Continuano a ripetersi gli attacchi missilistici contro la base aerea russa di Khmeimim, in Siria, da parte delle formazioni islamiste che combattono il regime del presidente Bashar al-Assad.
Infatti, per la seconda volta nell’arco di due giorni, la base dove Mosca ha rischierato il suo dispositivo aereo in sostegno delle forze di Damasco è stata fatta segno di lanci di missili Grad, le cui rampe sono localizzate nella provincia di Idlib.
Un’offensiva decisiva compiuta dalle forze siro-russe in quel settore del fronte, ultima roccaforte degli jihadisti nella Siria nordorientale, allontanerebbe la minaccia alle basi di Mosca sulla fascia costiera del Paese arabo alleato, ponendole fuori dalla portata dei sistemi missilistici degli orfani del “califfato”.
È dal momento del suo intervento nel conflitto siriano nel settembre 2015 che Mosca sostiene i tentativi di riconquista dell’intero territorio nazionale esperiti da Assad, inclusa la provincia di Idlib.
Tuttavia, gli sforzi profusi dal Cremlino e da Damasco incontrano oggi la decisa resistenza del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che ha altri progetti al riguardo, poiché è perfettamente consapevole del fatto che un’offensiva condotta su larga scala in quel settore, che confina direttamente con la Turchia, provocherebbe un massiccio flusso di rifugiati che premerebbero sulla propria frontiera.
Nel cosiddetto Memorandum di Soci, al quale nel settembre dello scorso anno pervennero Ankara e Mosca, si previde la de-militarizzazione dell’area, la separazione delle milizie alleate del presidente siriano Assad da quelle filo-turche, nonché il disarmo di queste ultime.
L’accordo avrebbe dovuto scongiurare proprio l’attacco su larga scala tanto temuto che veniva continuamente minacciato da Damasco.
Dal canto loro, i turchi hanno installato nell’area dodici punti di osservazione presidiati dall’esercito, tuttavia non hanno voluto separare le milizie armate (oppure non sono stati in grado di farlo) e hanno continuato a supportare quelle arabo-sunnite, loro alleate, che per altro sono attive anche nella provincia di Afrin e nel cosiddetto “triangolo” di al-Bab, una zona liberata dalla presenza degli jihadisti dell’Isis a seguito dell’operazione “Scudo dell’Eufrate”.
Attualmente la provincia di Idlib è divenuta sostanzialmente un’enclave, il territorio nel quale hanno trovato rifugio buona parte degli jihadisti dello Stato islamico dopo la sconfitta militare subita sul campo di battaglia.
Nella zona sono attualmente presenti almeno tre milioni di civili, dei quali quasi la metà sono profughi provenienti da altre zone della Siria in precedenza controllate dalle formazioni armate che si oppongono a Damasco.
Assieme ai profughi civili, a Idlib si sono rifugiati anche migliaia di miliziani e di appartenenti a bande armate si di orientamento islamista moderato che jihadista.
A farla da padrone per il momento è Hayat Tahrir al-Sham, che ha preso il sopravvento su tutte le altre formazioni armate e, si giunge addirittura ad affermare, che nell’area Idlib in questa fase si registri la maggiore concentrazione al mondo di militanti di al-Qaeda.
Hayat Tahrir al-Sham (Ha’yat Tahrir al-Sham, Organizzazione per la Liberazione del Levante o «Comitato» per la Liberazione del Levante) è una formazione paramilitare salafista formatasi all’inizio del 2017 dall’unione di Jabhat Fateh al-Sham (a sua volta costola del Fronte al-Nusra) con gruppi minori della galassia jihadista.
Nel 2019 è entrata in aperto conflitto con le milizie sostenute dalla Turchia nell’area del Governatorato di Idlib, scontrandosi con alcune componenti del Fronte di Liberazione Nazionale.