ISRAELE, guerra. L’attacco di Hamas: aggiornamento e analisi

Al momento del più recente bilancio delle vittime provocate dall’attacco di Hamas a Israele, i morti risultavano essere seicento, oltre duemila i feriti e un centinaio gli ostaggi catturati dai terroristi islamisti e successivamente segregati nelle prigioni segrete della striscia di Gaza. In totale sul territorio dello Stato ebraico sono state attaccate ventidue località, mentre nel sud del Paese militari e polizia continuano a combattere le residue sacche di terroristi ancora attivi

Al momento del più recente bilancio delle vittime provocate dall’attacco di Hamas a Israele, i morti risultavano essere seicento, oltre duemila i feriti e un centinaio gli ostaggi catturati dai terroristi islamisti e successivamente segregati nelle prigioni segrete della striscia di Gaza. In totale sul territorio dello Stato ebraico sono state attaccate ventidue località, mentre nel sud del Paese militari e polizia continuano a combattere le residue sacche di terroristi ancora attivi.

OPERAZIONE SPADA DI FERRO

Intanto nella striscia di Gaza le Forze di difesa israeliane (IDF) hanno lanciato l’operazione “Spada di Ferro”, quale rappresaglia all’attacco di Hamas, per il momento si tratta di missioni dell’aeronautica militare, ma non viene esclusa la possibilità di un attacco da terra. Decine di velivoli da combattimento con la stella di Davide hanno bombardato diciassette obiettivi di natura militare della Brigata  ʿIzz al-Dīn al-Qassām e quattro quartieri generali dell’organizzazione armata islamista filiazione dei Fratelli musulmani finanziata dal Qatar e sostenuta dall’Iran. Il bilancio di queste iniziali operazioni è di trecentosettanta morti e duemila feriti.

HEZBOLLAH ATTACCA NEL NORD ALLE FATTORIE DI SHABA

Intanto, nel nord di Israele, nell’alta Galilea lungo la frontiera con il Libano, sono entrati ina zione i miliziani sciiti filoiraniani di Hezbollah, che hanno aperto il fuoco nel critico settore delle cosiddette Fattorie di Shaba, piccolo territorio formalmente conteso da Beirut e Gerusalemme che funge tuttavia da pretesto al Partito di Dio di Nasrallah e ai suoi referenti di Teheran per effettuare azioni provocatorie di natura dimostrativa. Come si ritiene sia stata quella di ieri, uno scambio di colpi con i militari di Tsahal estremamente circoscritto, ma dall’elevata valenza propagandistica e psicologica.

LE CAUTELE DEI DANTE CAUSA

Evidentemente, sia gli elementi apicali della potente organizzazione sciita che i loro dante causa iraniani in questa particolare fase non hanno interesse a esporsi eccessivamente restando coinvolti in un conflitto diretto con Israele, altrimenti, con ogni probabilità, il coordinamento delle operazioni ad armi ibrido-asimmetriche combinate con i gruppi islamisti palestinesi di Gaza e della Cisgiordania  avrebbe avuto bel altro esito rispetto al, pur devastante e crudele, attacco di ieri compiuto da Hamas nel Sud.

LE FRECCE DEL PARTO

È lecito ritenere che la partita si stia giocando su uno scacchiere globale, con interessi di gran lunga più grandi di quelli nutriti dai palestinesi (non infrequentemente strumento di altre potenze regionali del Medio Oriente) e dagli sciiti, non solo libanesi. Teheran ha a sua volta degli alleati di percorso dai quali non può permettersi di “strappare”, dunque è possibile che abbia scientemente limitato l’azione dei suoi proxi alle zone meridionali di Israele. Le frecce del Parto sono letali anche a grande distanza, ma certe linee rosse per il momento è bene non superarle.

OBIETTIVO: SABOTARE GLI ACCORDI CON L’ARABIA SAUDITA

In fondo, il risultato che volevano conseguire gli iraniani e gli islamisti palestinesi è stato sostanzialmente conseguito: fare naufragare gli accordi di Abramo e la normalizzazione delle relazioni tra Israele e l’Arabia Saudita. Su questo aspetto concordano quasi tutti gli analisti che si occupano di Asia Occidentale. Da Israele sull’argomento è intervenuto anche il professor Ely Karmon, ricercatore senior presso l’Istituto internazionale per l’antiterrorismo e la Reichman University di Herzliya. Egli, sulla scorta di quanto per altro dichiarato nel recente passato, ha espresso vivo disappunto riguardo alla gestione della sicurezza del suo paese da parte dell’intelligence e della Difesa.

LA DÉBÂCLE DELL’INTELLIGENCE ISRAELIANA

«Il fatto che Israele sia stato colto di sorpresa è un esempio lampante dei fallimenti sia sul piano strategico che tattico dell’intelligence – afferma Karmon -, Hamas era perfettamente consapevole che ci sarebbe stata una massiccia ritorsione israeliana, tuttavia ha agito lo stesso sapendo di avere il sostegno occulto di Stati che vogliono coinvolgere l’Occidente in un’altra guerra, questo mentre la NATO sta esaurendo la sua potenza in Ucraina. Ora, l’ingresso di elementi marginali dell’estremismo ebraico nella moschea di Al Aqsa a Gerusalemme potrebbe innescare un’altra “primavera araba” qualora le forze di sicurezza di Israele effettuassero un attacco sproporzionato che provocasse un gran numero di vittime civili tra i palestinesi».

«DISTRUGGERE LA STRUTTURA MILITARE DI HAMAS»

Alla luce di questa défaillance dell’intelligence del suo paese, il ricercatore di Herzliya è tornato a ribadire con forza il suo convincimento, quello relativo alla necessità che venga distrutta la struttura militare (ma non quella politico-religiosa) di Hamas, struttura che attualmente rinviene al suo vertice Muhammed Deif. «C’erano indicatori chiari che avrebbero dovuto indurre a valutare un evento imminente – argomenta Karmon – , ad esempio l’incremento dei lanci di missili verso il mare, inizialmente percepito come un tentativo di migliorare la precisione o l’efficienza operativa, che era invece parte integrante dei preparativi per questo attacco. Allo stesso modo, le esercitazioni condotte da organizzazioni quali la Jihad islamica palestinese lungo la barriera difensiva frontaliera, inizialmente descritte come esercitazioni di routine, ma che in realtà erano preparazioni tattiche».

LA SECONDA DÉFAILLANCE DELL’AMAN

«Purtroppo, la nostra intelligence non ha avuto accesso a informazioni strategiche vitali e non è riuscita a condurre un’analisi approfondita di questi segnali precursori», prosegue il ricercatore di Herzliya, «il secondo grande fallimento risiede nella loro riuscita esecuzione dell’operazione di infiltrazione e di occupazione di parte del nostro territorio, ricorrendo a un modus operandi oltremodo noto al nostro esercito. È preoccupante che siano riusciti a violare alcune delle nostre postazioni militari in prima linea e a neutralizzare i militari che le presidiavano».

IL PROBLEMA DELLE PERSONE SEQUESTRATE

Il fattore ulteriormente complicante della crisi è quello dei prigionieri sequestrati da Hamas, utilizzabili quale contropartita al fine di liberare i miliziani islamisti detenuti nelle carceri israeliane. Il numero due di Hamas, Saleh al-Arouri, ha al riguardo dichiarato all’emittente televisiva satellitare del Qatar, Al-Jazeera, che «i nostri prigionieri saranno presto scarcerati. Abbiamo nelle nostre mani un gran numero di prigionieri israeliani, compresi alti ufficiali». Karmon ha concluso esprimendo la una opinione su quale dovrebbe essere la strategia israeliana per Gaza: «Personalmente – ha affermato -, sostengo che si dovrebbe puntare alla distruzione del potere militare di Hamas e consentire all’Autorità palestinese di recuperare il controllo della striscia di Gaza con l’aiuto dell’Egitto».

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