Questo è il momento dei partiti sovranisti e anti-sistema, che spesso propugnano l’uscita del loro paese dalla moneta unica o che, in ogni caso, affermano di voler modificare radicalmente l’impianto comunitario attualmente in essere una volta che “avranno i numeri” al parlamento di Strasburgo.
In qualche caso, il tanto agognato recupero di sovranità non potrà non prescindere da una riduzione dai debiti pubblici contratti da stati, come quello italiano, che nei decenni hanno raggiunto livelli insostenibili.
Infatti, uno stato è davvero sovrano quando è libero di decidere la propria spesa e, quindi, indirizzare anche la propria economia senza essere ostaggio delle banche alle quali deve restituire con lauti interessi ciò che in precedenza ha preso a prestito.
L’Italia, negli ultimi anni, è riuscita in parte a ricondurre la propria esposizione debitoria nelle mani di soggetti nazionali, tuttavia il problema permane grave.
Ma, tornando all’ipotesi di bilancio federale dell’Unione europea, è utile tenere conto di ciò che si dice in giro al riguardo, degli spunti che vengono offerto sull’argomento, che, se non altro, sono in grado di permettere un approccio a un tema dibattuto e controverso.
Lo scorso 21 maggio, il professor Mario Baldassarri, economista, in passato collaboratore di Beniamino Andreatta e viceministro nel governo Berlusconi, sul tema ha pubblicato un intervento sul “Il Sole 24 Ore”.
Nella premessa al suo ragionamento, Baldassarri ha scritto che da oltre venti anni i singoli stati nazionali europei hanno perduto sovranità in almeno cinque campi, riferendosi egli alla triade Difesa-sicurezza-immigrazione, alla politica estera, agli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, dall’energia e, infine, al binomio costituito dall’alta ricerca in campo tecnologico e dalla formazione del capitale umano.
Una perdita di sovranità – ha spiegato Baldassarri nel suo articolo – che non si sarebbe verificata a causa di supposti “trasferimenti” all’Europa, bensì per la ragione contraria, cioè poiché non è stata traferita all’Europa, che, sempre secondo il presidente del Centro Studi Economia Reale, sarebbe «l’unico soggetto in grado di fronteggiare, almeno su questi temi, il mondo globale».
Dalle pagine rosa del quotidiano della Confindustria egli ha proseguito che sarebbe una pura illusione ritenere di poter recuperare quelle porzioni di sovranità perduta attraverso «un passo indietro verso i singoli stati nazionali che, singolarmente presi, oggi non sarebbero più in grado di fornire ai propri cittadini quei cinque fondamentali “beni pubblici” sopra citati».
Ma, allora come è possibile risolvere questo annoso problema? Con «un passo avanti verso un nocciolo duro di stato federale europeo», che poggi le proprie fondamenta su un bilancio federale “aggiuntivo” che sia, però, politicamente accettabile e concretamente fattibile.
Nell’attuale Unione europea (che è un sistema intergovernativo e non federale) il bilancio comune ammonta all’1,5% del prodotto interno lordo deli Stati membri (inteso complessivamente), a fronte, a titolo di esempio, del bilancio federale degli Stati Uniti d’America che, invece, è pari al 25 per cento.
Sulla base del ragionamento di Baldassarri, da ciò conseguirebbe che i «nazional-sovranisti» – come li definisce lui – e gli «europeisti a prescindere», avrebbero entrambi una ragione e un torto. Vediamole.
I nazional-sovranisti avrebbero ragione a criticare l’Unione europea intergovernativa, che avrebbe palesemente creato più problemi di quanti non sia stata in grado di risolverne. Avrebbero invece torto quando propongono un ritorno indietro nel tempo agli «nazionalismi degli staterelli del passato», impotenti nel fornire ai loro stessi cittadini quei beni pubblici fondamentali di cui si è parlato.
Gli europeisti a prescindere, in vece, avrebbero il torto di non criticare a fondo l’Europa intergovernativa (dunque quella attuale), tuttavia avrebbero ragione nel sostenere che occorrerebbe fare un passo in avanti verso una vera e propria Europa federale.
Essa però, per venire edificata abbisogna di un coraggioso (soprattutto in questa difficile fase) e preciso progetto.
L’ipotesi esplorata è quella di un’Europa a cerchi concentrici, che vedrebbe al proprio centro un nucleo costituito dagli Stati federati con il loro bilancio “aggiuntivo”, che esprimerebbero cinque ministri taskati per le cinque specifiche competenze, materie indispensabili a un recupero effettivo e collettivo di sovranità.
«Su questo chi ci sta ci sta – ha affermato Baldassarri -, meglio se si partisse dal nucleo duro dei Paesi dell’eurozona».
Seguirebbero quindi i Paesi del primo cerchio, quelli aderenti all’Unione europea col suo mercato unico e la libera circolazione di merci e persone. Infine il secondo cerchio, quello più largo dell’Europe-Africa Trade and Development Area (EAFTD), cioè l’area di libero scambio e di cooperazione allo sviluppo tra i due continenti che si affacciano sul Mediterraneo.
Rispetto alle due posizioni contrapposte di europeisti e antieuropeisti, una possibile soluzione di compromesso potrebbe rinvenirsi nella “somma di tutte le rispettive ragioni”, partendo da una puntuale critica dell’Europa oggi in essere (quella intergovernativa dove a decidere sono i vertici dei governi nazionali in carica), proponendo contestualmente un progetto finalizzato alla concreta realizzazione di un’Europa federale.
A questo punto nell’analisi dell’economista marchigiano emergerebbe il rischio di una sommatoria dei due torti a carico dei rispettivi orientamenti, quello di una critica all’Europa intergovernativa che sia priva, però, di alcuna proposta concreata relativa alla costruzione dell’edificio europeo.
Le conseguenze sarebbero quelle di una progressiva dissoluzione dell’Europa che c’è e la definitiva perdita di speranza nell’avvento di un’Europa che si vorrebbe, col risultato ulteriore di uno spostamento massiccio di potere verso l’Asia. La sostanziale assenza dell’Europa come soggetto unitario, quindi con effettive prerogative, nel mondo globalizzato.
«Dall’altra dell’Atlantico – ha quindi concluso Baldassarri – gli Usa si illudono di potersi barcamenare da soli mediante la stipulazione di accordi sul piano bilaterale, ricorrendo all’antica tecnica degli Orazi e dei Curiazi, senza avvedersi che questo gioco lo sta già facendo la Cina in tutto il mondo».
Quando Trump impone i dazi Pechino risponde svalutando la sua moneta (il renminbi/yuan) attraverso decisioni di natura politica assunte unilateralmente, poiché nonostante il gigantesco sviluppo in campo economico il paese rimane pur sempre una repubblica popolare comunista che accentra nel Partito le leve di comando.
Il risultato che ne consegue è quello del «ritorno alla casella di partenza, come in un masochistico gioco dell’oca nel quale tutti i partecipanti ci rimettono».
«È così – conclude Baldassarri – che l’Occidente, Usa e Europa assieme, rischia di subire impotente il proprio destino in questo XXI Secolo e, di fatto, sceglie la strada del suicidio assistito per mano di classi dirigenti miopi e prive di visione strategica, geopolitica, geoeconomica e democratica».