ESTERI, Europa e scenari. Ad avviso dell’ambasciatore Marco Carnelos «il declino del Vecchio Continente è ormai ventennale»

In questa intervista concessa dal diplomatico al quotidiano on line “l’Avanti!”, viene approfondito il tema relativo al dopo elezioni europee, con le conseguenti nomine al vertice dell’Unione europea, la posizione assunta dal Governo Meloni e il ruolo svolto sullo scenario internazionale da Bruxelles e dal Vecchio Continente tra la NATO e gli Stati Uniti d’America

a cura di Roberto Pagano, giornalista; pubblicato su “l’Avanti!” il 2 luglio 2024, https://www.avantionline.it/il-dopo-elezioni-ue-ambasciatore-carnelos-maggioranza-ursula-non-ignori-monito-delle-urne-declino-del-vecchio-continente-ormai-ventennale/ L’Ambasciatore Carnelos è netto sul risultato elettorale nell’Unione europea: «La maggioranza Ursula non potrà continuare a far finta che non è successo niente».

I DESTINI DELLA «MAGGIORANZA URSULA»

Tranchant sul declino economico e politico europeo: «il Vecchio Continente è in una fase terminale. Gli ultimi quindici venti anni sono stati un disastro epocale». E su Italia, nomine ai vertici dell’Unione europea e il nuovo Commissario italiano «ora Meloni deve giocarsi la partita», dopo il «probabile fallimento» della Presidente del Consiglio dei ministri per aver provato a posporre la scelta a seguito delle elezioni all’Europarlamento. Per venticinque anni nella carriera diplomatica, l’Ambasciatore Carnelos ha prestato servizio in aree di guerra, quali Somalia e Iraq, in Australia e presso le Nazioni Unite a New York. Già consigliere di tre Presidenti del Consiglio, tra il 2012 e il 2015 è stato inviato speciale per l’attuazione del processo di pace in Medio Oriente e la soluzione della crisi in Siria. Fondatore e presidente di MC Geopolicy, Carnelos ha concluso la sua carriera diplomatica in Iraq alla fine del 2017.

IL PARERE DELL’AMBASCIATORE CARNELOS

L’AVANTI! – Ambasciatore Carnelos, come valuta la posizione del governo italiano dopo le nomine dei vertici dell’Unione europea da parte del Consiglio europeo? L’Italia, con la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha criticato «metodo e merito», dissociandosi, similmente al premier magiaro Orbán.

CARNELOS – Il merito della critica avanzato dal Premier Meloni è condivisibile. Le scelte dei vertici dell’Unione europea sembrano non tenere conto del messaggio che sarebbe stato lanciato dagli elettori nelle recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo. Tuttavia, questa si scontra con una posizione che vede la cosiddetta “maggioranza Ursula” sostanzialmente riconfermata dal voto. Insomma, tra chi vede il bicchiere mezzo pieno e chi mezzo vuoto.

Al momento, alcuni osservatori e fonti interne bruxellesi hanno rilevato che, in realtà, l’Italia non ha fatto alcuna controproposta, autoisolandosi. Una conseguenza del governo di Roma – espressione del vertice di ECR/FDI – di non aver saputo approntare una strategia, dinanzi alla sicura riedizione della “maggioranza Ursula” popolari-socialisti-liberali?

La vera partita che le Meloni ha forse tentato di portare avanti, e dove ha probabilmente fallito, è stata quella di provare a far decidere le nomine dopo le elezioni francesi e non prima, come è invece è avvenuto. L’accelerazione delle nomine è frutto del panico diffuso per il messaggio politico giunto dalle elezioni del Parlamento Europeo e da quello che potrebbe arrivare dalla Francia, e se la Le Pen vincerà la maggioranza Ursula non potrà continuare a far finta – come ha fatto fino ad adesso – che non è successo niente.

E adesso, quali le opzioni per la premier italiana?

Adesso la Meloni, se intende andare avanti, deve giocarsi la partita in modo molto più rischioso, legandosi alle situazioni assai aleatorie determinate dall’umore dei franchi tiratori nel Parlamento europeo il 18 luglio prossimo quando la nomina della von der Leyen dovrebbe essere ratificata. Il rischio vero che corre è quello di scontentare tutti, la maggioranza Ursula che non gli riconoscerà il diritto ad un Commissario di peso (come peraltro è già accaduto con Gentiloni che formalmente ha avuto un portafoglio importante, ma che nei fatti era completamente svuotato dal frugalissimo e ostico Dombroskis, longa manus di Berlino) e anche la Le Pen, perché quest’ultima non gradirà una convergenza troppo tardiva della Meloni nei suoi confronti. La partita tuttavia è ancora aperta, spero solo che non venga condotta con le stesse tattiche della nostra disgraziata nazionale di calcio.

Quale prospettiva per Ursula von der Leyen, cinque anni fa eletta con soli nove voti di maggioranza, che auspica per la sua rielezione, ma anche oltre, eventuali apporti più o meno occasionali di Verdi o destra estrema nell’Europarlamento?

Personalmente vedo più i Verdi disponibili a fare da stampella alla von der Leyen che non la destra estrema. Se quest’ultima sosterrà la Presidente della Commissione uscente vorrà dire che o non è destra estrema, oppure che si è fatta cooptare in cambio di qualcosa.

La Presidente della Commissione europea ha affermato che dialogherà con tutti i parlamentari con il discrimine di alcune priorità: diritti, green deal, Difesa europea e sostegno all’Ucraina. Ma con un’area conservatrice dentro il Ppe che guarda ai gruppi di destra, euroscettici e tiepidi verso Kiev non si rischia uno strabismo di Bruxelles?

Quando utilizza il termine «diritti» la von der Leyen dovrebbe chiarire meglio cosa intende. Sul Green Deal sta subentrando qualche corposo ripensamento, qualcuno a Bruxelles, in modo tragicomico direi, si è reso conto adesso! (come è accaduto ai Democratici americani con la demenza di Biden dopo il dibattito con Trump) che quasi tutta la catena di approvvigionamento di questa transizione dipende dalla Cina, con la quale Bruxelles, su input della Commissione e incredibilmente eterodiretta da Washington, e addirittura da Londra!, si avvia a seguire il de-coupling da Pechino. Ovviamente con un trucco semantico tipico dei peggiori spin doctors, lo chiamano «de-risking», ma non ci crede nessuno, specialmente a Pechino, che si regolerà di conseguenza. Come riusciranno a conciliare questa mostruosa contraddizione nessuno lo sa.

Su Kiev e le evidenti visioni strabiche bruxellesi, ambasciatore Carnelos?

Circa l’Ucraina, a prescindere da tutto quello che si può dire sulle responsabilità e le omissioni che hanno portato al conflitto, trovo a dir poco singolare che la situazione in uno Stato non membro dell’Unione e che, peraltro, non hai mai brillato per l’aderenza ai tanto declamati valori dell’Unione europea (il mio è un understatement ovviamente) assuma un ruolo così importante nella definizione delle politiche fondamentali di Bruxelles. Infine, quanto allo strabismo di quest’ultima, esiste da tempo ormai, anzi è divenuto uno dei suoi tratti caratteristici che contribuiscono a comporre il noto doppio standard delle politiche dell’Occidente.

La Francia vedrà una inedita coabitazione con Macron che probabilmente dovrà nominare un premier di RN come Bardella o addirittura del Fronte Ppopolare delle sinistre, mentre in Germania la coalizione semaforo Spd-Verdi-Fdp di Scholz è in grande difficoltà. Ma l’asse franco-tedesco è solo indebolito o in crisi incipiente?

L’asse franco-tedesco è finito! Macron e Scholz sono due sonnambuli che si avviano verso un baratro.

Come vede il Vecchio Continente nel quadro mondiale, tra Cina e Usa, anche in attesa dell’esito delle Presidenziali statunitensi di novembre?

Il Vecchio Continente è in una fase terminale. Gli ultimi quindici venti anni sono stati un disastro epocale. Nel 2008 prodotto interno lordo dell’Unione europea era pari a circa 16.000 miliardi di dollari, quello statunitense di circa 14.000; nel 2022 il Pil dell’Ue è a quasi 20.000 miliardi, ma nel dato è incluso anche quello del Regno Unito, mentre quello degli Stati Uniti d’America è cresciuto a 25.000. In sintesi, Washington ha quasi raddoppiato il proprio Pil, mentre l’Ue è sostanzialmente rimasta al palo. Se non è un disastro questo…

Poco prima del conflitto Russia-Ucraina l’Alleanza Atlantica era in profonda crisi, rischiando lo scioglimento. Ricordiamo le dichiarazioni dell’allora presidente Usa, Donald Trump, o del francese Macron. Ma con Mark Rutte prossimo Segretario generale della NATO vi sarà continuità con le dure posizioni di Jens Stoltemberg?

Ovviamente, è stato scelto appositamente.

Una nuova amministrazione Trump cosa comporterebbe per l’Unione europea e la NATO? Tornerà l’insistenza sul 2% per le spese militari?

Come minimo Trump invierà un ultimatum in tal senso. Resta poi da vedere se verrà eletto. Al momento se Biden restasse in gara azzarderei a dire che vincerà Trump. Se invece i Democratici dovessero destarsi dal torpore e dalle dissonanze cognitive che li caratterizzano il quadro potrebbe cambiare, ma attenzione, il distacco dalla realtà che caratterizza l’attuale leadership democratica statunitense potrebbe addirittura portarla a scegliere il cavallo di rimpiazzo sbagliato, e non sarebbe la prima volta. Occorre sempre ricordare che non esiste un limite al peggio.

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