VATICANO, Cina Popolare. Pechino e la Santa Sede rinnovano l’accordo sulla nomina dei vescovi

Non c’è firma, ma soltanto un rinnovo «ad experimentum» come due anni fa, tuttavia accompagnato da una intervista esplicativa che rappresenta la vera novità

a cura di Andrea Gagliarducci, vaticanista di ACI Stampa – Resta in vigore e segreto l’accordo tra Cina Popolare e Santa Sede per la nomina dei vescovi. L’accordo, che scadeva i due anni di proroga ad experimentum oggi, è stato rinnovato senza modifiche dalle due parti, e continuerà ancora ad experimentum per un altro biennio. Per la prima volta, però, l’annuncio del rinnovo dell’accordo è accompagnato da una intervista del cardinale Pietro Parolin, e segnala anche l’intenzione di portare avanti «un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali».

L’ANNUNCIO

Secondo una nota diffusa dalla Sala stampa della Santa Sede, «la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese, dopo opportune consultazioni e valutazioni, hanno concordato di prorogare per un altro biennio la validità dell’Accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi, stipulato il 22 settembre 2018 e rinnovato una prima volta il 22 ottobre 2020. La Parte vaticana è intenzionata a proseguire il dialogo rispettoso e costruttivo con la Parte cinese, per una proficua attuazione del suddetto Accordo e per un ulteriore sviluppo delle relazioni bilaterali, in vista di favorire la missione della Chiesa cattolica e il bene del Popolo cinese». In un’intervista rilasciata a “Vatican News”, il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, ha sottolineato come il rinnovo dell’accordo nasca «non nell’illusione di trovare nelle regole umane la perfezione, ma nella concreta speranza di poter assicurare alle comunità cattoliche cinesi, anche in un contesto così complesso, la guida di pastori che siano degni e idonei al compito loro affidato».

CONCORDARE PROCEDURE

Il Segretario di Stato vaticano rivendica che la storia insegna che la Santa Sede è arrivata a volte «a concordare procedure che tenessero in considerazione le condizioni particolari di un paese, senza però mai venir meno a ciò che per la Chiesa è essenziale e fondamentale, vale a dire la nomina di pastori buoni e valenti» e che «il procedimento previsto dall’Accordo è stato attentamente ponderato, tenendo conto delle caratteristiche particolari della storia e della società cinese e dei conseguenti sviluppi della Chiesa in Cina». Tre i risultati dell’accordo, secondo Parolin: «Tutti i vescovi della Chiesa cattolica in Cina sono in piena comunione con il Successore di Pietro e non ci sono più state ordinazioni episcopali illegittime»; ci sono state «le prime sei ordinazioni episcopali avvenute nello spirito dell’Accordo e in conformità alla procedura stabilita che lascia al Papa l’ultima e decisiva parola», e «in questo tempo anche i primi sei vescovi clandestini hanno ottenuto di essere registrati e dunque di ufficializzare la loro posizione, venendo riconosciuti come vescovi dalle istituzioni pubbliche».

ORDINATI SEI VESCOVI NOMINATI SECONDO L’ACCORDO

Il cardinale Luis Antonio Tagle, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, sottotlinea che «dal settembre 2018 sono stati ordinati sei vescovi nominati secondo le procedure previste dall’Accordo. I canali e gli spazi di dialogo rimangono aperti, e questo è già di per sé rilevante, nella situazione data». Egli al riguardo sottolinea: «Fin da quando questo processo è iniziato, nessuno ha mai manifestato ingenui trionfalismi. La Santa Sede non ha mai parlato dell’accordo come della soluzione di tutti i problemi. Si è sempre percepito e affermato che il cammino è lungo, può essere faticoso, e che l’accordo stesso poteva suscitare incomprensioni e disorientamenti. La Santa Sede non ignora e non minimizza nemmeno la difformità di reazioni tra i cattolici cinesi davanti all’accordo, dove la gioia di tanti si intreccia con le perplessità di altri. Fa parte del processo. Ma occorre sempre “sporcarsi le mani” con la realtà delle cose così come sono. Tanti segnali attestano che tanti cattolici cinesi hanno colto l’ispirazione seguita dalla Santa Sede nel processo in atto. Sono grati e confortati per un processo che conferma davanti a tutti la loro piena comunione con il Papa e la Chiesa universale».

IL PERCORSO VERSO L’INTESA

Tra volontà di modifiche per meglio definire il ruolo del Papa e la sua autonomia nello scegliere i vescovi, tensioni date dalle persecuzioni e dai problemi di libertà religiosa in alcune zone, mentre il presidente Xi Jinping ha lanciato un processo di sinizzazione ancora più marcato che riguarda anche Hong Kong, e soprattutto in attesa del processo al cardinale Joseph Zen, che di Hong Kong fu arcivescovo emerito, la Santa Sede continua la strada del dialogo con Pechino. L’accordo è pastorale, ha più volte affermato il cardinale Parolin, mentre da parte vaticana si è sempre sottolineato che l’accordo ha fatto rientrare dalla scomunica anche i vescovi illegittimi e ora tuto l’episcopato in Cina è in comunione con Roma. Parolin ha però altresì auspicato una elevazione delle relazioni bilaterali, magari spostando la missione di studio sulla Cina, legata alla nunziatura delle Filippine, dalla sede di Hong Kong a una sede a Pechino. Ma ci sono anche altre ipotesi: lo stabilimento di un comitato bilaterale per incontri regolari, da tenersi alternativamente a Roma e Pechino; o persino un rappresentante non residente della Santa Sede, senza però interrompere i rapporti con Taiwan, che ha appena festeggiato gli ottanta anni di relazioni diplomatiche con la Santa Sede alla presenza dell’arcivescovo Paul Richard Gallagher e di diversi diplomatici e officiali vaticani.

UN GESTO DI BUONA VOLONTÀ

Se non c’è stata modifica, la Santa Sede ha comunque voluto un gesto di buona volontà dalla Cina. E così l’ultimo round di negoziati, dopo la lunga pausa dovuta alla pandemia, si è tenuto nella città di Tianjing dal 28 agosto al 2 settembre. Il luogo era simbolicamente importante, considerando che è una delle diocesi vacanti in Cina, dal 2005 senza un vescovo riconosciuto. La delegazione vaticana ha anche visitato il vescovo sotterraneo Melchiorre Shi Hongzhen, che ha 92 anni. In un mondo in cui tutto va letto in simboli, si trattava di un segnale forte da parte della Santa Sede, a dimostrare che nonostante la volontà di portare avanti un dialogo, la situazione dei cattolici in Cina non era stata dimenticata. Secondo Lucia Cheung, blogger cattolica di Hong Kong, padre Yang Wangwan, sacerdote locale, era stato designato dalla Santa Sede come successore dell’arcivescovo Shi già nel 2018. Eppure, il suo nome non figura tra i delegati della diocesi di Tianjin alla decima Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, tenutasi ad agosto a Wuhan.

COME INTERPRETARE QUESTI SEGNALI?

Al congresso del Partito comunista cinese (Pcc) che si conclude oggi, il presidente Xi Jinping ha rafforzato il processo di sinizzazione e ha aumentato le pressioni sui cattolici locali perché si iscrivano all’Associazione patriottica. Essa, fondata nel 1957, è l’organismo governativo cui i sacerdoti devono essere iscritti, per mostrare buona volontà e appunto patriottismo. Al termine della X Assembla nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, che si è tenuta nella ormai nota città di Wuhan, dunque, monsignor Giuseppe Li Shan, arcivescovo di Pechino, è stato eletto presidente dell’Associazione patriottica, mentre monsignor Shen Bin, vescovo di Haimen, guiderà il Consiglio dei vescovi cinesi, l’organismo collegiale non riconosciuto dalla Santa Sede. La nomina di Li Shan sembra un segno di distensione, perché questi fu consacrato vescovo nel 2007, con il consenso della Santa Sede, secondo una procedura in vigore prima dell’accordo sino-vaticano del 2018 che segnò, di fatto, una distensione di rapporti delineata dalla lettera di Benedetto XVI ai cattolici di Cina.

RELAZIONI RIVELATRICI

Insieme a Li Shan, comunque, è stato nominato il vescovo Shen Bin di Haimen alla guida del Consiglio dei vescovi, che è l’organismo non riconosciuto dalla Santa Sede che affianca l’associazione patriottica. Nel discorso, Shen presenta le nomine dei vescovi avvenute negli ultimi sei anni come un processo del tutto autonomo, guidato dall’Associazione patriottica. Al momento è trascorso oltre un anno dalla più recente nomina di un vescovo in Cina (monsignor Cui Qingqi, ordinato a Wuhan-Hankou l’8 settembre del 2021) e per capire se qualcosa sia cambiato occorrerebbe aspettare nuove nomine. In tutto, sono stati sei i vescovi nominati con le nuove procedure, ma due di loro erano già in lista da prima dell’accordo.

LE DIOCESI NELLA REPUBBLICA POPOLARE

Leggendo la relazione del vescovo Shen, veniamo a sapere che in Cina vi sono 98 diocesi, che possono contare su 4.202 chiese e altri 2.238 siti attivi. Il vescovo di Haimen ha parlato della presenza di 66 vescovi, confermando così che almeno un terzo delle diocesi è scoperto, e ha aggiunto che negli ultimi sei anni sono stati ordinati 289 nuovi sacerdoti, 161 nuove suore hanno compiuto la loro professione religiosa e sono stati amministrati quasi 110.000  nuovi battesimi. E ancora: negli ultimi sei anni sono state stampate 550.000 copie della Bibbia e ne sono state distribuite gratuitamente più di 100.000 nelle zone più povere. Monsignor Shen Bin ha citato anche le iniziative svolte in varie chiese del paese per l’Anno della famiglia e l’Anno di San Giuseppe, due iniziative volute da papa Francesco per la Chiesa universale e celebrate anche nella Cina continentale. Secondo alcune statistiche, le chiese in Cina hanno offerto ai bisognosi aiuti materiali per un valore di almeno 173 milioni di yuan, pari a circa 24,6 milioni di euro.

IL PROCESSO AL CARDINALE ZEN

Il processo al cardinale Joseph Zen è iniziato il 26 settembre. Il cardinale era stato arrestato l’11 maggio, e rilasciato poi su cauzione. È accusato di interferenze straniere, in particolare per la partecipazione a un fondo, il 612 per aiutare i manifestanti arrestati nelle proteste del 2019. Il fondo era stato sciolto già nel 2021. La Santa Sede aveva subito fatto sapere di aver appresso «con preoccupazione» dell’arresto del prelato cinese, atto che tuttavia non aveva interrotto neppure le linee di dialogo aperte per il rinnovo dell’accordo sino-vaticano.

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