CINA POPOLARE, strategie di penetrazione. I crescenti interessi di Pechino per il Medio Oriente

Convertire il proprio potere nella regione da economico in politico al fine di pervenire (anche) a una stabile presenza militare. Quello cinese si configura come un piano strategico elaborato nel quadro dell’attuale antagonismo con Washington. Per conseguire gli obiettivi che si prefigge, la Cina Popolare sta agendo allo scopo di guadagnare sempre maggiori margini di influenza su tutti gli attori mediorientali, sia i paesi arabi sunniti come Arabia Saudita, Egitto ed Emirati Arabi Uniti, finora in diversa misura alleati degli Stati Uniti d’America, che quelli dell’asse sciita, cioè Iran, Iraq, Siria e Libano; ma non solo, poiché i cinesi devono necessariamente rivolgersi anche a Israele

Questo è quanto emerso da un’analisi recentemente elaborata da Yaakov Lappin per l’Alma Research & Education Center – https://israel-alma.org/2023/09/05/china-transforming-its-economic-strength-into-middle-east-political-and-military-influence/ -, nella quale viene articolato nelle sue tre fasi il piano strategico sino-popolare per l’Asia Occidentale (o Medio Oriente).

LA STRATEGIA CINESE DI PENETRAZIONE IN MEDIO ORIENTE

La significativa dipendenza della Repubblica popolare cinese dalle importazioni di petrolio dal Medio Oriente ne implica un profondo coinvolgimento nelle dinamiche regionali, emblematizzato dalle infrastrutture ivi realizzate grazie al proprio coinvolgimento e alla ricerca di punti di appoggio per la proiezione militare, senza contare, poi, la partecipazione di ventuno Stati arabi alla Belt and Road Initiative. L’azione sistematica di Pechino è preordinata alla modifica dell’ordine mondiale finora guidato dagli Usa e uno degli strumenti idonei allo scopo è quello della messa in discussione della rete di alleanze di Washington in Medio Oriente, quindi, in definitiva, della preminenza e del ruolo di superpotenza svolto dagli americani. Una prospettiva ambiziosa che tuttavia, a differenza di quanto invece si impone agli americani, non comporta per i cinesi assunzioni di impegni onerosi di natura militare nella regione, con l’ulteriore vantaggio di non esporli a rischi eccessivi.

COMBACIANTI INTERESSI DI PECHINO E TEHERAN

La sete cinese di materie prime energetiche si va sposando con l’impellente necessità iraniana di trovare sponde a livello internazionale in un sistema che sia alternativo a quello del dollaro e dello Swift, da qui l’intesa tra Teheran e Pechino che consente alla repubblica Islamica di esportare gas e petrolio eludendo il regime sanzionatorio impostogli dall’Occidente. Uno scenario difficile per Washington, che viene ancor più complicato dal proprio disimpegno militare dalla regione, scelta che ha ingenerato una profonda insicurezza nelle leadership arabo sunnite di quegli Stati da sempre strettamente legati agli americani, che però, nel clima di incertezza venutosi a creare, vengono ora indotti a guardare favorevolmente alla Cina Popolare anche allo scopo di approfittarne in funzione di una mediazione che conduca a un allentamento del clima di tensione che finora ha caratterizzato i loro rapporti con l’Iran.

SFIDA CRESCENTE AGLI USA

Nel suo rapporto, Lappin ha preso in esame sia la situazione regionale che la strategia cinese in Medio Oriente, misurando l’influenza di Pechino mediante una serie di casi di studio su Arabia Saudita, Iran, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Siria, Iraq, Libano e, financo, Israele. Egli ha inoltre preso in considerazione le risposte americane alle attività poste in essere dai cinesi, giungendo alla conclusione che in termini di influenza politica nella regione la Cina Popolare sta ponendo una sfida crescente agli Usa, con particolare riferimento ai pragmatici Stati arabo sunniti che in precedenza erano saldamente posizionati nel campo americano, che invece negli ultimi tempi hanno intensificato le relazioni con Pechino, dubbiosi riguardo a concreto impegno che Washington potrà profondere per la loro sicurezza.

IL NUCLEARE DEGLI AL-SAUD

Riyadh, ad esempio, starebbe valutando una proposta cinese relativa alla realizzazione di una centrale nucleare, la notizia è trapelata attraverso un articolo del “Wall Street Journal” e nulla impedisce di pensare – sottolinea Lappin nel suo rapporto – che si tratti di una mossa concepita allo scopo di esercitare pressioni su Washington affinché esaudisca le richieste saudite relative a un programma nucleare civile quale parte dei negoziati in corso per la normalizzazione delle relazioni tra la monarchia degli al-Saud e lo Stato di Israele. Se gli americani rifiuteranno è probabile che i sauditi si rivolgano ai cinesi. L’attuale cooperazione con Pechino si configura anche in termini strumentali, una leva da usare nei confronti degli Stati Uniti d’America per spingerli a investire maggiormente nell’architettura di sicurezza regionale della quale detengono ancora la leadership.

LA DELICATA POSIZIONE DI ISRAELE

Ma se Washington non agirà in questo senso, argomenta Lappin, l’opzione cinese porterà gli Stati sunniti a cercare di garantirsi dai rischi rafforzando lo status DI Pechino in Medio Oriente quale alternativa crescente, con significative conseguenze per Israele. La capacità dello Stato ebraico di proiettare la propria forza e deterrere i potenziali nemici risulta infatti funzione della posizione assunta dagli americani in Medio Oriente, poiché Gerusalemme, in quanto più stretta alleata di Washington nella regione, sarà oggetto della maggiore o minore influenza di quest’ultima. Non solo. Israele dovrà aggiornare le proprie linee di azione in funzione della risposta alla politica cinese nella regione, preservando in ogni caso l’alleanza con gli Usa. Questo perché Israele non può assolutamente permettersi una posizione attendista nello scenario che si è delineato.

OPZIONI LIMITATE

Pertanto, conclude Lappin, le sue opzioni risultano limitate, anche per quanto concerne il mantenimento di un canale di dialogo e relazioni commerciali con la Repubblica popolare cinese. Allo stesso tempo, Israele ha un’eccellente opportunità per espandere la cooperazione militare con il Comando Centrale degli Stati Uniti d’America (CENTCOM), a cui si è unito nel 2021, puntando anche a cooptare i pragmatici governi arabi nel campo americano e a sostenere le forze armate statunitensi, riportando la politica estera di Washington «nel proprio tradizionale corso».

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