SOCIETÀ, comunicazione. I persuasori occulti della politica moderna e la consunzione dei leader

Spin doctor, agenti di influenza, psicological operations: così funziona il “marketing politico” al giorno d’oggi. Il tema delle campagne elettorali nell’era della fast politics affrontato alla Konrad Adenauer Stiftung di Roma.

Va tutto sempre più velocemente, anche la politica. O meglio, è la comunicazione a dover stare nei tempi pretesi dalla fast politics, un prodotto della digitalizzazione spinta della società che impone la massima rapidità nella fornitura di risposte all’opinione pubblica, intesa essa in tutta la completezza delle sue sfaccettature.

In vista di consultazioni elettorali come quelle imminenti per il rinnovo del Parlamento europeo, la captazione del consenso rende indefettibile il ricorso a sofisticate tecniche di persuasione basate sulla conoscenza del potenziale elettore che si recherà alle urne per votare.

Il condizionamento di essi si ottiene attraverso l’impiego di vari strumenti e facendo leva sulla percezione della realtà e sulla propaganda. Alla base di tutto c’è il “marketing politico”, finalizzato alla creazione e al recapito, spesso in modo estremamente mirato, di una serie di messaggi al corpo elettorale.

Le campagne elettorali nell’era della fast politics è stato l’argomento trattato nel corso della tavola rotonda che ha avuto luogo ieri a Roma presso la Konrad Adenauer Stiftung, che ha visto la partecipazione di alcuni esperti della materia, evento del quale insidertrend.it rende fruibile l’ascolto (registrazioni A133A e A133B in calce all’articolo e nell’archivio audio del sito).

Politica è sì esplicazione delle prerogative di democrazia, tuttavia è anche conquista del potere, un obiettivo che presuppone una dura lotta per il suo conseguimento.

Ma cos’è davvero il marketing politico e come funziona? È propaganda condita con dosi di disinformazione, cioè null’altro rispetto a ciò che si faceva in passato con tecniche e nomenclature differenti?

Per comprenderne meglio la natura è utile fare riferimento allo specifico caso italiano, poiché attualmente questo Paese si offre come un laboratorio privilegiato, sia in ragione del marcato grado di polarizzazione politica (in verità, elemento questo non estraneo ad altri contesti all’estero) sia a causa delle influenze esercitate dall’esterno – vere o presunte che siano – sul normale processo di formazione del consenso politico prima e durante le campagne elettorali.

Il caso italiano è di particolare interesse per la ragione che dal 1993 nel panorama politico non sono più presenti partiti strutturati nelle forme tradizionali, cioè in quelle di formazioni in grado di organizzare il proprio elettorato conseguendo consensi attraverso l’attività condotta dai propri apparati sul territorio, come accadde invece al tempo dei grandi partiti di massa come il Partito comunista italiano e la Democrazia cristiana.

Quella dei primi anni Novanta fu una travagliata fase di transizione che si caratterizzò per l’estinzione del vecchio sistema partitico (travolto dalle inchieste giudiziarie sulla corruzione) e per il concomitante altro epocale mutamento, la fine della contrapposizione dei blocchi provocata dall’implosione dei regimi socialisti dell’Europa orientale.

Il fenomeno rappresentato dall’ascesa di Silvio Berlusconi e del suo “partito azienda” rispetto a questo primo fondamentale passaggio è paradigmatico, in quanto, oltre a fare emergere sulla scena un leader “populista”, assunse anche tutti gli aspetti di una creatura generata in vitro.

Infatti, l’ex cavaliere – uomo in precedenza non estraneo alla politica per via dei suoi interessi imprenditoriali – costruì a tavolino Forza Italia avvalendosi di apporti esterni. Come Ezio Cartotto, politologo ex democristiano chiamato da Marcello Dell’Utri, che a partire dal 1992 fu a capo di un gruppo di lavoro che lavorò alla formazione politica di alcuni uomini della Fininvest allo scopo di trasformarli nei “quadri” del futuro partito.

Il principio alla base del populismo berlusconiano era quello del «Io so cosa vuole il popolo e quindi a questo adeguo la comunicazione…», inscindibile dal modello applicato attraverso i media, che presuppone l’esclusione dell’avversario dalle trasmissioni televisive. Un modello di successo applicato anche di recente, quando dei personaggio politici di secondo piano sono stati “pompati” in vista della loro proposizione in ruoli di leader, risultato ottenuto attraverso la ripetuta apparizione in talk show, varietà e altre trasmissioni.

Oggi – e qui siamo all’ulteriore transizione nella comunicazione politica – si assiste al ribaltamento di quel modello a causa dell’imposizione della rete, una dimensione nuova nella quale coesistono e si confrontano tutti i competitori politici.

Si tratta del modello attualmente impersonificato da Matteo Salvini, quello de «il popolo sa cosa voglio io…», che attraverso le informazioni sugli utenti del web ricavate nella rete (è il lavoro svolto dalla sua war operational room, la ben nota «bestia») consente di intercettare il sentiment e di comunicare in tempo reale con efficacia.

Associando questo al controllo di alcune reti televisive può portare alla “copertura” del segmento di elettorato potenziale costituito dal pubblico generalista (in Italia per nulla residuale), dunque il conseguente raggiungimento di elevati livelli di consenso politico.

Ecco spiegati alcuni atteggiamenti apparentemente bizzarri del leader della Lega, come farsi fotografare mentre mangia pane e Nutella o addenta un hamburger al fast food, ovvero ancora mentre guarda il Grande Fratello in televisione. Egli utilizza i comportamenti degli italiani, li copia e li fa successivamente reimmettere in rete nella forma di messaggi, intercettando così il sentire comune in quello specifico momento.

Ovviamente, data la sua collocazione politica, deve necessariamente fare ricorso anche al classico armamentario sovranista, come la creazione del nemico, sia esso l’immigrato, la globalizzazione o la moneta unica europea.

Studi specifici rivelano che in Italia l’elettore medio dedica un solo minuto di attenzione al giorno alla politica, conseguentemente, per generare in lui un interesse i messaggi devono essere semplificati in modo radicale e inoltre concentrati, per colpire la sua attenzione tra le migliaia di altri messaggi diversi che lo bersagliano continuamente.

Un flusso indistinto di messaggi, però, è difficilmente traducibile in pratica fast politics, tuttavia nella rete ci sono le conversazioni tra internauti e, soprattutto, sono efficaci i «flussi emozionali».

Questi non sono utilizzati per condizionare i decisori politici come farebbe un classico agente d’influenza, però, se sfruttati nell’ambito di campagne mirate, possono generare particolari situazioni nelle quali i decisori saranno costretti a tradurle in termini politici. Da questo punto di vista risultano oltremodo importanti i social media e i nuovi media.

Il marketing politico propriamente detto si articola su tre componenti fondamentali: segmentazione, targeting e posizionamento, che sono poi nella sostanza le tre fasi del suo processo.

Nella prima fase l’elettorato complessivamente inteso viene suddiviso in gruppi di dimensioni più ridotte sulla base di precisi parametri, quali (anche) la profilatura psicologica dei singoli soggetti;

segue poi la fase dell’individuazione dei vari gruppi sociali ai quali indirizzare messaggi personalizzati (microtargeting);

infine il posizionamento, durante il quale i candidati devono apparire credibili e diversi dagli altri loro concorrenti.

Tutto si gioca sulla percezione, non sulla sua concreta effettività, poiché non conta tanto l’effettivo dato statistico quanto il come l’opinione pubblica possa percepire la realtà.

In una fase di polarizzazione politica come l’attuale, le emozioni, declinate nei loro due estremi della paura e della speranza, pongono in discussione la figura dell’elettore razionale.

Va tutto sempre più velocemente, anche la politica. Nell’era della fast politics il consenso di un leader può venire meno rapidamente. In un sistema instabile come quello italiano, dove la personalizzazione della politica si è trasformata in leaderizzazione, ciò significa che i tempi di usura degli uomini al vertice si riducono, con la conseguente frustrazione di loro stessi e del loro elettorato.

 

 

A133A – SOCIETÀ, COMUNICAZIONE: I PERSUASORI OCCULTI DELLA POLITICA MODERNA, le campagne elettorali nell’epoca della Fast Politics. Introduzione di PATRICIA LIBERATORE (coordinatrice di progetto della Konrad Adenauer Stiftung); interventi di: MARCO CACCIOTTO (professore a contratto, docente di comunicazione pubblica e politica presso l’Universitá di Torino e autore del volume “Il nuovo marketing politico” edito da Il Mulino), ALBERTO CASTELVECCHI (professore aggiunto di public speaking e comunicazione efficace presso la LUISS Guido Carli di Roma), PHILIPP KARDINAHL (referente scientifico, esperto di comunicazione politica della Konrad Adenauer Stiftung di Berlino), ANDREA CAMAIORA (moderatore, CEO e founder di The Skill).

A133B – SOCIETÀ, COMUNICAZIONE: I PERSUASORI OCCULTI DELLA POLITICA MODERNA, le campagne elettorali nell’epoca della Fast Politics. Introduzione di PATRICIA LIBERATORE (coordinatrice di progetto della Konrad Adenauer Stiftung); interventi di: MARCO CACCIOTTO (professore a contratto, docente di comunicazione pubblica e politica presso l’Universitá di Torino e autore del volume “Il nuovo marketing politico” edito da Il Mulino), ALBERTO CASTELVECCHI (professore aggiunto di public speaking e comunicazione efficace presso la LUISS Guido Carli di Roma), PHILIPP KARDINAHL (referente scientifico, esperto di comunicazione politica della Konrad Adenauer Stiftung di Berlino), ANDREA CAMAIORA (moderatore, CEO e founder di The Skill).
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