«Per Israele il 7 ottobre riveste significati sia sul piano militare che psicologico – ha esordito al riguardo il professor Ely Karmon -, poiché riveste una dimensione eccezionale: in ventiquattro ore sono stati uccisi milleduecento tra civili e militari, con in primi in maggioranza, e prese in ostaggio duecentocinquanta persone, cioè il sequestro di persone di maggiori dimensioni nella storia del terrorismo. Si rifletta su queste cifre: nella Guerra dei sei giorni del 1967 persero la vita settecento soldati israeliani, mentre in quella dello Yom kippur del 1973 i caduti israeliani furono duemilaseicento; durante i cinque anni della seconda intifada, dal 2000 al 2005 i civili uccisi sono stati un migliaio; se poi si effettua una comparazione con quanto verificatosi l’11 settembre del 2001 negli Stati Uniti d’America, paese che conta trecentocinquanta milioni di abitanti, i morti in un giorno furono tremila. Dunque, in proporzione, il 7 ottobre del 2023 in Israele sono state uccise una quantità enorme di persone, il peggiore pogrom dopo la Shoah».
IMPATTI DEL POGROM
L’impatto è stato dirompente non soltanto sulla popolazione israeliana, ma anche sull’establishment dello Stato ebraico, sulla sua amministrazione politica e militare. «Questo ha determinato la risposta molto forte di Israele prima ad Hamas nella striscia di Gaza e poi a Hezbollah in Libano – prosegue l’analista di Herzliya -, perché si doveva dimostrare che quello israeliano non è un popolo che si lascia distruggere in pochi giorni». È il ben noto principio della deterrenza assoluta. Tuttavia, Karmon ha affrontato anche l’argomento del bilancio delle vittime palestinesi della risposta militare di Gerusalemme (al momento provvisorio poiché non sono cessati i combattimenti), ponendo in discussione i dati forniti dal Ministero della Salute della Striscia, gestito da Hamas, che a suo avviso «nei quarantamila morti palestinesi omette di includere sedicimila terroristi, tra i quali almeno un venti per cento di giovani di età dai dodici ai sedici anni, reclutati da Hamas e dalle altre formazioni combattenti palestinesi».
LE ALTERNATIVE DI ISRAELE
Si tratta dunque di un conflitto asimmetrico nel quale, a fronte di una riduzione dei lanci di razzi da parte di Hamas e Jihad Islamica dalla striscia di Gaza quale conseguenza della graduale assunzione del controllo del terreno da parte dell’esercito israeliano, ha preso avvio parallelamente una guerra di usura dal Libano a opera di Hezbollah, «in precisa corrispondenza con i successi conseguiti da Israele nella ridefinizione degli equilibri regionali a svantaggio dell’Iran», sottolinea ancora Karmon, con l’asse di Resistenza che è stato attivato da Teheran proprio in conseguenza di questa dinamica allo scopo di arrestarla. Per tornare al tema delle vittime civili, la riflessione di Alberto Pagani è che «oggi è difficile immaginare che si possa intervenire militarmente senza mettere in conto la morte di civili quando si combatte contro milizie, quindi non contro forze armate regolari, che si nascondono dietro a scudi umani. Da questo punto di vista le alternative che ha Israele sono, o non fare la guerra, oppure farla: non c’è una via di mezzo; non risulta possibile farla in modo tecnologicamente mirato colpendo esclusivamente obiettivi militari ben definiti, quando questo non ci sono».
GUERRA ASIMMETRICA
«Certamente – precisa Pagani -, si cerca di colpire obiettivi militari, ma se questi sono stati occultati sotto un ospedale la possibilità che si verifichi una catastrofe umanitaria non è remota. Il dramma di questa vicenda è che la popolazione palestinese, già martoriata e in condizioni di sofferenza, si trova oggi in queste condizioni ancor più disastrose e, inoltre, ad aver introiettato un sentimento di odio che si trascinerà dietro almeno per un’altra generazione. Questa guerra servirà a Israele a risolvere una parte del problema sul piano militare, grazie all’eliminazione delle capacità offensive delle milizie proxi degli iraniani, tuttavia, l’enorme risentimento alimentato dal conflitto gli arrecherà ulteriori problemi». L’attacco terroristico compiuto il 7 ottobre dello scorso anno ha avuto quale effetto principale quello di sabotare l’accordo in procinto di essere firmato tra Israele e Arabia Saudita, funzionale all’implementazione del progetto dell’India-Middle East-Europe Corridor (IMEC), corridoio alternativo a quello cinese della Belt and Road Initiative (Nuova Via della seta).
HAMAS FA SALTARE L’ACCORDO CON I SAUDITI
Il progetto IMEC era stato presentato dal presidente americano Joe Biden nell’agosto 2023, nel successivo mese di settembre era poi stata pubblicamente annunciata l’esistenza di un piano nell’ambito di questo progetto, finalizzato alla normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra lo Stato di Israele e il Regno dell’Arabia Saudita, preludio alla firma di un accordo strategico tra Riyadh e Washington che avrebbe contemplato lo sviluppo di un programma nucleare indipendente saudita e l’inclusione dei palestinesi in vista di una loro stabilizzazione. La data della firma ufficiale di questo accordo era in procinto di venire calendata, probabilmente per il successivo mese di dicembre o al massimo al gennaio del 2024, ma alcune settimane dopo Hamas ha perpetrato la strage di enormi proporzioni mandando all’aria tutto. «La maggioranza degli esperti israeliani di sicurezza – sottolinea Karmon -, si dicono convinti che Yahya Sinwar (leader di Hamas nella striscia di Gaza e dall’agosto del 2024 presidente dell’Ufficio politico del partito islamista palestinese, n.d.r.) non abbia fatto capo agli iraniani o a Hezbollah nell’attuazione dell’azione terroristica del 7 ottobre, io sono invece convinto del contrario».
PERCHÉ IL 7 OTTOBRE
Dunque, una data, quella del pogrom, stabilita in funzione del sabotaggio del progetto caldeggiato dagli Stati Uniti d’America che avrebbe coinvolto anche l’Europa e buona parte delle monarchie del Golfo Persico. «È chiaro che Hamas vuole perseguire gli interessi del popolo palestinese – conclude Karmon -, almeno così come loro li intendono, tuttavia, la sua leadership era perfettamente al corrente di quella che sarebbe potuta essere la reazione militare israeliana, ma ha deciso egualmente di assumersi questo rischio». La capillare rete di tunnel estesa per tutta la striscia di Gaza in qualche modo è indicativa della strategia perseguita da Hamas, consapevole della durezza di una risposta dello Stato ebraico, ma indifferente alla esposizione delle centinaia di migliaia di civili palestinesi del territorio sotto il suo controllo.
GLI OBIETTIVI (NON CONSEGUITI) DA HAMAS
Quindi, il 7 ottobre del 2023 le formazioni islamiste armate palestinesi sono penetrate in territorio israeliano, ma non hanno cercato di conseguire gli obiettivi che i loro vertici avevano stabilito (l’area densamente antropizzata attorno a Tel Aviv, la grande base aerea strategica di Nevatim, sita a quindici chilometri a sudest della città di Beersheba, e la centrale nucleare di Dimona), accanendosi sui kibbutzim e le cittadine a ridosso del confine con la striscia, venendo poi bloccati dai militari e dalle forze di polizia israeliane una volta che queste si erano riorganizzate dopo lo shock iniziale.
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