La serie di violenze perpetrate in Ecuador è il risultato di un’azione coordinata di bande criminali che hanno agito perseguendo l’obiettivo di precipitare nel caos il Paese sudamericano, ponendone a repentaglio la stabilità democratica e costringendo il presidente Daniel Noboa a reagire con l’introduzione dello stato di emergenza e la dichiarazione di «conflitto armato interno».
AZIONE CRIMINALE COORDINATA
Il bilancio provvisorio è di almeno tredici morti e numerosi feriti, mentre la polizia ha arrestato più di settanta persone. Ieri, nella città portuale di Guayaquil, un commando di giovani criminali armati ha assaltato e occupato per un paio d’ore l’emittente TC Television, sequestrando giornalisti e tecnici. In seguito, l’intervento delle unità speciali della polizia li ha liberati ha catturato i malviventi. Misure di sicurezza eccezionali per tentare di ristabilire l’ordine pubblico sono state disposte dal governo di Quito, che ha fatto massiccio ricorso al dispiegamento nelle città del Paese dei militari in assetto di guerra, che pattugliano le strade appoggiati dai loro veicoli blindati.
L’EVASIONE DAL CARCERE DI «FITO»
La situazione si è resa ancor più insostenibile dopo l’evasione dal carcere di Adolfo Macías, alias «Fito», narcotrafficante e leader dell’organizzazione criminale dei “Los Chineros”, evento che ha immediatamente scatenato la violenta azione dei gruppi criminali, che hanno sobillato rivolte nelle carceri, sequestrando ostaggi e compiendo attacchi armati, incendi, omicidi e sequestri di persona. In Ecuador sono ventidue le bande di narcotrafficanti recensite e dichiarate «terroristiche». Ieri, rivolgendosi alla popolazione dai microfoni della radio, il presidente Noboa ha ammesso che il paese si trova ad affrontare un conflitto armato, «non è internazionale – ha specificato -, ma lottiamo per la pace contro dei terroristi».
SI COMPATTA IL FRONTE POLITICO ECUADOREGNO
A seguito dei drammatici eventi tutte le forze politiche si sono compattate al fianco del capo dello Stato a difesa della democrazia e delle istituzioni, con loro anche l’ex presidente, il progressista Rafael Correa, attualmente esule in Belgio, che si è rivolto direttamente al conservatore Noboa mediante un videomessaggio assicurandogli il suo «sostegno illimitato». «Questo è il momento dell’unità nazionale – ha egli dichiarato -, perché il crimine organizzato ha dichiarato guerra allo Stato, e lo Stato deve vincere». La situazione in Ecuador ha iniziato a conoscere un degrado, fenomeno divenuto ben presto esponenziale, da quando alcuni anni fa gli esponenti dei cartelli della droga di Messico e Colombia si sono infiltrati in varie province del Paese, operando con i loro sodali delle principali mafie europee, quelle balcaniche (principalmente albanesi-kosovare) e italiane (‘ndrangheta), attive nel lucroso traffico di sostanze stupefacenti, soprattutto di cocaina.