ECONOMIA, commercio internazionale. Made in China: quando gli interessi tra Usa e Cina convergevano al fine di trasformare il commercio globale

La recensione del volume scritto da Elizabeth O'Brien Ingleson è di Elizabeth van Heuvelen, economista senior presso il Dipartimento strategia, politica e revisione del Fondo monetario internazionale

Concentrando il focus dell’analisi sul periodo cruciale degli anni Settanta, “Made in China”, saggio scritto da Elizabeth O’Brien Ingleson, rammenta l’esistenza di radici delle complessità (ancora) presenti nelle attuali relazioni tra Cina Popolare e Stati Uniti d’America, così come, più in generale, nel commercio globale. https://www.imf.org/en/Publications/fandd/issues/2024/03/Book-review-trading-partners-Obrien-Ingleson-Van-Heuvelen?utm_medium=email&utm_source=govdelivery

IL CAPITALISMO CHE INCORPORÒ LA CINA POPOLARE

L’autrice sostiene che la trasformazione del mercato cinese e la relazione tra le due potenze sono state rese possibili da tre fattori interconnessi: culturale, diplomatico ed economico. Ella, attraverso una meticolosa ricerca, giunge a descrivere il modo in cui questi fattori si sono manifestati in ogni paese, oltreché in relazione tra loro, al fine di fornire una risposta a quesiti fondamentali di respiro più ampio, non soltanto sul perché la Cina si sia avvicinata al capitalismo statunitense, ma anche su quello relativo all’incorporazione da parte dei capitalisti americani della Cina nella loro visione del futuro.

ANALISI DI UNA RELAZIONE COMMERCIALE

Arricchito da un’aneddotica fresca e di estremo interesse, il saggio della O’Brien Ingleson accompagna il lettore attraverso gli incunaboli di una relazione commerciale instabile che cercò di trovare un proprio equilibrio. Intervallati da osservazioni più ampie riguardo ai rapporti di natura politica e diplomatica che ebbero luogo in quel periodo, vengono testimoniate le vicende di alcuni importatori statunitensi (come fu ad esempio Veronica Yhap, fondatrice di Dragon Lady Traders) e illustrato il loro ruolo nella promozione di quella che venne a suo tempo definita la «diplomazia della moda», che ad avviso dell’autrice apportò un importante contributo al disgelo diplomatico e commerciale tra i due grandi paesi.

L’OSSERVAZIONE DELLE DINAMICHE DI ALLORA

Il saggio include altresì i resoconti delle prime fiere commerciali che si svolsero a Canton, una documentazione in grado di venire utilizzata come una lente attraverso la quale osservare le lotte intestine alla Repubblica popolare cinese che verterono su quanto appropriato fosse per Pechino questo modello di commercio estero, accendendo contestualmente i riflettori sulle modalità mediante le quali gli imprenditori statunitensi vedevano la Cina durante quel periodo. In questo senso, la O’Brien Ingleson svolge acute osservazioni riguardo alle diverse modalità attraverso le quali Cina e Stati Uniti incentivarono il commercio durante la fase di normalizzazione, cioè quando il Segretario di Stato americano Henry Kissinger e il presidente Richard Nixon concepirono il commercio quale meccanismo in grado di facilitare la diplomazia, mentre il leader comunista cinese Mao Zedong lo configurava invece come «qualcosa» che sarebbe seguito solo dopo aver affrontato spinose questioni diplomatiche.

DIPLOMAZIA ED ECONOMIA GLOBALE

Si tratta di una spiegazione plausibile del perché il commercio tra i due Paesi iniziò a singhiozzo, decollando soltanto dopo che i rispettivi interessi si furono allineati quasi completamente. Il saggio della O’Brien Ingleson evidenzia inoltre il ruolo sproporzionato che la diplomazia può svolgere nel plasmare la traiettoria dell’economia globale. Leggendo questo libro, per chiunque segua le relazioni tra Cina Popolare e Stati Uniti d’America oggi, molti dei temi relativi al Made in China suoneranno familiari, incluso il concetto maoista di «autosufficienza» (zili gengsheng), la cui evoluzione è un tema sul quale l’autrice si sofferma in particolare quando resoconta questo periodo. Dati gli shock geopolitici verificatisi negli ultimi anni e le elevate tensioni sul piano delle relazioni commerciali, tale concetto è balzato nuovamente in primo piano nei documenti politici cinesi, risalendo ai primi giorni di riavvicinamento descritti nel volume. L’autrice descrive come allora i duri politici e i cosiddetti pragmatici si scontrarono sul ruolo che avrebbe potuto rivestire la Cina Popolare in uno scenario commerciale e geopolitico in evoluzione.

I FERTILIZZANTI DELLA KELLOGG

Per chiunque segua oggi le relazioni tra Pechino e Washington, non poche tematiche affrontate dalla O’Brien Ingleson nel suo saggio risulteranno familiari. Allo stesso modo, ella riconduce il lettore ai primi giorni degli sforzi profusi dalla Cina comunista per acquisire know-how tecnologico; lo fa descrivendo nel dettaglio l’acquisto da parte cinese nel 1973 degli impianti di fertilizzanti Kellogg. Una citazione di Lin Hujia, al tempo vicedirettore della Commissione di pianificazione statale cinese, rende la dimensione della decisione di perseguire l’accordo nei termini che, alla fine, si rivelarono fondamentali al perseguimento della strategia di sviluppo della Repubblica Popolare: «Dovremmo mangiare due milioni di tonnellate di grano importato o acquistare dieci impianti di fertilizzanti chimici… credo che saremo tutti d’accordo nell’acquistare i dieci impianti di fertilizzanti».

SFIDE NON NECESSARIAMENTE NUOVE

L’autrice descrive la diffidenza inizialmente nutrita dai sindacati americani nei confronti delle importazioni cinesi, dall’approvazione del Trade Act del 1974 alla petizione sulle quote da parte della Worker Glove Manufacturers Association, altro filo conduttore della narrazione che presenta notevoli parallelismi con le dinamiche attuali. In definitiva, ella conclude che le relazioni tra la Repubblica popolare cinese e Stati Uniti d’America «confluirono in una fase storica nella quale entrambi avevano bisogno l’uno dell’altro per conseguire i propri rispettivi obiettivi nazionali strategici. In un momento, quello attuale, in cui le tensioni tra Pechino e Washington sono particolarmente forti, “Made in China” rammenta che, comunque, non poche delle sfide odierne non sono necessariamente nuove. Per gli ottimisti questo potrebbe offrire un barlume di speranza, ipotizzando uno scenario nel quale ognuno dei due Paesi potrà incorporare l’altro nella propria visione del futuro e, a questo proposito, un ulteriore studio di come le tre forze interconnesse (culturale, diplomatica ed economica) abbiano continuato a evolversi negli anni più recenti sarebbe dunque illuminante.

INFO

autrice: Elizabeth O’Brien Ingleson;

titolo: Made in China: when US-China interests converged to transform global trade;

editore: Harvard University Press, Cambridge, MA, 2024;

ISBN: 9780674251830;

pagine: 352;

prezzo: 37,95 USD.

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