ECONOMIA, fintech e criptovalute: la nuova frontiera della dematerializzazione dei titoli di credito

Si diffondono a livello planetario le nuove tecnologie associate alla finanza. È di pochi giorni fa la notizia che la banca centrale della Repubblica Popolare cinese emetterà un sua valuta digitale sovrana. Questo quando le banche centrali di numerosi paesi “attenzionano” Facebook, il gigante della rete che vuole introdurre sui mercati «Libra». L’argomento è stato affrontato dal professor GIUSEPPE RUSSO, del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi nel corso di un’intervista rilasciata a insidertrend.it

Due recenti rapporti pubblicati dal Fondo monetario internazionale evidenziano l’importanza e la diffusione a livello planetario delle nuove tecnologie associate alla finanza.

Infatti, la diffusione di tecnologie finanziarie innovative, note come fintech, sta accrescendo le opportunità di pagamento e scambio a un numero sempre maggiore di persone.

«La connessione dei popoli alla nuova tecnologia – si afferma in uno di questi due rapporti del Fmi – rinviene la sua spina dorsale nei cablaggi elettrici in rame e in fibra ottica sotterranei e che attraversano gli oceani. E, se ancora nel 2010 il grosso delle economie non ancora collegate a questa moderna rete non erano localizzate in Oceania, nel Pacifico, entro il 2020, cioè il prossimo anno, l’intera regione sarà quasi completamente collegata a Internet».

Il completamento dei cablaggi sottomarini in fibra ottica renderà possibile una connettività più rapida, questo grazie a una maggiore larghezza di banda di rete, un presupposto indefettibile all’accelerazione dell’adozione di applicazioni fintech più sofisticate e, dunque, anche all’inclusione finanziaria.

Tali applicazioni, abilitate agli smartphone, processano un grande volume di dati, richiedendo, appunto, una connettività veloce mediante reti 3G, 4G o 5G di larghezza di banda superiore.

Una volta accessibile, secondo il Fmi «queste tecnologie potrebbero anche venire sfruttate dai governi ai fini di un miglioramento delle attività di riscossione delle tasse, nei trasferimenti governativi, nel finanziamento degli scambi commerciali e nella tenuta dei registri catastali».

«Le famiglie e le imprese, invece – prosegue il rapporto – otterrebbero un accesso migliore e più sicuro ai finanziamenti servendosi dell’identità biometrica combinata con altri sistemi per autenticarsi, effettuando in questo modo transazioni finanziarie attraverso portafogli mobili block chain-enabled direttamente dai loro smartphone».

Gli economisti del Fmi si dicono convinti che l’inclusione finanziaria, oltre a contribuire allo sviluppo del settore,  incrementerà anche il potenziale di crescita riducendo così la povertà.

In Africa, ad esempio, negli ultimi dieci anni l’uso della moneta mobile è cresciuto esponenzialmente e attualmente i conti in moneta mobile hanno superato quelli bancari.

Alla base di tutto ciò risiedono sia cause contingenti che aspetti di natura culturale. Infatti, mentre l’accesso ai servizi bancari tradizionali permane difficoltoso per la maggior parte degli Africani, al contrario, la disponibilità pressoché universale di telefoni cellulari ha consentito a milioni di persone di accedere ai servizi di moneta mobile

Di questi ultimi possono oggi fruire con molte meno restrizioni estese fasce della popolazione, inclusi i meno abbienti, i giovani e le donne, persone che si affidano a pagamenti mobili per inviare e ricevere denaro a livello nazionale e anche internazionale.

Soggetti che attraverso il loro telefono cellulare possono avere accesso a mobile banking e altri servizi, come conti di risparmio, erogazione di prestiti, assicurazioni, e investimenti in titoli di stato oppure azionari.

Sempre secondo il Fmi, gli investimenti effettuato da operatori internazionali uniti al calo del prezzo degli smartphone favorirà questa tendenza regionale ormai avviata.

Però l’Africa dovrà superare le sue arretratezze e pervenire al completamento della propria economia digitale, raccogliendone poi i «dividendi».

C’è da affrontare quindi il grande gap infrastrutturale, a cominciare dalla copertura della fornitura dell’energia elettrica e di quella della rete Internet.

Se L’Africa, attraverso la fintech, sta compiendo i primi passi verso un’economia digitale in vista di una futura trasformazione strutturale, un altro gigante, economicamente più forte, starebbe concretamente realizzando la propria moneta digitale.

È di pochi giorni fa la notizia che la banca centrale della Repubblica Popolare cinese ha annunciato di essere «quasi pronta» all’emissione di valuta digitale sovrana.

Se il progetto di Pechino venisse realizzato si tratterebbe della prima grande economia mondiale a introdurre un sistema di pagamento del genere con il diretto sostegno dello Stato.

L’iniziativa è stata resa pubblica di recente dal vicedirettore del Dipartimento pagamenti della Banca centrale cinese Mu Changchun nel corso di un forum che ha avuto luogo nella provincia settentrionale dell’Heilongjiang.

L’alto funzionario ha poi chiarito che l’emissione della valuta digitale dipenderà da un sistema a doppio livello, nel quale sia la banca centrale che le istituzioni finanziarie saranno legittimate a farlo.

L’istituzione di un gruppo di ricerca incaricato di vagliare le possibilità di introduzione della valuta digitale risale al 2014, quando le autorità cinesi affrontarono il problema dei costi di circolazione del cash per ridurlo e, al contempo, incrementare le capacità di controllo sui fenomeni del riciclaggio e delle truffe.

La valuta digitale cinese non si baserà esclusivamente sulla tecnologia blockchain, in quanto nel Paese comunista non si sarebbe ancora in grado di gestire i volumi delle transazioni in atto al momento dell’introduzione della moneta virtuale, permane dunque un’incognita la tecnologia che verrà adottata da Pechino.

All’introduzione di una moneta virtuale da parte cinese starebbe contribuendo anche la guerra economica combattuta da Pechino e Washington, poiché essa potrebbe rappresentare per molti investitori asiatici un rifugio sicuro.

La decisione cinese è stata diffusa proprio nel momento in cui le banche centrali di numerosi paesi al mondo Hanno accentuato le loro attività di “attenzionamento” di Facebook, il gigante della rete che assieme ad altre ventotto grandi imprese – tra le quali Visa, Mastercard, PayPal, Uber e Spotify – è intento a introdurre sui mercati «Libra», la nuova valuta digitale emessa da operatori privati.

Però, su di essa si rincorrono voci di ogni genere. Ieri, ad esempio, il “Financial Times” ha pubblicato la notizia che alcuni dei sostenitori del progetto di criptovaluta non sarebbero intenzionati più ad andare avanti a causa delle pressioni esercitate su di loro dai regolatori e delle inchieste governative avviate in tutto il mondo.

L’inchiesta condotta dall’autorevole quotidiano economico-finanziario della City, indurrebbe quindi a ritenere che le indagini ad ampio spettro, oltre a ostacolare il progetto, avrebbero generato un effetto boomerang sugli stessi investitori. Facebook per il momento non ha né smentito né confermato la notizia.

Nei giorni scorsi l’Autorità antitrust europea ha avviato un’indagine su Libra, paventando pratiche anticoncorrenziali. Il focus sarebbe stato concentrato  sulla struttura del consorzio di gestione della criptovaluta.

La Commissione europea sarebbe anche impegnata nella verifica dei possibili effetti di Libra sull’integrazione tra Facebook, Whatsapp e Instagram, i giganti della rete, ulteriore progetto di concentrazione sul quale è attivo il gruppo di lavoro che fa capo a Mark Zuckerberg.

Il passaggio a una più marcata dematerializzazione delle transazioni finanziarie e, quindi, anche di una riduzione della carta moneta in favore di supporti elettronici è ormai nelle cose.

Altro è, però, l’aspetto relativo all’emittente di queste monete elettroniche. E non solo: cosa potrebbe verificarsi qualora soggetti privati al di fuori del sistema bancario accettare depositi e erogare credito denominato in monete virtuali emesse da altri soggetti privati?

Con la «Libra» si arriverebbe quasi a questo. La maggior parte delle criptovalute non hanno una corrispettiva riserva e non hanno il “sostegno” degli stati sovrani, dunque si configurano come pseudo monete che svolgono funzioni speculative ad alto rischio, non essendo per altro beni di investimento.

 

Dello sviluppo e della diffusione della fintech, delle criptovalute e della cosiddetta «dematerializzazione dei titoli di credito» insidertrend.it ne ha parlato con il professor GIUSEPPE RUSSO, del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi. Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale dell’intervista à

 

A180 – ECONOMIA, FINTECH E CRIPTOVALUTE, le nuove frontiere della dematerializzazione dei titoli di credito. A insidertrend.it l’argomento è stato affrontato dal professor GIUSEPPE RUSSO, del Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi.

Due recenti rapporti pubblicati dal Fondo monetario internazionale evidenziano l’importanza e la diffusione a livello planetario delle nuove tecnologie associate alla finanza. Infatti, la diffusione di tecnologie finanziarie innovative, note come fintech, sta accrescendo le opportunità di pagamento e scambio a un numero sempre maggiore di persone. Tali applicazioni, abilitate agli smartphone, processano un grande volume di dati, richiedendo, appunto, una connettività veloce mediante reti 3G, 4G o 5G di larghezza di banda superiore. Gli economisti del Fmi si dicono convinti che l’inclusione finanziaria, oltre a contribuire allo sviluppo del settore,  incrementerà anche il potenziale di crescita riducendo così la povertà. In Africa, ad esempio, negli ultimi dieci anni l’uso della moneta mobile è cresciuto esponenzialmente e attualmente i conti in moneta mobile hanno superato quelli bancari.

È di pochi giorni fa la notizia che la banca centrale della Repubblica Popolare cinese ha annunciato di essere «quasi pronta» all’emissione di valuta digitale sovrana. Se il progetto di Pechino venisse realizzato si tratterebbe della prima grande economia mondiale a introdurre un sistema di pagamento del genere con il diretto sostegno dello Stato.

La decisione cinese è stata resa nota proprio nel momento in cui le banche centrali di numerosi paesi avevano “attenzionato” Facebook, gigante della rete che assieme ad altre ventotto grandi imprese – tra le quali Visa, Mastercard, PayPal, Uber e Spotify – si appresta a introdurre sui mercati «Libra», la nuova valuta digitale emessa da privati.

Tuttavia, su Libra si rincorrono voci di ogni genere. Il “Financial Times”, ad esempio, ha pubblicato la notizia che alcuni dei sostenitori del progetto di criptovaluta non sarebbero intenzionati più ad andare avanti a causa delle pressioni subite dai regolatori e delle inchieste governative avviate in tutto il mondo.

Tuttavia, il progresso non si può certo fermare, il passaggio a una più marcata dematerializzazione delle transazioni finanziarie – e quindi anche di una riduzione della carta moneta in favore di supporti elettronici – è ormai nelle cose.

Altro è, però, l’aspetto relativo all’emittente di queste monete elettroniche. E non solo: cosa potrebbe verificarsi qualora soggetti privati al di fuori del sistema bancario accettare depositi e erogare credito denominato in monete virtuali emesse da altri soggetti privati? Con «Libra» si arriverebbe quasi a questo. (24 agosto 2019)

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