TURCHIA, elezioni amministrative. Erdoğan alla prova delle urne tra assassinii, arresti e propaganda nazionalistica: per l’Akp il risultato è tutt’altro che scontato.

Tragico il primo bilancio della giornata di voto in Turchia: due militanti del partito islamista Saadet Partisi sono stati uccisi in un seggio elettorale nella provincia orientale di Malatya a seguito di un animato diverbio con un rappresentante del partito Akp provocato dal mancato mantenimento della segretezza delle schede elettorali.
Lo ha denunciato Temel Karamollaoglu, leadere del SP. L’aggressore, identificato in un parente del candidato locale del partito del presidente turco Erdoğan, avrebbe reagito a una richiesta di garanzia della segretezza del voto. Scontri e violenze ai seggi sono stati registrati anche a Diyabakir e Mardin, nel sud-est a maggioranza curda.

 

Cinquantasette milioni di aventi diritto al voto vengono oggi chiamati alle urne per rinnovare le amministrazioni. Queste elezioni amministrative rivestono una cruciale importanza sul piano politico, in quanto si tratta di un passaggio delicato per il presidente Recep Tayyip Erdoğan e il suo partito, passati dall’euforia del successo alla difficile situazione economica e internazionale nella quale è precipitata la Turchia negli ultimi mesi. Per la prima volta viene testata nelle urne una grossa alleanza tra partiti politici (l’Akp di Erdoğan e il partito nazionalista Mep) che si oppone al Partito popolare repubblicano (Chp, Cumhuriyet Halk Partisi), di ispirazione kemalista, che a seconda delle province si presenta in coalizione o con altre formazioni nazionaliste oppure con gli islamisti conservatori del Partito della Felicità (SP, Saadet Partisi) fondato nel 2001 da Necmettin Erbakan, ovvero ancora, in alcuni casi anche con l’Hdp (Halklarin Demokratik Partisi, in curdo Partiya Demokratik a Gelan).

 

Le attenzioni di osservatori e analisti si focalizzano sui maggiori centri urbani del Paese, laddove si attendono segnali di indebolimento del partito di governo che esprime il presidente. Si tratta di Istanbul, la moderna megalopoli affacciata sul Bosforo, Ankara, la capitale amministrativa, Izmir, considerata la più laica della Turchia, Bursa, città industriale di oltre due milioni di abitanti sita a sud del Mar di Marmara dove la Fiat impiantò i suoi stabilimenti industriali, e infine Adana, quinto più popolato centro urbano del Paese, situato nella parte di Anatolia bagnata dal Mar di Levante, in quella che era l’antica Cilicia e oggi poco distante dal confine con la Siria.

 

In Turchia un adagio popolare recita che «chi vince a Istanbul vince in tutto il Paese», e fu proprio a Istanbul che alcuni anni or sono il leader dell’Akp, eletto alla carica di sindaco della città, iniziò la sua folgorante scalata al potere. Oggi Erdoğan si ritrova sul Bosforo a sostenere il suo candidato, l’ex premier Binali Yildirim – nei sondaggi dato in leggero vantaggio sul rivale Ekrem Imamoglu, nell’incertezza di una sua elezione alla carica di sindaco. Ancora peggio nell’altra grande città turca, la capitale Ankara, dove la situazione appare quasi compromessa, poiché Mansur Yavas, candidato dell’opposizione sconfitto cinque anni fa per una ridotta differenza di consensi e dopo uno scrutinio molto contestato, viene dato per favorito sull’ex ministro Mehmet Ozhaseki.

 

Il quadro generale nel quale si svolgono le consultazioni elettorali ha delle sfumature fosche per via di diversi fattori. In primo luogo la deteriorata situazione economica, che è convitata di pietra di queste elezioni, poi ci sono le tensioni nell’Anatolia sudoccidentale, che vive da mesi una situazione critica a causa della contrapposizione (di natura politica ma anche militare) della locale maggioranza curda alle autorità centrali. Una regione “blindata” dalla polizia e dai militari di Ankara, che, come se non bastasse, si trova a ridosso dell’altra spina nel fianco della Turchia, quella confinante Siria incendiata da anni dalla guerra civile.

 

Proprio nella giornata di ieri, alla vigilia dell’apertura dei seggi, le forze di sicurezza turche hanno effettuato oltre cinquanta arresti di esponenti dell’Hdp in numerosi quartieri di Istanbul. Secondo quanto reso noto dallo stesso partito filo-curdo, tra le persone private della libertà figurano diversi candidati ai consigli municipali. L’operazione è stata presentata dalla stampa locale come un intervento anti-terrorismo, mentre Erdoğan non ha mancato di intervenire pubblicamente per accusare l’Hdp di sostenere il Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan, formazione di estrema sinistra messa la bando come organizzazione terroristica dalle autorità di Ankara), ma l’Hdp ha come sempre respinto ogni addebito del genere mosso nei suoi confronti. Al riguardo va ricordato che sulla base di queste gravi accuse, negli ultimi anni l’Hdp ha subito la rimozione di un centinaio di suoi sindaci dalla loro carica per intervento del governo centrale, e decine di essi restano tuttora detenuti nelle carceri turche assieme a una decina di parlamentari.

 

Per comprendere appieno l’importanza delle elezioni amministrative in Turchia è necessario riflettere sul fatto che esse costituiscono una delle fonti di finanziamento dei partiti politici, politica ed economia nazionale sono legati e sui grandi appalti pubblici si gioca la partita dell’erogazione dei fondi alle formazioni e ai parlamentari.

 

Erdoğan ha impresso alla campagna elettorale locale un significato nazionale, facendo ricorso a tematiche quali  la sopravvivenza della nazione turca, associando alla sua retorica allarmistica la classica – è ormai un suo repertorio – criminalizzazione degli avversari  politici, in particolare il partito repubblicano del popolo, ma anche le altre formazioni siano esse di estrema destra, che della sinistra, oppure islamiste, per non parlare ovviamente di quelle filo-curde. Il partito repubblicano del popolo è la maggiore formazione politica di opposizione, il presidente turco l’associa sistematicamente al Pkk che fu di Abdullah Öcalan nonché alla comunità religiosa di Fetullah Gülen, che Ankara hanno classificato come «terroristica». Gülen, predicatore e politologo che nel recente passato fu sodale politico di Erdoğan, attualmente vive in esilio negli Usa in quanto ricercato dalle autorità giudiziarie del suo paese, che lo ritengono responsabile del colpo di stato militare tentato il 15 luglio 2016.

 

È dunque innegabile che questa consultazione elettorale abbia assunto i connotati di una verifica politica nazionale per i  partiti al potere e quelli all’opposizione. Come accennato, il clima è teso e la Turchia vive una fase delicata della sua esistenza, quella della strisciante transizione internazionale verso una scelta di campo non del tutto sicura e definita che soltanto pochi mesi fa sarebbe stata impensabile.

 

Si giunge al 31 marzo 2019 con un presidente che procede nella concentrazione del potere nelle proprie mani, questo però a fronte di un’emorragia di consensi sul pino politico che inizia a essere cronica. Dopo essersi affermato alle scorse presidenziali (vinte tra le accuse di brogli) egli ha accentuato il processo di asservimento degli apparati dello stato turco. Il tentato golpe gli ha offerto l’opportunità di fare piazza pulita degli oppositori, attraverso le forze armate, i servizi di sicurezza e la magistratura (a loro volta epurate) è stata posta in essere una dura stretta repressiva che ha colpito tutti i livelli della società: poliziotti, militari, politici, docenti universitari, avvocati, giornalisti, Ong e numerosi altri soggetti evidentemente ritenuti scomodi dal potere.

 

In Turchia si è dunque esperito un tentativo di “silenziamento” degli oppositori, reali o soltanto percepiti tali. Una vera e propria escalation liberticida che è stata sostanzialmente accettata dall’elettorato del partito di governo e dai suoi alleati minori di orientamento nazionalista. Tuttavia, se alle concomitanti elezioni parlamentari e regionali del giugno 2018 l’Akp poteva ancora contare su di una maggioranza assoluta dei consensi (il 53,7%), da allora è mutato un fattore fondamentale determinante, la condizione economica della Turchia. Infatti, il fenomeno  inflattivo che ha interessato la lira turca (che ha subito un crollo), unito all’incremento del tasso di disoccupazione e al rallentamento della crescita economica hanno provocato un calo di popolarità per il partito di Erdoğan.

 

L’economia gioca quindi un ruolo di primaria importanza in questa consultazione elettorale dal marcato significato politico. Istanbul e il suo hinterland in termini economici rappresentano i tre quarti del totale di quella turca, mentre la stessa città insieme ad Ankara concentra un quarto dell’intera popolazione turca. I sondaggi prevedono da tempo la sconfitta dell’Akp nei nevralgici centri di Ankara e Bursa, ma anche Istanbul sarebbe a rischio.

 

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