisi dei politologi si attendeva un voto di protesta, espressione del sentimento “anti-sistema” già manifestato in precedenza alle elezioni municipali dello scorso anno, quando si affermarono i partiti indipendenti e venne registrata una sensibile flessione di Nidaa Tounes e di Ennahda, quest’ultima, formazione di orientamento islamista moderato monitorata con attenzione nel mondo arabo.
Era comunque difficile avventurarsi in previsioni riguardo all’esito delle consultazioni di ieri, poiché gli ultimi sondaggi effettuati risalivano a prima dell’estate, e allora a venire dati come favoriti furono appunto quelli indicati delle formazioni politiche anti-sistema.
Principalmente tre, e tra di essi quelli che sono stati più votati, rispondono ai nomi di Nabil Karoui, il magnate dei media attualmente detenuto nel carcere di El Mornaguia con l’accusa di frode ed evasione fiscale e di Kais Saied, il costituzionalista indipendente.Infine c’era il leader del Partito desturiano libero Abir Moussi.
Il proprietario dell’emittente televisiva “Nessma TV” – personaggio con interessi economici in Francia e nel Golfo Persico – era stato arrestato il 23 agosto sulla base di una denuncia avanzata tre anni prima dall’organizzazione “I Watch”.
Va detto che sia Karoui sia la Moussi hanno subito l’ostracismo delle forze politiche tradizionali, che in giugno hanno tentato di ostacolarne l’ascesa mediante l’introduzione di varianti alla legge elettorale vigente che avrebbero escluso Moussi a causa del conflitto di interessi, mentre il partito della Moussi in quanto filiazione del regime prerivoluzionario di Ben Ali.
Modifiche della legge elettorale approvate in prima istanza dall’Assemblea dei rappresentanti del popolo ma mai controfirmati dall’allora presidente Essebsi.
Le tematiche ricorrenti in questa campagna elettorale sono state improntate alla retorica dell’assistenzialismo (indirizzata verso le fasce più povere della popolazione), sul disordine dell’attuale assetto tunisino derivato dall’evoluzione sociale e politica seguita alla rivoluzione e dal giustizialismo di matrice conservatrice.
Due le donne candidate alla presidenza della Repubblica: Abir Moussi e Salma Elloumi Rekik, quest’ultima già ministro del turismo e capo del gabinetto presidenziale.
Un’altra incognita sul futuro della Tunisia insita in queste disertate elezioni presidenziali è quella sul posizionamento del Paese nello scenario internazionale, che verrà chiarita soltanto all’indomani dell’ingresso del nuovo inquilino del Palazzo di Cartagine.
Infine, l’elemento forse più importante: l’economia. La Tunisia soffre a causa dello sforzo per mantenere gli impegni assunti con il Fondo monetario internazionale, che si sono riflessi direttamente sulle condizioni di vita della popolazione.
Il prodotto interno lordo nel 2018 ha iniziato a ricrescere a un tasso del 2,5%, un incremento derivante dal settore turistico, una voce fondamentale dell’economia tunisina che tuttavia risente negativamente del fenomeno terroristico jihadista.
Per il 2019 lo stesso Fondo monetario internazionale stima il Pil del Paese nordafricano ancora in crescita, ma con una flessione dello 0,5 per cento, questo a fronte di elevato tasso di disoccupazione, in particolare tra le fasce più giovani della popolazione, dove ha raggiunto il picco del 30 per cento.
L’inflazione è al 6,7%, un tasso che si prevede mantenersi sostanzialmente stabile nel breve periodo per poi decrescere nel 2020, nel Paese si registra comunque un forte incremento dei prezzi dei prodotti alimentari di base.