Cosa è oggi l’Africa e cosa può rappresentare per sé stessa e per l’Italia nei termini della crescita economica e dello sviluppo? Probabilmente molto, lo si evince da ciò che tra mille difficoltà e criticità sta esprimendo oltreché dalle sue potenzialità.
L’Italia è il secondo paese manifatturiero in Europa dopo la Germania ed è il primo investitore nella regione del Corno d’Africa, dati questi che non sono certamente privi di significato.
Dunque perché l’Africa e perché, in particolare, l’Africa orientale? Poiché è lì che si aprono spazi dove promuovere la crescita economica attraverso investimenti e scambi commerciali in una cornice di inclusione e sostenibilità. Tuttavia non sono assenti criticità e rischi.
Le cifre della Banca mondiale sulla crescita economica nel continente africano si attestano a un tasso del 3,2% per il 2018 e prevedono un 3,5% per il 2019, mentre secondo il Fondo monetario internazionale la crescita starebbe accelerando nei due terzi dei paesi della fascia subsahariana.
Essa sarebbe guidata dalle prospettive globali (considerate positive), dalla ripresa dei prezzi delle materie prime e da un migliore accesso ai mercati internazionali dei capitali da parte dei Paesi emergenti della regione.
Dati che sembrerebbero però non collimare con la leggera flessione della capitalizzazione globale di mercato africana, indicativa per alcuni analisti della conferma del declino finanziario delle economie emergenti. In sostanza, l’Africa non sarebbe riuscita a dare profondità al proprio mercato dei capitali.
In ogni caso è positiva la stima relativa alla crescita contenuta nel rapporto sulle prospettive economiche diffuso dalla Banca africana di sviluppo lo scorso 17 gennaio.
Malgrado la piaga del terrorismo e dei conflitti (che va ad aggiungersi agli effetti nefasti prodotti dalla desertificazione), l’economia africana cresce a ritmi relativamente sostenuti.
In Confindustria il clima era ottimistico, rafforzato per altro dall’accordo istitutivo dell’area di libero scambio africana (AfCFTA) che è stato raggiunto il 21 marzo del 2018 a Kigali (Rwanda) da 44 stati membri dell’Unione africana, questo nonostante fossero assenti i due Paesi di maggiore peso del continente, Nigeria e Sudafrica. All’accordo sono stati allegati anche tre protocolli che regolano la circolazione di beni e servizi e la risoluzione delle controversie.
Un’Africa senza frontiere – si afferma – può essere la base di un mercato continentale competitivo che, in prospettiva, sarebbe in grado di divenire un hub (snodo) per il business globale.
Al primo Eastern Africa Business Forum di Roma, dieci paesi dell’Africa orientale hanno illustrato agli industriali italiani le proprie caratteristiche, esponendo, settore per settore, tutti i possibili vantaggi derivanti dagli eventuali investimenti effettuati sui loro territori.
L’evento, organizzato da Confindustria Assafrica & Mediterraneo nella sede di Via dell’Astronomia a Roma, in collaborazione con UNIDO ITPO Italia (l’Ufficio italiano per la promozione tecnologica degli investimenti dell’Onu per lo sviluppo industriale) e con lo studio legale Pavia & Ansaldo.
In particolare è stata l’Africa Orientale a essere oggetto di analisi e discussioni, una vasta regione che presenta potenzialità ancora inesplorate e quindi è in grado di offrire delle opportunità all’imprenditoria italiana.
Burundi, Isole Comore, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Tanzania e Uganda sono stati i paesi sui quali – in diversa misura e in ragione del loro diverso grado di stabilità – si è concentrato il focus degli operatori economici.
Molto si può fare, tuttavia si renderebbe necessario un approccio complessivo, una visione di sistema che prenda concretamente in considerazione i numerosi progetti e le richieste di investimenti che dall’Africa provengono, al fine di avviare un processo virtuoso che implementi lo sviluppo.
Un entusiasmo tuttavia raffreddato dalle gravi criticità, apparentemente insormontabili, che permangono nello scenario.
In primo luogo l’insufficiente approvvigionamento alimentare. Secondo la FAO dei 39 Paesi che nel 2018 hanno richiesto aiuti alimentari esterni 31 sono africani, seppure – sostiene sempre l’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura – nel decennio intercorrente tra il 2018 e il 2027 la produzione agricola complessiva del continente è destinata ad aumentare del 30%, un risultato che rischia però di essere vanificato dall’esponenziale incremento demografico.
La sovrappopolazione, infatti, costituisce un altro grande problema africano. Oggi in Africa vivono 1.200.000 persone, ma la curva demografica è destinata a salire e paesi come la Nigeria tra pochi decenni avranno una popolazione pari a quella dell’Unione europea.
L’Africa segue il trend del resto del mondo, in particolare di quello meno sviluppato, dove si generano flussi migratori di massa. Del totale dei migranti soltanto il 30% si incammina sulle pericolose (e costose) rotte per l’Occidente, quelle gestite dai trafficanti di esseri umani. Il grosso di essi invece, all’incirca il 70%, abbandona i propri luoghi di origine per trasferirsi nelle grandi città del continente.
È soprattutto lì che i disperati si ammassano in cerca di migliori condizioni di vita, un fenomeno che ha portato alla concentrazione della maggior parte della popolazione mondiale nei grandi centri urbani.
Esistono metropoli sovrappopolate che sono state ulteriormente ingigantite dall’esodo dalle aree rurali, città che necessiterebbero urgentemente di opere infrastrutturali adeguate ai loro nuovi bisogni.
Malgrado questo l’Africa permane ancora una terra a vocazione agricola, un luogo dove le difficoltà vengono generate dal clima e dall’azione dell’uomo, ma dove sarebbe possibile intervenire anche con una razionale applicazione dei progressi tecnologici e informatici al settore primario.
Attualmente l’Africa risulta essere un importatore netto di generi alimentari, mentre acqua, energia e alimenti sono le tre risorse strategiche critiche.
Cibo e acqua dunque, carenze dovute a fattori di natura culturale, climatici, strutturali, ma anche alla speculazione, cioè di operazioni finanziarie che spesso poco o nulla hanno a che fare con la produzione, il lavoro e la domanda di generi.
Inoltre, l’introduzione nell’agricoltura della produzione di carburanti vegetali ha sottratto parte dei terreni alla soddisfazione dei bisogni alimentari, infine il mutamento degli stili nell’alimentazione verificatosi nei paesi emergenti divenuti più ricchi ha pesato in termini di disponibilità di cibo e dispendio di risorse, poiché ha portato all’eccesso di consumi di proteine animali, che richiedono ingenti quantità di sementi utilizzati come mangimi animali.
I nuovi strumenti finanziari introdotti a partire dagli anni Novanta (i contratti futures), uniti alla deregolamentazione dei mercati derivati delle materie prime hanno portato alla finanziarizzazione dell’agricoltura.
Si è dunque perseguito sempre di più l’ottenimento di un profitto dal cambiamento dei prezzi di un bene nel breve periodo, ad esempio delle commodities agricole.
L’ingresso di questi nuovi investitori sui mercati dei derivati di prodotti agricoli ha stravolto le dinamiche preesistenti e sempre di più le rendite economiche sono derivate da attività che non avevano a che fare con la realizzazione dei beni materiali, con la loro disponibilità diffusa e con il lavoro necessario alla loro produzione.
Le conseguenti elevate fluttuazioni dei prezzi (anche di oltre il 180% per mais, grano e soia) hanno sovente impedito l’accesso al cibo proprio da parte delle fasce più povere della terra.
All’obiettivo numero 6 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile figurano l’agritech, l’agro-business e il food safety.
Allo scopo di implementare il programma di trasformazione del continente nel periodo 2013-2020 l’azione della Banca africana di sviluppo è stata concentrata su cinque punti cardine, i cosiddetti «High 5»: elettrogenerazione (soprattutto da fonti rinnovabili) e illuminazione, nutrizione (emergenza alimentare), integrazione, industrializzazione, incremento dei livelli di qualità della vita della popolazione.
Quasi 650 milioni di africani non hanno accesso all’elettricità e si stima che tale gigantesca carenza pesi ogni anno sul Pil del continente dal 2 al 4%, con comprensibili effetti negativi sugli investimenti, la crescita economica e l’occupazione.
Al riguardo va ricordato che, allo stato attuale ogni anno in Africa si dovrebbero creare di dodici milioni di nuovi posti di lavoro al solo scopo di prevenire un aumento della disoccupazione.
Una piaga, la disoccupazione, frutto anche della persistente carenza di industrializzazione, fattore che frena l’economia mantenendola in una condizione di dipendenza dall’agricoltura e dalla produzione di materie prime che poi vengono trasformate altrove.
Attraverso l’iniziativa Feed Africa si cerca di rendere l’agricoltura africana competitiva a livello globale, inclusiva e orientata al business, ma questo non può prescindere da una compiuta integrazione regionale e continentale propedeutica all’espansione dei mercati locali.
Infine l’instabilità politica e la carenza di democrazia. In numerosi Paesi africani persistono tuttora grossi ostacoli al radicamento di pratiche democratiche, essi rispondono al nome di corruzione endemica, il mancato ricambio delle classi dirigenti unito alla radicata difficoltà a ragionare in termini nazionali anziché tribali e, infine, la diffusa violenza.
Negli ultimi anni l’irrompere sulla scena del terrorismo e della guerriglia di matrice jihadista ha mutato il quadro della situazione, questo mentre in parallelo procedeva la capillare e intensa penetrazione cinese.
Formazioni e gruppi affiliati a Islamic State hanno destabilizzato almeno cinque paesi della fascia saheliana, mentre nel Corno d’Africa in Somalia a essere attivi, oltre agli al-Shabaab (che ormai da alcuni anni sconfinano anche in Kenya), sono anche gli jihadisti del “califfato”.
Attori regionali (Turchia, Qatar, EAU) hanno ovviamente approfittato della situazione per installare loro basi militari in enclave territoriali fuori dal controllo di Mogadiscio, come nel Puntland e nel Somaliland, entità completamente autonomie dal governo centrale.
Questo, in diverso modo e misura, è avvenuto anche in Eritrea e a Gibuti (dove ci sono anche francesi, americani e cinesi), una regione strategicamente importante anche al fine di monitorare ed eventualmente condizionare il prospicente conflitto in atto nello Yemen.
In Via dell’Astronomia c’erano tutti, compresi etiopici ed eritrei, i cui ambasciatori erano seduti l’uno accanto all’altro, come a sottolineare la pace raggiunta dopo anni di guerra sanguinosa. Uno sviluppo positivo che dovrebbe fare ben sperare.
La registrazione audio integrale dei lavori del forum che ha avuto luogo nella sede di Confindustria è fruibile di seguito, in calce all’articolo oppure nell’archivio del sito insidertrend.it à(audio A153A-D).
A153A – ECONOMIA, AFRICA: POTENZIALITÀ, OPPORTUNITÀ, CRITICITÀ. Eastern Africa Business Forum, doing business in Eastern Africa Countries: business opportunities for Africa and Italian companies, evento organizzato da Confindustria Assafrica & Mediterraneo in collaborazione con UNIDO ITPO Italia e lo studio legale Pavia & Ansaldo, Roma 11 giugno 2019, Confindustria, Sala Pininfarina.
Sessione introduttiva, interventi di: GIOVANNI OTTATI (Presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, intervento in lingua italiana), CLAUDIA EMANUELA DEL RE (viceministro degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale, intervento in lingua italiana), RAPPRESENTANTE UFFICIALE DEI PAESI DELL’AFRICA ORIENTALE, intervento in lingua inglese).
Sessione plenaria, interventi in lingua inglese dei rappresentanti di: Burundi, Isole Comore, Gibuti, Eritrea, Etiopia, Kenya, Somalia, Sud Sudan, Tanzania, Uganda.
A153B – ECONOMIA, AFRICA: POTENZIALITÀ, OPPORTUNITÀ, CRITICITÀ. Eastern Africa Business Forum, doing business in Eastern Africa Countries: business opportunities for Africa and Italian companies, evento organizzato da Confindustria Assafrica & Mediterraneo in collaborazione con UNIDO ITPO Italia e lo studio legale Pavia & Ansaldo, Roma 11 giugno 2019, Confindustria, Sala Pininfarina.
Esperienze italiane in Africa orientale, interventi di: RUGGERO ARICÒ (ENEL, Green Power, intervento in lingua inglese), ANTONIO MONACO (Salini Impregilo, Vicepresidente Assafrica, intervento in lingua italiana), ALESSANDRO AURORA (Vuetel, intervento in lingua inglese).
A153C – ECONOMIA, AFRICA: POTENZIALITÀ, OPPORTUNITÀ, CRITICITÀ. Eastern Africa Business Forum, doing business in Eastern Africa Countries: business opportunities for Africa and Italian companies, evento organizzato da Confindustria Assafrica & Mediterraneo in collaborazione con UNIDO ITPO Italia e lo studio legale Pavia & Ansaldo, Roma 11 giugno 2019, Confindustria, Sala Pininfarina.
I programmi delle Istituzioni finanziarie nei Paesi dell’Africa orientale, interventi di: ANTONIO DI GIULIO (avvocato dello Studio Pavia & Ansaldo, intervento in lingua italiana), CARLO SEGNI (Cassa Depositi e Prestiti, intervento in lingua italiana), CHRISTOPHE HAMONET (Intesa Sanpaolo, interventi in lingua inglese e italiana), AMBASCIATORE DELL’ERITREA (intervento in lingua inglese).
A153D – ECONOMIA, AFRICA: POTENZIALITÀ, OPPORTUNITÀ, CRITICITÀ. Eastern Africa Business Forum, doing business in Eastern Africa Countries: business opportunities for Africa and Italian companies, evento organizzato da Confindustria Assafrica & Mediterraneo in collaborazione con UNIDO ITPO Italia e lo studio legale Pavia & Ansaldo, Roma 11 giugno 2019, Confindustria, Sala Pininfarina.
Agro-business Value Chain, interventi di: TOM DAVIES (CNH Industrial, intervento in lingua inglese), ROBERTO BANDIERI (Ruralset, intervento in lingua italiana), ENRICO FORESTO (Oxigen Labs, intervento in lingua italiana), moderatore ROBERTO RIDOLFI (FAO).
Ethical Fashion, interventi di: DINA FRANCHI (FAO, intervento in lingua inglese), ADELE DEJAK e WAZAWAZI (intervento in lingua inglese), Caty and Carl Style Revolvers Ltd (intervento in lingua inglese), moderatrice LIVIA CANEPA (UNIDO ITPO Italy, intervento in lingua inglese).