AFRICA, tentato golpe nella Repubblica Democratica del Congo. Pena di morte chiesta per i 50 imputati

La pubblica accusa ha chiesto la condanna a morte quale pena per i cinquanta imputati nel processo relativo la tentativo di colpo di stato che l’esercito della Repubblica Democratica del Congo (RDC) afferma di avere sventato nel maggio scorso. In attesa che i giudici emettano la sentenza i cinquantuno imputati restano detenuti nel carcere militare di Ndolo, a Kinshasa, luogo dove si sono svolte le udienze dall’inizio del mese di giugno. Tra gli imputati figurano sei cittadini stranieri, tre statunitensi, un congolese naturalizzato belga, un britannico e un canadese, anch’egli naturalizzato congolese, tra di essi anche quattro donne e un esperto militare belga-congolese, Jean-Jacques Wondo, già collaboratore dei servizi segreti della Rdc, persona arrestata due giorni dopo i fatti. Le accuse formalizzate includono i reati di attentato, terrorismo, detenzione illegale di armi e munizioni da guerra, tentato omicidio, associazione a delinquere, omicidio e finanziamento del terrorismo. La pena di morte non è stata richiesta per uno degli imputati, che sulla base di un referto medico soffrirebbe di disturbi di natura psicologica.

Nella notte del 19 maggio, nel distretto di Gombe a Kinshasa, diverse decine di uomini armati attaccarono la residenza del ministro Vital Kamerhe, attuale presidente dell’Assemblea nazionale e nel corso dell’azione due agenti di polizia della sua scorta vennero uccisi. Gli aggressori presero quindi d’assalto il Palais de la Nation, che ospita gli uffici del presidente Félix Tshisekedi, filmandosi mentre sventolavano la bandiera dello Zaire, precedente denominazione della Rdc ai tempi del regime di Mobutu, rovesciato nel 1997; essi annunciarono la fine dell’attuale governo, in carica dal 2019 e rieletto nello scorso dicembre.

L’intervento delle forze di sicurezza pose poi termine agli attacchi armati, nello scontro a fuoco rimasero uccisi quattro ribelli. Secondo la successiva ricostruzione dei fatti da parte dell’esercito della Rdc, nella quale l’evento venne immediatamente definito un «tentativo di colpo di stato stroncato sul nascere», i ribelli (quaranta dei quali erano stati poi arrestati), rinvenivano il loro leader in Christian Malanga, quarantunenne congolese residente negli Stati Uniti d’America. Il processo non ha tuttavia fatto luce sulle motivazioni dei partecipanti all’operazione, poco preparati a rovesciare il regime, né ha individuato i possibili mandanti, questo a fronte delle denunce delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani, che hanno criticato «l’opacità» che avrebbe caratterizzato gli interrogatori dei presunti golpisti arrestati. Nel corso del dibattimento gli imputati hanno attribuito la responsabilità al presunto capo del commando. Suo figlio, Marcel Malanga, nato negli Stati Uniti da madre americana, ha dichiarato di essere stato costretto dal padre, «uomo autoritario», a partecipare a un’operazione di cui non era a conoscenza degli obiettivi. Lo scorso mese di marzo il governo della Rdc ha posto fine alla moratoria sull’esecuzione della pena di morte che era in vigore dal 2003, della quale avevano beneficiato principalmente i militari accusati di tradimento durante la ribellione armata sostenuta dal Ruanda nelle regioni orientali del Paese.

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