HONG KONG, protesta. L’opposizione in piazza e nella Rete tra fake news e perdite economiche

La situazione nella ex colonia britannica alla luce degli ultimi avvenimenti. La governatrice Carrie Lam ha ritirato la legge sull’estradizione nella Repubblica Popolare cinese, tuttavia la sua marcia indietro non ha fermato i dimostranti. Nel frattempo Facebook e Twitter hanno bloccato numerosi account che screditavano i leader delle proteste diffondendo fake news

di Stefania Grosso. Undici settimane, richieste sempre più pressanti, irritazione e perdite economiche ingenti. È questo il bilancio delle proteste più o meno pacifiche che hanno scosso Hong Kong dal giorno in cui Carrie Lam ha annunciato la proposta di legge sull’estradizione.

Legge ritirata il 9 luglio e dichiarata «morta» dalla governatrice dell’ex colonia britannica.

Questa marcia indietro da parte dei governatori non ha però fermato le proteste, anzi ha unito ancor di più i vari strati della società civile hongkonghese, portando i rappresentati dei dimostranti a formulare richieste ancora più ampie, tra le quali il suffragio universale e il mantenimento della propria indipendenza dal governo centrale cinese.

Richieste che erano già state formulate durante la protesta degli ombrelli gialli o Occupy Central nel 2014.

In quel caso si risolse in un nulla di fatto dopo settantanove giorni di sit-in pacifico.

Cinque anni dopo i cittadini della penisola sembrano aver acquisito una coscienza politica maggiore – dimostrata anche dall’aumento della popolazione votante – e soprattutto si fa più vicina la data del 2047, anno in cui il sistema che ha permesso la transizione tra Regno Unito e Cina, un paese due sistemi, non sarà più in vigore. La difesa della propria libertà e autonomia si fa sempre più pressante, mentre il governo centrale (Pechino) è preoccupato e schiera al confine le squadre speciali.

Ciò che però al momento allarma maggiormente è la semi paralisi dei trasporti provocata dai manifestanti: blocco dei mezzi pubblici e cancellazione dei voli, duecento soltanto il 12 agosto.

Questo ha portato a registrare un meno 20% nel valore in borsa. Anche la semplice vendita al dettaglio e il turismo soffrono, registrando addirittura un meno 50% nelle visite ai negozi di lusso in centro città.

A preoccuparsi non sono solo le attività sul suolo di Hong Kong, ma anche i grandi colossi cinesi, che già soffrono dalla guerra sui dazi con gli Stati Uniti.

Ad esempio, Jack Ma (fondatore dell’impero Alibaba) ha deciso di temporeggiare e di aspettare prima di quotare in borsa a Hong Kong la sua impresa dal valore miliardario.

Carrie Lam e il governo hanno già rassicurato i mercati proponendo delle misure di sicurezza nel caso che le proteste continuino, portando ad altre perdite economiche o addirittura a una recessione.

Nel frattempo si cerca di fermare la protesta in ogni modo: dalle minacce attraverso i gruppi violenti alla diffamazione via social network.

Facebook e Twitter, infatti, hanno in questi giorni bloccato numerosi account che screditavano i leader delle proteste pacifiche e diffondevano fake news dalla Cina Popolare.

Curiosamente i due social sono vietati in Cina, al contrario di Hong Kong. Infatti, è possibile accedervi solo attraverso una VPN, – Virtual Private Network, rete di telecomunicazioni privata, instaurata tra soggetti che utilizzano, come tecnologia di trasporto, un protocollo di trasmissione pubblico e condiviso come, ad esempio, la rete Internet -, ma a quanto pare è più urgente fermare le proteste che salvaguardare la censura.

Difficilmente, però, le proteste si fermeranno da un giorno all’altro e difficilmente verranno dimenticate.

In gioco che c’è la libertà di espressione e l’autonomia di milioni di persone.

Dopo un weekend di protesta pacifico, lo scorso 18 agosto, la vita ad Hong Kong è ripresa ma la lotta dei dimostranti non parrebbe ancora finita.

Condividi: