Un faticoso accordo che chissà in quale misura verrà concretamente applicato. Infatti, per giungere a una concordanza sul testo a Baku si è faticato molto, prendendo le mosse da una bozza che prevedeva 250 miliardi di dollari l’anno di finanziamenti erogati dai paesi ricchi a quelli in via di sviluppo, base di partenza che aveva raffreddato ulteriormente gli animi (per altro non esaltati in termini di aspettative) di coloro i quali auspicavano risultati effettivi dalla, di per sé, abortita sessione del consesso internazionale sull’ambiente.
DIVERGENZE SULLA «FINANZA VERDE»
Le trattative sulla dichiarazione finale sono state rese oltremodo difficoltose dalle divergenze tra il cosiddetto «Nord» e il «Sud» del mondo sull’aspetto relativo alla finanza verde. Chi la pagherà? Si è cercato di incrementare la quota di finanziamenti a copertura delle spese per il contrasto dei mutamenti climatici che dovranno (dovrebbero) sostenere i paesi in via di sviluppo dai 100 miliardi di dollari annui fissati nell’Accordo di Parigi del 2015, a 250 miliardi. Questa la proposta caldeggiata dalla presidenza di turno (azerbaigiana) della 29ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Cop29 che ha avuto luogo a Baku.
MURO CONTRO MURO
Ma, sel la Cop29 si è formalmente conclusa, le soluzioni concrete e gli impegni che i diversi attori internazionali dovranno assumersi sono ben lontane dall’essere state concordate. Al riguardo basterà riflettere sull’ammotare dello stanziamento richiesto, che è per altro oggetto di controversie, poiché esso risulta essere ben inferiore di tre quarti rispetto a quanto i paesi in via di sviluppo ritengono necessario ai fini dell’azione sul cambiamento climatico, inoltre, essi chiedono che una parte cospicua di detti finanziamenti venga erogata a fondo e priva di vincoli per la mitigazione delle emissioni.
«CONGELARE» LE TEMPERATURE MEDIE
Dal canto loro, i paesi donatori richiamano al realismo evidenziando come tali richieste siano quantitativamente eccessive, invocando altresì l’adozione di vincoli di mitigazione. Il precedente Accordo di Parigi (2015) ha impegnato a congelare la temperatura media globale a 1,5 gradi centigradi entro la fine del secolo, ma sulla base dei dati diffusi dalle Nazioni Unite, il Pianeta ha già superato la media di 1,3 gradi centigradi. Immediati, dopo la fine dei lavori a Baku, i commenti espressi dai vari soggetti in diversa maniera interessati alla questione, tra questi, ovviamente, l’industria dell’Oil&Gas e il suo indotto.
LA COP29 È STATO UN FALLIMENTO?
Ad avviso di Michele Marsiglia (presidente di FederPetroli Italia) quello di Baku «è stato un vertice fallimentare che ha mostrato al mondo solo uno sperpero di denaro per una conferenza tradotta in vacanza, con un giorno aggiuntivo non previsto. Continuiamo le nostre politiche industriali avanti con la ricerca di petrolio e gas nei paesi ad alto potenziale come Africa e Medio Oriente, non tralasciando le riserve di idrocarburo in Italia e le nuove aperture politiche. Sì alla sostenibilità in tutte le operazioni e cantieri petroliferi, massima attenzione al cambiamento climatico ma non a uno stop all’idrocarburo che il mondo non vuole».
SOSTENIBILITÀ SÌ, MA SENZA STOP SGLI IDROCARBURI
Prosegue al riguardo il presidente di FederPetroli Italia che «Baku ha dimostrato che il pianeta necessità ancora del petrolio e dei suoi derivati. Il significato di questo vertice lascia davvero comprendere la grande divergenza sui temi energetici che c’è tra i partecipanti. La 29ª Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si ferma dunque a quota 300 miliardi l’anno, a tanto ammonta l’obbligo assunto fino al 2035 per i paesi ricchi di finanziare la transizione energetica e l’adattamento ai cambiamenti climatici di quelli in via di sviluppo, mentre la Cina Popolare è fuori dagli obblighi».
ANNI DI ZOLFO
La transizione verso l’uscita dai combustibili fossili, che fu il focus del Cop28 di Dubai, sparisce quindi dai testi delle bozze. l documento finale, che avrebbe dovuto rilanciare l’attuazione del processo, è privo di alcuna menzione all’Oil & Gas. Uno dei punti su cui l’Unione europea puntava, in disaccordo con l’Arabia Saudita, era quello di mettere in piedi un monitoraggio annuale degli sforzi per uscire da petrolio, gas e carbone, ma senza alcun successo. Sull’accordo finale al vertice pesa in modo particolare la mancata presenza in Azerbaijan di diversi importanti attori, oltre alla possibile uscita dall’Accordo sul clima di Parigi minacciata dagli Stati Uniti d’America ora che si insedierà la nuova amministrazione presieduta da Donald Trump».