Cresce la tensione nel Golfo Persico, dopo le mine che hanno danneggiato le due navi mercantili in navigazione (una norvegese e l’altra giapponese) oggi è stato abbattuto un velivolo senza pilota Global Hawk appartenente alla marina militare americana, macchina utilizzata anche per la ricognizione marittima.
US Centcom, il comando strategico americano competente per l’area, ha confermato l’abbattimento specificando il tipo di UCAV perduto, affermando che esso stava volando di fronte alle coste omanite.
Teheran invece punta il dito contro gli americani accusandoli di avere violato lo spazio aereo della Repubblica islamica, poiché – affermano – il Global Hawk sarebbe stato colpito dai missili della contraerea nei pressi del distretto di Kouhmobarak, quindi nella provincia di Hormozgan, a sud-est dello Stretto di Hormuz e poco più a nord del punto dove nei giorni scorsi erano state colpite le due petroliere, dunque non nello spazio aereo internazionale come dichiarato negli Usa. Il segnale lanciato dagli iraniani è chiaro: pur non volendo la guerra siamo comunque pronti a combatterla.
Nei giorni scorsi gli iraniani avevano tentato di abbattere un velivolo dello stesso tipo mentre era in volo sulle acque del Golfo, da un’unità della marina della Repubblica islamica era stato lanciato contro di esso un missile antiaereo spalleggiabile, ma non era stato però colpito.
Si tratta di un incidente grave che si verifica nel pieno della fase incrementale del dispositivo militare statunitense nella regione, in una situazione estremamente delicata nella quale un minimo e anche involontario incidente potrebbe accendere la miccia e far esplodere le polveri di un conflitto su larga scala che incendierebbe l’intera regione mediorientale.
Tuttavia da Washington in queste ultime ore pervengono segnali difficilmente interpretabili. Infatti, all’interno dell’amministrazione Trump, notoriamente formata da “falchi”, se alcuni esponenti di spicco contemplano apertamente la possibilità di un attacco in forze all’Iran, il presidente apparentemente minimizza il fatto, ma allo stesso tempo cerca sponde a livello internazionale per la sua strategia destabilizzatrice in vista di un successivo regime change a Teheran. Ha bisogno di ulteriori sostegni per la sua guerra agli ayatollah e al prossimo G20 proverà a cercarli, poiché l momento al suo fianco ci sono praticamente solo gli israeliani e il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman.
Però quest’ultimo è sempre meno presentabile, infatti un team di investigatori dell’Onu che si sono occupati del brutale e macabro assassinio dell’editorialista di punta del Washington Post hanno depositato le conclusioni della loro inchiesta: l’oppositore del “nuovo corso” di Riyadh sarebbe stato ucciso e poi fatto a pezzi all’interno del consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre dello scorso anno.
Un’accusa pesante, poiché dal rapporto redatto dagli esperti coordinati da Agnes Callamard sarebbero emerse «prove evidenti» della diretta responsabilità in ordine al brutale assassinio in capo al principe e ad altri funzionari di livello apicale del Regno.
Intanto in Gran Bretagna l’Alta Corte sentenzia l’illegalità della cessione di sistemi d’arma a Riyadh, necessari per combattere e far combattere le varie proxi war nelle quali la petromonarchia si è impegnata negli ultimi tempi.
L’Arabia saudita si trova ad affrontare grandi e difficili sfide, non esclusa quella della sicurezza economica che fino a qualche tempo fa pochi avrebbero pensato potesse essere messa in discussione.
Le riforme (varate in modo illiberale e senza la ricerca di un vero consenso) sono però si sono accompagnate a una decisa deriva autoritaria impressa da bin Salman, che, consolidato il suo potere a Riyadh (i vari rami della famiglia al-Saud sono spesso stati in competizione con i gruppi di potere legati al sovrano) ha gettato il suo Paese in una serie di impegni bellici diretti e indiretti nel MENA (medio Oriente e Nord Africa) che, oltre a destabilizzare la regione, hanno gravato pesantemente sulle finanze del Regno.
Su questi argomenti e su molti altri inerenti la situazione e le prospettive del Regno degli al-Saud insidertrend.it ha interpellato Lisa Limatainen, giornalista e analista già corrispondente della radio televisione finlandese dall’Italia ed esperta di Arabia Saudita e Iran. La registrazione audio dell’intervista (A160) è fruibile di seguito su questo sito.
A160 – GOLFO PERSICO, ESCALATION: l’attuale ruolo dell’Arabia saudita nel quadro dello scontro regionale e globale nella regione del Medio Oriente e del Nord Africa. Sulla situazione e le prospettive del Regno degli al-Saud insidertrend.it ha intervistato LISA LIMATAINEN, giornalista e analista già corrispondente della radio televisione finlandese dall’Italia ed esperta di Arabia saudita e Iran.
Escalation della tensione nel Golfo Persico, strategia e pressioni americane sull’Iran, rapporti ed equilibri in seno a quello che fu il Consiglio di Cooperazione del Golfo, “guerre per procura” iniziate o partecipate da Riyadh, prezzi petroliferi e bilancio della monarchia, difficoltà interne e deriva marcatamente autoritaria del principe ereditario Mohammad bin Salman, dinamiche interne alla famiglia al-Saud e instabilità interna al Regno, terrorismo salafista, foreign figthers e guerra ai Fratelli musulmani, posizione di Qatar e Turchia.