SPETTACOLO, classici greci. Euripide: Ifigenia in Aulide in scena al Teatro Arcobaleno di Roma dal 9 al 18 dicembre

«E se Artemide vuole prendere la mia vita? Dovrei oppormi a una dea, io che sono mortale?» La tragedia greca al Centro Stabile del Classico, dove verrà rappresentata la versione italiana di Fabrizio Sinisi, per la regia di Alessandro Machìa. Nel ruolo di Agamennone un attore nato in quella che fu la Magna Grecia, il siciliano Andrea Tidona

Ultima delle tragedie euripidee, rappresentata postuma nel 399 a.C. in un periodo di profonda crisi del modello della pòlis greca, poiché di lì a poco ci sarebbe stata la disfatta di Atene contro Sparta e la conseguente fine di un modello politico e democratico. Ifigenia in Aulide viene ritenuta una tragedia ambigua, nella quale, come nell’Alcesti, si mette in scena un sacrificio e una morte che poi si riveleranno apparenti. Gli dèi di fatto non ci sono più, il tragico sembra franare, mentre gli eroi euripidei sono soltanto uomini lacerati, deboli e mutevoli che agiscono sulla base dei loro desideri e condizionati dalle loro paure, dunque lontanissimi sia dal modello omerico che da quello eschileo.

RAGIONE STRUMENTALE E POTERE

A dominare è la ragione strumentale e il discorso del potere. Emblematico, in questo senso, è il trattamento che Euripide fa di Achille, eroe demitizzato, quasi un personaggio comico, incapace di corrispondere al suo stesso mito originario; che non agisce, evita lo scontro con i soldati facendosi paladino, alla maniera dei sofisti, della persuasione e del dialogo, pur ripetendo, quasi volesse rincorrere quell’Achille omerico che Euripide non gli permette di essere, che lui salverà Ifigenia. Come quando dice a Clitemnestra: «Ti sono apparso come un dio e non lo ero. Ma lo diventerò». La crisi del sacro in Euripide si rende evidente anche attraverso la figura dell’indovino, qui considerato dai protagonisti alla stregua di un volgare ciarlatano, un imbonitore funzionale a tenere a bada la massa.

IL MITO SECONDO EURIPIDE

«Nella costruzione dello spettacolo – afferma Fabrizio Sinisi – ho voluto seguire il trattamento euripideo del mito cercando di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi che Euripide presenta come umani troppo umani; la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza. Tutto è ambiguo, apparente, a cominciare dal dialogo iniziale tra Menelao e Agamennone, da cui emergono due figure deboli, mediocri e velleitarie, che si scambiano accuse dicendo la verità l’uno dell’altro. Euripide crea una tensione tra il mito e la realtà, utilizzando il primo come mascheramento della seconda».

IFIGENIA SVETTA SU INCAPACITÀ E PAURE

In questa versione di Ifigenia in Aulide, Agamennone è costretto dalla necessità verso cui lo spingono gli eventi a sacrificare la propria figlia, trascinato dal motore della storia e da quella impossibilità di conciliare l’essere re con l’essere padre. Ma, ancor di più, a venire alla luce dal verso di Sinisi è l’umano euripideo che, oltre le costrizioni oggettive in cui si trova incastrato il sovrano, fa emergere il suo desiderio, la sua personale ambizione sempre accompagnata dalla paura e dall’incapacità di agire. L’abbassamento di tutti i personaggi della tragedia è funzionale all’innalzamento della giovane Ifigenia, “nata forte”.

L’ESALTAZIONE FINALE

Ella, infatti, decide di sacrificarsi, accettando e addirittura volendo il destino che è stato scelto per lei dal padre, in un trionfo di amor fati che solo può riscattare dalla febbre fagocitante che qui prende tutti i personaggi della tragedia, inclusa Clitemnestra, ora lontanissima dalla donna implacabile e inconciliabile descritta nell’Orestea di Eschilo. Nell’esaltazione finale nella quale Ifigenia accetta la sua morte, c’è l’assunzione piena del punto di vista del padre Agamennone e del maschile, ma non per debolezza: accettando e decidendo la sua morte Ifigenia si individualizza, esce dall’indistinzione diventando “qualcosa” nella morte imminente, un comandante lei stessa, sollevando allo stesso tempo il padre amato dalla piena responsabilità del sacrificio.

ARTEMIDE E IL SUO DEUS ES MACHINA

Una scelta netta della regia è stata quella di recuperare nell’esodo, considerato spurio, l’ipotesi che a raccontare della sostituzione di Ifigenia con una cerva non fosse un messaggero ma il deus ex machina della dea Artemide. «Nello specifico – sottolinea Alessandro Machìa -, ho voluto affidare il racconto dell’apoteosi della giovane a un’altra giovane donna, velata. Una straniera, volutamente interpretata dalla stessa attrice che interpreta Ifigenia, in modo da suggerire un cortocircuito emotivo, dato che la voce della straniera è la stessa che il pubblico ha ascoltato per più di un’ora e solo il volto è interdetto dal velo. Allo stesso tempo, svelare la natura convenzionale del deus ex machina euripideo: quest’ultimo è suggerito peraltro da una battuta cruciale di Clitemnestra nel finale, quando dice: “Come non dire che queste sono solo favole senza fondamento per farmi smettere di piangere a lutto per te?”.

DALLA TRAGEDIA AL DRAMMA

«Poco importa se la giovane si è davvero salvata all’ultimo istante – prosegue il regista -, il tragico si è già pienamente dispiegato nella sua natura inemendabile, ed è passato all’interno della coppia,  nella sfera borghese, segno di come la tragedia euripidea si sfaldi durante il suo farsi e annunci quasi il dramma borghese. Il finale, in cui Agamennone e Clitemnestra, marito e moglie stanno faccia a faccia, spogliati dagli abiti tragici è il compimento che abbiamo inteso attuare, di questo slittamento dalla tragedia al dramma».

IFIGENIA IN AULIDE

Ifigenia in Aulide, versione italiana della tragedia di Euripide realizzata da Fabrizio Sinisi, per la regia di Alessandro Machìa; personaggi e intrpreti:

Agamennone: Andrea Tidona;

Clitemnestra: Alessandra Fallucchi;

Menelao: Paolo Lorimer;

Achille: Roberto Turchetta;

Ifigenia: Carolina Vecchia;

coro: Lorenza Molina, Elisa Galasso, Carlotta De Cesaris, Chiara Sciá.

CONTRIBUTI

Scene: Katia Titolo;

costumi: Sara Bianchi;

luci: Giuseppe Filipponio;

suono: Giorgio Bertinelli;

movimenti coreografici: Fabrizio Federici;

assistente alla regia: Lorenza Molina;

organizzazione generale: Rossella Compatangelo;

foto e grafica Manuela Giusto;

comunicazione: Sofia Chiappini;

produzione: AC Zerkalo.

INFO

Teatro Arcobaleno (Centro Stabile del Classico), via Francesco Redi 1/A Roma;

telefono/telefax: 0644248154;

telefono: 064402719;

info@teatroarcobaleno.it

www.teatroarcobaleno.it

prezzi biglietti: intero euro 21,00 (più diritto di prevendita euro 1), ridotto euro 17,00 (più diritto di prevendita euro 1), ridotto studenti euro 14,00 (più diritto di prevendita euro 1), ridotto bambini euro 10,00; rappresentazioni dello spettacolo: venerdì e sabato alle ore 21:00, domenica alle ore 17:30; per convenzioni con cral, gruppi e associazioni rivolgersi a Elisabetta Martinelli: 3249993008; elisabettamartinelli73@gmail.com

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