I documenti di bilancio presentati dal Governo italiano (Nota di aggiornamento del Def o Nadef e la bozza di Legge di Bilancio) si basano su previsioni ottimistiche per quel che riguarda la crescita attesa del prodotto interno lordo (Pil), la dinamica degli oneri finanziari sul debito pubblico, le entrate connesse a privatizzazioni e quindi, conseguentemente, la discesa nel rapporto tra debito pubblico e Pil.
I RISCHI DIETRO L’ANGOLO
Sulla base di questi presupposti gli economisti partecipanti alla discussione hanno evidenziato lo scarso realismo relativo agli impegni assunti dall’esecutivo in carica nei termini di aumento dell’avanzo primario nei bilanci pubblici dei prossimi anni. Essi aggiungono inoltre che «si accresce l’incertezza sui mercati internazionali riguardo alla capacità di collocare sul mercato, a condizioni adeguate, le ingenti emissioni di titoli pubblici implicite nell’andamento atteso del disavanzo». Tale incertezza può inoltre pesare negativamente sui negoziati per la revisione delle regole fiscali europee miranti a dare maggiore titolarità alle autorità nazionali nella definizione delle loro politiche di bilancio. In assenza di una revisione degli obiettivi di finanza pubblica contenuti nella Nadef al fine di rendere più credibile la riduzione del debito pubblico nei prossimi anni, anche alla luce del nuovo quadro macroeconomico internazionale, i rischi di instabilità finanziaria per il Paese possono notevolmente aumentare.
CALMA APPARENTE
Il Governo Meloni ha superato senza danni la scadenza dei giudizi delle agenzia internazionali di rating, che un po’ per la ragione che in una fase critica come quella attuale sarebbe un suicidio innescare una turbolenza finanziaria a seguito del declassamento a junk dei titoli italiani (in fondo, ai suoi creditori lo Stato gli interessi sul debito li ha sempre pagati regolarmente, quindi essi non nutrono certamente interesse a mettere in ginocchio chi gli deve soldi col rischio che divenga insolvente), un po’ perché, in effetti, la manovra di bilancio varata da Palazzo Chigi, per quanto in deficit, è stata apprezzata dai mercati, che l’hanno ritenuta sì espansiva, ma tutto sommato limitata nei suoi termini quantitativi, malgrado il Paese sia già in campagna elettorale. In più, a favore del governo di destra-centro ha giocato anche la chiusura dell’era delle misure espansive precedenti, che molto hanno inciso (e molto ancora incideranno) sul bilancio pubblico e il debito, qualcosa che eviterà la deriva dell’aumento della spesa.
IL DEBITO PUBBLICO: UN MOLOCH APPARENTEMENTE INSCALFIBILE
Ma è proprio quest’ultimo, il debito pubblico, il moloch apparentemente inscalfibile, anche alla luce della sua attuale traiettoria incrementale, funzione non soltanto di limitati deficit, ma soprattutto di tassi d’interesse maggiori di quelli della crescita del Pil. Una crescita asfittica molto lontana dalle ottimistiche previsioni elaborate da Palazzo Chigi soltanto qualche mese fa, prima della sua seconda Legge di Bilancio. Si tratta di aspetti di natura macroeconomica che l’esecutivo sarà necessariamente costretto a rivedere, poiché la riduzione delle entrate fiscali si sommerà alla concreta praticabilità delle annunciate privatizzazioni, che nella retorica ufficiale assumono la valenza di un apporto salvifico. Ma, se la crescita del Pil non sarà quella prevista (meglio: auspicata), allora quale potrà essere il sentiero che deciderà di percorrere questo governo?
ALLE SCELTE CORRISPONDONO ALTRETTANTE INCOGNITE
Si avvierà su quello della politica di tagli, attraverso una reale spending review che avvicini all’impegnativo obiettivo del 3% di surplus primario necessario ad aggiustare i conti pubblici, oppure, a fronte dei costi di natura politica che certamente deriveranno da una politica di austerità, il Governo rinvierà ancora la decisione? In fondo, in questi tempi effimeri non si percepisce poi così tanto una sensazione d’urgenza e puntare tutto sulla crescita pone non poche incognite, anche tenendo conto degli effetti attesi dalla messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, del quale non si è in grado di valutare il suo effettivo effetto moltiplicatore. Tuttavia i nodi stanno venendo al pettine, e in qualche maniera con l’Europa ci si dovrà relazionare, non fosse altro per la ragione che bisognerà risolvere per tempo (e i tempi sono oltremodo stretti, al netto della ratifica del Mes) la questione della riforma del Patto di stabilità e crescita, con i suoi parametri.
L’ORA DELLA VERITÀ
Quale sarà dunque la percezione che avranno i mercati di fronte all’eventuale incapacità del Governo italiano di fare delle scelte di respiro pluriennale superando le colonne di Ercole del limitato esercizio finanziario 2024 e dei colli di bottiglia rappresentati dal mancato o incompleto varo delle previste riforme strutturali? Liberalizzazioni e contrasto di evasione ed elusione fiscale sono azioni possibili a ridosso delle elezioni europee e, forse, anche di un referendum istituzionale, col rischio di intaccare gli interessi dell’elettorato di riferimento? E infine: che accadrà se e quando la banca centrale europea si disferà della massa di titoli del debito pubblico italiano che oggi detiene in pancia? Sui mercati si metterà in moto un meccanismo di ripensamento riguardo alla sostenibilità del debito italiano? Si genererà un effetto pressorio? A tutti questi interrogativi hanno tentato di fornire una risposta gli economisti che hanno preso parte alla discussione organizzata dall’Università Bocconi, un webinar del quale di seguito è possibile ascoltare la registrazione audio integrale (A597).