ISRAELE, proteste. Netanyahu non ci sta: dura presa di posizione del primo ministro contro gli oppositori

Sabato scorso sono scesi in piazza contro il suo governo di destra 200.000 manifestanti. Le critiche mosse all’esecutivo in carica dall’ex direttore del Mossad, che parla inoltre di un ppossibile futuro diverso approccio nei confronti dell’Iran. Intanto, nel pomeriggio di domenica in Cisgiordania un israeliano è stato gravemente ferito dai colpi di arma da fuoco esplosi da un terrorista

Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto pervenire la propria risposta alle vigorose proteste  dell’opposizione nel corso del consiglio dei ministri che ha avuto luogo ieri, dichiarando di «non accettare l’anarchia da parte di chi lancia appelli a bloccare le arterie, alla disobbedienza, a versare sangue nelle strade e ad attaccare figure pubbliche». Egli ha quindi espresso insoddisfazione nei riguardi di coloro i quali sono preposti al mantenimento dell’ordine pubblico: «Mi aspetto dal capo della polizia – ha egli affermato – che faccia rispettare la legge, che impedisca le violenze e la ostruzione di strade; inoltre, mi aspetto dallo Shin Bet e dalla magistratura che agiscano con determinazione contro gli incitatori all’uccisione di ministri e deputati, nonché di quella del premier e della sua famiglia. In merito non si deve chiudere un occhio».

LA REPLICA DI «BIBI»

Netanyahu ha altresì criticato il capo di stato maggiore di Tsahal, affermando di aspettarsi che «combatta con vigore contro quanti si rifiutano di prestare servizio nelle forze armate», poiché, ha aggiunto, «lo Stato non può tollerare questi fenomeni». In Israele, centinaia di riservisti appartenenti a unità di élite e dell’intelligence (come quelli che si occupano di cybersecurity) hanno infatti deciso di non svolgere il loro lavoro in segno di protesta nei confronti della politica dell’esecutivo in materia di riforma Giustizia nel timore di una messa in discussione della democrazia nel Paese. Si tratta della messa in pratica di una minaccia ventilata nelle scorse settimane, che vede protagonisti quasi settecento militari riservisti tra ufficiali e sottufficiali, sia dell’intelligence militare (Aman) che di Shin Bet e Mossad.

LA CONTESTAZIONE DEI MILITARI

«Interrompiamo oggi il nostro servizio – ha reso noto all’emittente radiofonica pubblica “Kan” una fonte degli organizzatori della protesta, il “Capitano Alef”, nome di fantasia dell’anonimo  portavoce – ma saremo felici di tornare a svolgerlo nel momento in cui la democrazia in Israele sarà al sicuro». È evidente il livello di polarizzazione raggiunto nel Paese, che registra addirittura la contrapposizione di ampi e strategici settori della Difesa e della Sicurezza. «Si tratta di persone che in molti casi rischiano la vita per garantire la sicurezza di Israele», ha al riguardo dichiarato Efraim Halevy, ex direttore del Mossad, nel corso di un’intervista rilasciata alla giornalista della CNN Christiane Amanpour, nel corso della quale ha sostenuto la posizione dei militari che minacciano di non prestare servizio se la riforma della Giustizia dovesse venire varata.

IL NETANYAHU DI IERI E QUELLO DI OGGI

«Natanyahu dice che non c’è motivo di rifiuto – ha aggiunto Halevy -, ma in realtà  i motivi del rifiuto ci sono tutti. Credo che il Benjamin Netanyahu di oggi non sia più quello che ho conosciuto quando mi nominò a capo del Mossad. Sono addolorato per questo, tuttavia non posso accettare che possa continuare a guidare il Paese». Nel corso della medesima intervista egli ha avuto modo di affrontare anche altre spinose tematiche, quali le violenze compiute dai coloni ebrei a Huwara in reazione all’assassinio di due ragazzi ebrei perpetrato alcune ore prima. Huwara, la stessa località dove nella giornata di ieri si è verificato un altro grave episodio di violenza, quando un terrorista palestinese che ha aperto il fuoco su un’autovettura in transito ferendo gravemente una persona, l’ex marine statunitense David Stern.

UN NUOVO APPROCCIO NEI CONFRONTI DELL’IRAN?

Halevy ha anche fatto cenno alle dinamiche in atto a livello  internazionale, con il riavvicinamento dell’Arabia Saudita all’Iran mediato dalla Cina Popolare. «Dovremmo rinvenire modi e mezzi per cercare di analizzare questi nuovi sviluppi al fine di comprenderne il senso, inoltre, anche se sia giunto il momento per Israele di cercare una politica diversa nei confronti dell’Iran», con intelligenza e discrezione nel tentativo di trovare una soluzione. «Non so se esiste una concreta possibilità – ha concluso Halevy -, ma questi sono i fatti (…) forse potremmo orientarci a un approccio diverso al conflitto israelo-iraniano».

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