a cura di Giuseppe Morabito, ufficiale in ausiliaria dell’Esercito italiano e membro della NATO Defense College Foundation – Egli ha fatto apparentemente buon viso a cattivo gioco di fronte al possibile e prospettato mutamento radicale atteso a Washington, affermando di non aver parlato con il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, da oltre quattro anni, ma di essere pronto a potenziali colloqui con lui, in virtù dell’aspettativa che la nuova amministrazione a Washington ha ingenerato finalmente riguardo a una fine negoziata del conflitto in Ucraina.
LE PAROLE DI PUTIN
La conferenza, un’ occasione annuale in cui si è messa in evidenza la padronanza di Putin sia dei confini della politica interna sia della strategia geopolitica russa, consiste in una sessione pubblica di domande e risposte al presidente. La guerra della Russia contro l’Ucraina è stato un argomento centrale, con Putin desideroso di sottolineare i recenti progressi della Russia nella guerra di logoramento che va verso il compimento del suo terzo anno. «Hai chiesto cosa possiamo offrire, o cosa posso offrire al neoeletto presidente Trump quando ci incontreremo? – ha dichiarato Putin in risposta a una domanda postagli da un giornalista -, innanzitutto non so quando ci incontreremo, perché Trump non ha detto niente al riguardo. Non gli ho parlato per più di quattro anni. Ovviamente, sono pronto per questa evenienza, in qualsiasi momento, e sarò pronto per un incontro se lo vorrà».
IN ATTESA DI DONALD TRUMP
Alla domanda se la Russia si sarebbe trovata in una posizione negoziale più debole a causa dei (evidenti) recenti insuccessi in Medio Oriente e (ipotizzati) sul campo di battaglia in Ucraina, Putin ha risposto: «Hai detto che questa conversazione avrà luogo in una situazione in cui mi troverò in una situazione di debolezza? E tu e quelle persone che pagano i tuoi stipendi negli Stati Uniti d’America vorreste molto che la Russia si trovasse in una posizione di debolezza». Quindi ha proseguito: «Io ho un punto di vista diverso. Credo che la Russia sia diventata molto più forte negli ultimi due o tre anni. Perché? Perché stiamo diventando un paese veramente sovrano, non dipendiamo già quasi da nessuno». Su questo specifico argomento il presidente Trump ha, comunque, negato di aver avuto alcun contatto con Putin da quando il suo mandato presidenziale ha avuto termine, oramai quattro anni fa. Questa dichiarazione è però in contraddizione con quanto rivelato dal giornalista Woodward in un suo libro, secondo cui i due avrebbero avuto «forse fino a sette» conversazioni dal 2021.
LA DIPLOMAZIA DI KIEV
In risposta a una domanda su come stava andando l’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte russa, Putin ha detto che «la situazione sta cambiando radicalmente. Il movimento in avanti sta avvenendo lungo l’intera linea del fronte, ogni giorno». C’è evidenza della realtà di quanto dichiarato. Poi ha aggiunto che «non stiamo parlando di avanzare di centinaia di metri, i nostri combattenti stanno prendendo e controllando territorio in chilometri quadrati. Voglio sottolineare: ogni giorno». Lo afferma mentre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha riconosciuto in un’intervista pubblicata mercoledì che l’Ucraina non ha la forza di riprendersi tutto il suo territorio occupato dal nemico. Questi ha specificato di non avere attualmente forze sufficienti per riconquistare il Donbass e la Crimea con mezzi militari, pertanto conta sulla diplomazia. «Di fatto questi territori sono ora controllati dai russi. Non abbiamo la forza per riconquistarli. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative – ha detto Zelensky -, anche dopo anni di guerra quando pensavamo che i russi non potessero essere più cinici, vediamo qualcosa di ancora peggiore. La Russia non solo invia le truppe nordcoreane per assaltare le posizioni ucraine ma cerca anche di nascondere le perdite bruciando i volti dei soldati nordcoreani uccisi in battaglia». Se confermato, porrebbe ancora più in evidenza la follia e il disinteresse per le vite dei propri uomini del dittatore nordcoreano Kim Jong-un.