ISRAELE, Tsahal. Suicidi di militari, terzo caso di “lone soldier” di origini americane in pochi mesi

Questa volta si è tolta la vita una ragazza di 19 anni originaria di Miami. Si era trasferita in Israele due anni fa. Prestava servizio in un’unità combattente “mista”, i parenti affermano che fosse estremamente motivata

 

 

Ennesimo caso di suicidio tra i militari delle forze armate dello Stato ebraico (Tsahal), in particolare dei volontari provenienti dall’estero, i cosiddetti «lone soldiers».

Una cittadina statunitense di diciannove anni, Michaela Levit, si è tolta la vita. L’ultima frase lasciata scritte a parenti e amici dalla ragazza è stata «sto affrontando le difficoltà», tuttavia non ha specificato quali esse fossero.

Michaela era originaria di Miami, in Florida, e si era trasferita in Israele nel 2017 per prestare servizio come volontaria nell’esercito. Era stata assegnata al 33º battaglione di fanteria “Caracal”, un’unità mista (composta da personale sia di sesso maschile che femminile) dipendente dal Comando Sud di Tsahal che, normalmente, è dislocata assieme ad altre unità similari, a ridosso della linea di frontiera con la Giordania e l’Egitto.

Al personale in forza a tale unità vengono assegnati principalmente compiti di sorveglianza. I militari di truppa, reclutati su base volontaria, svolgono un servizio della durata di trentadue mesi, otto in più della leva normale (a sua volta recentemente ridotta anch’essa).

Un parente israeliano della ragazza suicidatasi ha affermato che ella era estremamente motivata ed eccitata al pensiero di servire come soldatessa nell’esercito, poiché «avrebbe voluto diventare una combattente e una comandante».

Di Michaela, “Mika” per chi le voleva bene, vengono ricordati l’altruismo e la forza di volontà, elementi del suo carattere che l’avevano aiutata ad affrontare e superare – almeno fino al momento della sua tragica e irreversibile scelta – la durezza e le difficoltà insite nella vita militare in un sistema come quello israeliano.

Non è facile per un ragazzo, per quanto motivato e resistente, trovarsi a convivere quotidianamente con lo stress derivante dai pericoli di un impiego anche a presidio di una frontiera.

I vertici di Tsahal negano l’esistenza di una tendenza preoccupante riguardo ai suicidi di militari e, contestualmente, affermano che negli ultimi dieci anni c’è stato un significativo miglioramento delle condizioni di vita e di impiego del personale in forza.

Un aspetto confermato anche da buona parte dei diretti interessati e dai dati ufficiali, dai quali emerge che nel corso del 2018 il tasso di suicidi registrato tra i soldati israeliani è calato del 43%, tuttavia i due ragazzi che in questi primi mesi del 2019 si sono tolti la vita, uniti al decesso per overdose di droga, rappresentano certamente un segnale d’allarme.

 

 

 

 

 

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