IRAN, attentato cimitero di Kerman. Islamic State rivendica la strage

All’indomani del grave atto terroristico, mentre il bilancio delle vittime veniva rivisto al ribasso (84 morti e 284 feriti), gli jihadisti di Daesh se ne sono assunti la responsabilità. Un aspetto sul quale nella giornata di ieri molto si era speculato e che era stato fonte di asprissime polemiche

Cosa realmente potrà voler significare questa rivendicazione, cioè, quali gruppi della galassia jihadista possano aver collocato e perché quegli ordigni che ieri mattina, anniversario dell’uccisione del generale dei Guardiani della Rivoluzione Qasem Soleimani, al cimitero di Kerman ha seminato la morte, sarà compito degli analisti dell’intelligence appurare. Di certo c’e questa rivendicazione da parte di Islamic State, cioè di una organizzazione terroristica radicale sunnita, rivendicazione resa nota mediante un post su “X” da parte della magistratura della Repubblica Islamica dell’Iran (Mizan), che ha fatto riferimento ad «alcuni fonti dei media».

DISINFORMAZIONE E PROPAGANDA

Nel vortice della disinformazione e della propaganda che sempre in questi casi ammanta tutto, la matrice relativa a Islamic State parrebbe venire avvalorata anche da Washington, seppure informalmente, a seguito delle dichiarazioni rese alla stampa a condizione del mantenimento del proprio anonimato da un alto funzionario dell’amministrazione statunitense, che nelle ore successive all’attentato si è riferito a esso affermando che «sembra un attacco terroristico, il tipo di cose che il Daesh ha fatto in passato, ed è quello che stiamo ipotizzando in questo momento». Nulla di più però.

UNA STRAGE  

Quello perpetrato ieri al «cimitero degli eroi» di Kerman costituisce uno degli attentati più devastanti della storia dell’Iran, poiché per ritrovare traccia di stragi di queste dimensioni è necessario tornare indietro di molti anni, al periodo immediatamente successivo alla rivoluzione islamica khomeinista del 1979, quando gruppi armati dell’opposizione agli ayatollah e ai governi allora insediatesi a Teheran, organizzazioni non infrequentemente eterodirette, colpirono non soltanto le sedi politiche e istituzionali della neonata Repubblica Islamica, ma anche in maniera indiscriminata la popolazione civile, come nel caso degli attentati agli autobus pubblici stracolmi di passeggeri.

DESTABILIZZARE IL QUADRO REGIONALE

È evidente come quella compiuta ieri sia un’azione mirante a destabilizzare un quadro (non soltanto) regionale, già di per sé oltremodo perturbato e a rischio, questo mentre è in atto una saldatura di un fronte sunnita-sciita (Hamas, Jihad islamica palestinese, Hezbollah libanese, Houthi e Iran) che attacca militarmente Israele. E ovviamente, pur in assenza di elementi di prova disponibili da parte della propria intelligence, Teheran, ricevendo il sostegno del Qatar, ha immediatamente accusato Israele e gli Stati Uniti d’America dell’attentato, ricevendo da essi una secca smentita in ordine a presunte responsabilità, con il portavoce del Consiglio di sicurezza della Casa Bianca, John Kirby, che dichiarava ufficialmente come Washington non avesse indicazioni che Israele fosse coinvolto.

LE IPOTESI E LE POLEMICHE ALIMENTATE SU DI ESSE

Inevitabilmente, sulla ridda di ipotesi in ordine alla paternità dell’attentato è esplosa una dura polemica che, tra i suoi autorevoli protagonisti, ha visto anche personalità del calibro di Vali Nasr, cittadino statunitense di origini iraniane già membro del Dipartimento di Stato Usa e attualmente docente presso la Johns Hopkins University. Egli, nella giornata di ieri ha dichiarato che l’esplosione di Kerman «è il secondo attacco letale contro un obiettivo del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione (IRGC) dopo l’assassinio di un generale in Siria. Questo significa che Israele può colpire duramente l’Iran al suo interno. Ci saranno ritorsioni, ma forse non nell’immediato, l’Iran sa di essere coinvolto in una guerra che potrebbe trascinare anche gli Stati Uniti e non è questa la sua scelta: potrebbe non abboccare».

ENTRANO IN GIOCO GLI «AGENTI DI INFLUENZA»

Dura la replica del professor Ely Karmon, noto esperto di terrorismo e analista presso la Reichmann University di Herzliya, Israele: «Vali Nasr è un agente d’influenza iraniano all’interno dell’establishment statunitense – ha egli postato su “X” -, i principali sospettati di un simile attacco terroristico sono i i curdi, baluci e gli arabi del Khorasan, che combattono tutti per l’indipendenza. Nel 2017, il comando curdo/ISIS ha attaccato il mausoleo di Khomeini e il parlamento iraniano». In effetti, quella dell’opposizione interna delle minoranze etniche è l’ipotesi residuale una volta scartata la prima, quella appunto che rinverrebbe in Gerusalemme ed eventualmente anche di Washington i responsabili dell’attentato, nonché fatta la tara sul piano dell’attendibilità alla rivendicazione di Islamic State diffusa dagli iraniani.

I DUBBI

Tuttavia, nessuna organizzazione riconducibile alle minoranze etniche ha finora rivendicato l’attentato di Kerman, inoltre si dubita sulle reali capacità di queste ultime nel porre in essere un’azione del genere, seppure in seno a esse si rinvengano elementi radicali orientati al salafismo e al jihadismo, non necessariamente eterodiretti da Israele e dagli americani, tuttavia interessati alla destabilizzazione dell’Iran e/o alimentare l’escalation nella regione. A Teheran i vertici persiani della Repubblica Islamica improntano alla cautela la linea d’azione del Paese, così come per altro fatto nel recente passato a seguito della serie di eliminazioni mirate di propri elementi apicali oppure fondamentali ai fini dei programmi strategici in fase di sviluppo, come quello nucleare.

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