LIBIA, crisi e analisi di scenario. Ultimi sviluppi a seguito delle recenti dinamiche

Cosa succederà adesso, dopo la presa di posizione della Camera dei Rappresentanti libica riguardo al Consiglio presidenziale e al Governo di unità nazionale? La Libia è nuovamente di fronte alla possibilità di una escalation militare? Il processo elettorale nel Paese nordafricano va considerato «de facto» archiviato? Gli analisti politici Marwa Muhammad e Ahmed Orabi, in esclusiva per “al-Fajir” delineano un possibile quadro della situazione in divenire

Il Cairo, 14 agosto 2024, https://www.elfagr.org/5011613Ci troviamo dunque di fronte all’ennesimo rischioso sviluppo della crisi politica libica, con la Camera dei Rappresentanti presieduta da Aguila Saleh che ha dichiarato scaduto il mandato del Consiglio presidenziale e del governo provvisorio di «unità nazionale» che vede al suo vertice Abdul Hamid Al-Dabaiba. Per alcuni si è trattato di una mossa unilaterale destinata ad alimenterebbe la lotta per il potere nel Paese nordafricano.

LA DECISIONE DI BENGASI

Una decisione assunta dopo che nel corso di una sessione che ha avuto luogo a Bengasi, la Camera dei Rappresentanti aveva votato all’unanimità la fine del mandato conferito all’attuale autorità esecutiva, oltreché per considerare il governo di «stabilità» presieduto da Osama Hammad legittimo soltanto fino alla formazione di un nuovo esecutivo unificato. Inoltre, il Consiglio ha approvato all’unanimità il conferimento ad Aguila Saleh dell’autorità di comandante supremo dell’esercito, in conformità con la Dichiarazione costituzionale. Si è trattato di una decisione che ha sostanzialmente esautorato il Consiglio presidenziale dalle sue funzioni di comando supremo militare, rifacendosi alla Dichiarazione costituzionale del 2011.

FINE DEI POTERI DEL CONSIGLIO E DEL PRESIDENTE

Lo stesso presidente del Parlamento libico è intervenuto personalmente nel corso della sessione affermando senza mezzi termini che «il governo di Dabaiba era scaduto più di cinque anni fa a causa della sua incapacità di organizzare le elezioni», chiedendo altresì una divisione delle risorse del Paese tra le regioni quale soluzione alla crisi in atto. Saleh ha infine sottolineato la necessità di porre fine alla centralizzazione e della necessaria istituzione di governatorati al fine di «addivenire a un’autorità unica ed equa». Dal canto suo, allo specifico riguardo il Consiglio presidenziale non ha diffuso una dichiarazione ufficiale, tuttavia il suo presidente, Mohamed Al-Manfi, ha convocato una riunione di emergenzaallo per discutere sulla situazione venutasi a creare, mentre i membri del Consiglio hanno definito le dichiarazioni di Saleh viziate da illegalità. Anche Khaled Al-Mishri, personalità vicina alla presidenza del Consiglio Supremo di Stato, ritiene che la decisione di esautorare il Consiglio presidenziale dal comando dei militari sia «illegale» e «assunta in violazione dell’accordo politico stipulato a Skhirat nel 2015».

VERSO UN’ULTERIORE FRAMMENTAZIONE

Questi sviluppi hanno luogo in un contesto caratterizzato delle critiche rivolte dalla Camera dei Rappresentanti al Consiglio presidenziale, accusato di aver costituito organismi indipendenti che eccedono nei loro poteri, aspetto che il Parlamento considera pericoloso oltreché ingiustificato. Da parte sua, Marwa Muhammad (giornalista egiziana specializzata nell’analisi delle vicende libiche, ha affermato che la decisione odierna del parlamento libico porterà alla continua frammentazione del paese a tutti i livelli, sottolineando che «il vero timore è che nel prossimo periodo qualsiasi partito o organismo politico locale possa annunciare passi unilaterali e non calcolati». Si rafforza quindi ’idea di una divisione, che però metterebbe in pericolo la stabilità e la sicurezza della Libia.

ELEZIONI DIMENTICATE

Ella, in una intervista esclusiva concessa all’agenzia di stampa “Al-Fajr”, ha sottolineato come «l’incapacità delle Nazioni Unite di controllare rapidamente la situazione e di aprire spazi a un nuovo processo politico possa spingere il Paese nordafricano verso la disintegrazione definitiva», dunque, sempre ad avviso della Muhammad, «l’inviata ad interim delle Nazioni Unite in Libia, Stephanie Khoury, dovrebbe accelerare i suoi sforzi più di quanto si legge nel dossier e nell’annuncio di un piano finalizzato alla gestione della crisi in modo da condurre il Paese alle elezioni, sulle quali non si sente quasi più parlare neppure a livello internazionale».

UNA GESTIONE CONDIVISA DEL POTERE

L’analista egiziana si dice convinta che sia giunto il momento che «tutti i partiti libici mettano da parte le loro differenze e si uniscano per gestire in maniera condivisa il potere, addivenendo a un’equa distribuzione di cariche e risorse, con pari diritti attribuiti alle tre regioni che compongono il Paese, offrendo in questo modo l’opportunità di una concreta partecipazione al processo decisionale da parte del popolo libico». La Muhammad sottolinea inoltre le preoccupazioni relative al fatto che queste divisioni politiche siano apparse nella loro lacerante realtà avvenute in un momento di crescente preoccupazione internazionale per la mobilitazione militare nel Paese.

RISCHIO ESCALATION

A seguito dell’invio di rinforzi nella regione sudoccidentale del Fezzan da parte dell’esercito libico, il Governo di unità nazionale di Tripoli ha dichiarato a sua volta lo stato di allerta, ingenerando incertezze e serie preoccupazioni in seno alla comunità internazionale, che teme una escalation e il mancato rispetto del cessate il fuoco raggiunto nell’ottobre del 2020. Di questo si è altresì detto convinto anche lo scrittore e analista politico Ahmed Orabi, la cui posizione sull’argomento, egli è infatti concorde riguardo alle possibili ulteriori complicazioni causate dalla decisione della Camera dei Rappresentanti libica. In alcune dichiarazioni rese in merito ad “Al-Fajr”, Orabi ha sostenuto come quella decisione sia «una bomba diretta contro il Consiglio presidenziale e il Governo di unità nazionale, poiché, in quanto senza mandato, li elimina dalla scena», una dinamica che potrebbe portare anche a una riconsiderazione degli accordi politici raggiunti a Ginevra.

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