Il ministero della difesa saudita ha confermato la futura presenza di militari statunitensi sul territorio del Regno.
A Riyadh la decisione è stata ufficialmente assunta «per rafforzare la sicurezza e la stabilità regionale e sulla base della cooperazione congiunta con gli Stati Uniti d’America ».
Secondo il quotidiano panarabo di proprietà saudita “Asharq Al-Aswat”, il rischieramento di unità americane incrementerà il livello di cooperazione congiunta nei settori della difesa e della sicurezza nella regione mediorientale, «stabilizzandola e preservandone la pace», riporta il giornale egiziano, affermando che il Regno saudita chiede la pace e non la guerra.
In realtà, in questa particolare fase l’incremento della cooperazione militare tra Riyadh e Washington è finalizzata a esercitare costantemente un’elevata pressione sull’Iran. In sostanza si tratta di un chiaro messaggio fatto pervenire a Teheran: a qualsiasi tentativo di sfruttare le tensioni regionali la reazione si concretizzerà nell’impiego della forza militare.
Non si dispongono ancora di dettagli precisi sull’impegno americano, fonti giornalistiche hanno indicato in cinquecento gli uomini pronti a partire per la monarchia araba. Il Pentagono ha confermato il dispiegamento di personale militare e materiali, dichiarando senza mezzi termini in una propria nota che si tratta di una operazione di «ulteriore deterrenza di fronte alle minacce emergenti e credibili nella regione».
Una decisione che segue la fase incrementale – tuttora in atto – della tensione nel Golfo Persico, culminata nelle ultime settimane nel rafforzamento del dispositivo aeronavale americano nella regione e nel sequestro da parte iraniana di due navi mercantili britanniche nello stretto di Hormuz.
In giugno Washington aveva annunciato il prossimo dispiegamento di mille uomini nel Medio Oriente, tuttavia senza specificarne la destinazione finale.
L’Arabia Saudita non ospita unità militari statunitensi dal 2003, anno del ritiro al termine del conflitto con l’Iraq di Saddam. La presenza dei soldati americani in Arabia Saudita durava da dodici anni, cioè dai tempi dell’operazione Desert Storm, lanciata nel 1991 dal presidente Bush dopo che le forze irachene ebbero invaso l’emirato del Kuwait.
In precedenza, oltre duecento velivoli da guerra americani avevano utilizzato la base aerea Prince Sultan, situata a circa ottanta chilometri a sud della capitale. Allora era in corso la campagna contro l’Iraq, che comportò l’effettuazione di oltre 2.500 missioni di volo al giorno.
Soltanto quattro giorni fa gli americani avevano abbattuto un velivolo a pilotaggio remoto iraniano. Al riguardo, il Pentagono aveva poi riferito che il «drone» di Teheran, nonostante i ripetuti avvertimenti, si era avvicinato a circa un migliaio di metri dall’unità d’assalto anfibio USS Boxer.
Portavoce ufficiali della Repubblica Islamica avevano in seguito negato di aver perduto velivoli per abbattimento, mentre Washington ha insistito sul particolare che il sistema a pilotaggio remoto era stato abbattuto in acque internazionali.
La USS Boxer fa parte di una Marine Expeditionary Unit formata da naviglio militare di vario genere, una formazione che, nel quadro della più complessa strategia Usa, è stata concepita per la proiezione di potenza dal mare, anche attraverso lo sbarco di migliaia di marines.
In ogni caso si è trattato di un ulteriore incremento dell’escalation in atto che segue in prossimità il sequestro della petroliera Riah, battente bandiera panamense ma appartenente ad una società di Singapore riconducibile agli EAU, a opera dei Pasdaran un giorno prima.