ESTERI, analisi e opinioni. La Francia e l’universo mondo: il punto di vista «sovranista» di un liberal conservatore anti-americano

Il professor Alexander Del Valle, docente presso l’IPAG Business School di Parigi nonché ed esperto di politica internazionale, interviene sui principali temi di attualità sui vari quadranti internazionali, ponendo un interrogativo di fondo relativo a «quale Europa sia possibile»; e inoltre, citando De Gaulle: «Se la Francia fa una guerra quella guerra dovrà essere la sua e non quella di altri», il che potrebbe significare porsi in contrasto con quello che egli definisce «l’impero americano»

a cura di Alexander Del Valle, con la collaborazione del professor Leonardo Dini, docente di Filosofia del Diritto ed esperto di politica internazionale – Nel suo lungo intervento, egli ha approccia il complesso degli argomenti parlando dell’Islam, religione della quale ritiene un’utopia la costruzione di una sua corrente «moderata» che ponga ai margini il terrorismo e l’islamismo radicale.

RIDOTTA PRATICABILITÀ DELLA VIA SUFISTA

Della via sufista – afferma Del Valle – esiste una via moderata, tuttavia non è sufficiente per due ragioni. Intanto, gli occidentali hanno sempre idealizzato il sufismo assumendolo in blocco come «moderato» o «eterodossia esoterica» non violenta, ma la verità è più complessa, perché nel X secolo, a seguito della controriforma religiosa di Al Ghazali e la chiusura delle “porte dell’Ijtihad” (cioè della dottrina religiosa), l’Islam sunnita ufficiale ha totalmente posto fuori da sé condannandole come «apostate» le vie moderate e aperte del sufismo, quali ad esempio quella di Rumi i Hallaj. A quel punto rimase soltanto il sufismo ortodosso (tourouq), fatto di orientamenti relativamente moderati e non violenti come la qadiriyya in Marocco e Africa occidentale, oppure le tijaniyya o i muridi nel Senegal, ovvero le vie al sufi (ma non tutte) dell’Asia centrale e, soprattutto, dell’Albania. Al contrario, in molti paesi esistono movimenti sufisti ultraortodossi che non sono in grado di proporre una visione alternativa all’islamismo integralista, quali quelli della Turchia e del Caucaso, la Naqshibandiyya, correnti di per sé integraliste che hanno per altro portato al potere personalità  anti-laiche, anti-kemaliste e panislamist e Turgut Özal, Necmettin Erbakan e il suo discepolo Recep Tayyip Erdoğan. Quindi, al di là del sufismo, minoritario e sempre più debole e ortodosso, sarebbe necessario favorire forme di riformismo islamico come il mutazilismo, oppure le sostenere posizioni quali quelle dell’ex Alim di Al Azhar, Abdel Razeq, che proponeva di riaprire le porte dottrinali dell’Ijtihad e adattare la Sharia e il Fiqh (le norme islamiche) ai tempi moderni, quindi relativizzare gli hadith (le regole dei detti) e le sure (i versetti del Corano meno tolleranti che corrispondono al periodo di vita di Maometto a Medina), questo a beneficio delle sure pacifiche e maggiormente ecumeniche e tolleranti, quelle della predicazione del Profeta alla Mecca, quando era poligamo, amico degli ebrei, faceva la qibla (dirigeva le preghiere) verso Gerusalemme ed era vicino e discepolo di cristiani ebioniti. Il problema di fondo per il mondo musulmano – conclude riguardo a questo aspetto Del Valle -, è che nessuna autorità spirituale o politica ha più provato a implementare questa riforma, in assenza della quale l’islamismo radicale e il jihadismo non perderanno la loro legittimità, che è appunto fondata sull’ortodossia intollerante sunnita che santifica la guerra sul cammino di Allah (gihad fi Sabilillah) e le disuguaglianze, senza però accantonare il desiderio di conquista.

GUERRA IN UCRAINA E SUDDITANZA DELL’EUROPA

In seguito, il docente esperto di politica internazionale ha soffermato la propria attenzione sul tema relativo alla crisi ucraina, che – a suo avviso – induce a riflettere sul futuro dell’Unione europea e sul ruolo che dovrebbe assumere la Francia quale paese membro di un continente armato e prossimo al conflitto causato dalla guerra in corso nel paese invaso dai russi. «Sono molto preoccupato da questa crisi – afferma al riguardo Del Valle -, che è una tragedia immane per il popolo ucraino martire e coraggioso, nonché una trappola nella quale Vladimir Putin, con un comportamento grave e irresponsabile, si è visto costretto a cadere». Infatti, è convincimento dell’intellettuale italo-francese che «un’escalation sia stata intensificata da Washington, che non si è mai sforzata di indurre il presidente Zelensky ad applicare il dettato degli Accordi Minsk, ma anche a causa dell’Unione europea, che non è mai stata così dipendente dalle decisioni strategiche atlantiste e che crede di costruire la sua unità strategica, ma in realtà non decide niente e diviene un protettorato dell’impero americano oltreché il teatro della guerra combattuta da Washington e Mosca, cioè tra due imperi opposti su tutto che vogliono controllarla». In questo drammatico contesto, al vertice NATO di Bucarest del 2008 Parigi si era opposta alla proposta di un futuro ingresso di Georgia e Ucraina nell’organizzazione difensiva atlantica, «ma la Germania non ricorse al suo potere di veto, ed è triste, perché avrebbe potuto contribuire a evitare la guerra attualmente in corso». Del Valle tende poi a sottolineare come sul piano geopolitico la Francia rimanga comunque sempre un po’ gollista, «ragione per cui il presidente Emmanuel Macron non smetterebbe mai di parlare con Putin e di cercare la pace, al contrario dei Paesi dell’Europa dell’est, entrate nella Nato e nell’Unione europea, permanentemente in pressing sugli americani al fine di estendere sempre più a oriente missili e sistemi antimissile in modo da accerchiare e ridurre i margini di manovra della Russia».

GOLLISMO 2.0: PARIGI SI SGANCIA DALLA NATO?

Afferma Del Valle che «Parigi adesso non si pone più su questa linea, perché la sua esigenza immediata è quella di aiutare l’Ucraina e non di parlare delle responsabilità dell’Occidente su espansione e ingerenze. Tuttavia, molti diplomatici francesi, e anche il presidente Macron ne sono consapevoli e conseguentemente continuano a dialogare con il Cremlino, del quale hanno considerazione e vogliono evitare che subisca una pericolosa umiliazione, poiché senza una via d’uscita e in assenza di trattative diplomatiche si andrebbe inesorabilmente verso una guerra totale tra NATO e Federazione russa, o peggio, tra Occidente Russia e Cina». Egli si augura dunque che, con l’inizio della mobilitazione generale russa che rischia di essere il preludio a uno scontro generalizzato con la NATO, la Francia rimanga appunto indipendente così come la voleva Charles De Gaulle. «Un grande paese indipendente quasi “non allineato” – esplicita Del valle -, trait d’union tra l’Occidente e altri paesi. Il generale De Gaulle scrisse questa frase, a mio avviso giustissima, che ci indica il pericolo insito nelle alleanze strategiche militari: “Se la Francia fa una guerra quella guerra dovrà essere la sua e non quella di altri”».

DOSSIER TAIWAN ED ESPANSIONISMO SINO-POPOLARE

Anche riguardo alla critica situazione di Taiwan e dell’espansionismo militare cinese Del Valle non si sbilancia del tutto, dichiarando di non voler assolutamente giustificare le politiche assertive di Pechino «né la sua indiscutibile dittatura, tuttavia – eccepisce il docente italo-francese -, anche in quel caso Washington e i suoi alleati asiatici, rancorosi e traumatizzati, hanno favorito le ingerenze e la presenza neocoloniale occidentale in una regione non loro». Egli quindi chiosa che «gli Usa e il 98% dei paesi membri dell’Onu da decenni hanno riconosciuto la politica di “una sola Cina”, quindi rischiamo di aprire un secondo fronte di guerra in Asia per condannare a una sovranità statunitense su di un paese che formalmente riconosciamo come parte della stessa Repubblica popolare cinese. Dal punto di vista di noi occidentali questo appare legittimo, infatti è la democrazia delle scelte, però osservato in una dimensione multipolare risulta assurdo, poiché appare nelle forme di un’ingerenza accentuata dal neo imperialismo, seppure altrettanto imperialista lo sia pure la Cina neomaoista di Xi Jinping».

GLI USA NEL DOPO-BIDEN

Che succederà in America nel 2024 qualora Donald Trump venisse rieletto alla Casa Bianca? Come cambierà la politica estera di Washington? Al riguardo Del Valle si dice convinto che Trump cercherà di trovare un accordo a modo suo, un po’ come verificatosi nel caso degli Accordi di Abraham in Medio Oriente e l’incontro con il dittatore nordcoreano Kim Jong-un, «tuttavia, temo che egli rimarrà circondato dai numerosi neocon patologicamente antirussi che gli impediranno di farlo».

L’INCOGNITA AFRICANA

Per quanto concerne invece l’Africa, si tratta di un continente complesso sul quale Del Valle si interroga su come dovrebbe conformarsi una Unione Africana in grado di porre in essere politiche comuni per prevenire fenomeni quali la siccità, lo jihadismo e i traffici di armi ed esseri umani. «Nigeria, Mali, Libia, Congo sono paesi in crisi che fanno parte dell’Unione Africana – egli sottolinea -, il problema dell’Africa permane quello delle frontiere mal concepite che hanno diviso popoli, tribù e clan, fattore che unitamente al mal governo, alla corruzione generalizzata e al post-colonialismo rancoroso denso di risentimenti, nell’accezione nietzschiana del termine, vanno a incidere su una miscela di arretratezza e povertà più grande al mondo. L’estrema debolezza strategica di questi Stati pone nelle condizioni tutti i predatori di calare in Africa per approvvigionarsi di materie prime a bassi costi. Il bilancio è drammatico e il jihadismo prospera in questo humus sismico e belligero, incrementato da un antimperialismo radicale che rende simpatici e preferibile chiunque si presenti nelle forme di “anti-occidentale”, siano essi russi, cinesi, jihadisti o esponenti dell’Islam politico, senza dimenticare il progetto neo ottomano turco nell’intera Africa islamica, che sta sostituendo il wahabismo saudita e qatarino dell’era post-gheddafiana». La conclusione di Del Valle è che all’Africa occorrerebbe un enorme Piano Marshall unitamente all’insediamento al potere in quei paesi di una élite giovane «che la smetta di accusare sempre l’Europa franco, belga, inglese e olandese facendole carico di tutte le colpe, ma che invece incominci a mandare in galera i dirigenti africani vergognosamente arricchitisi sulle spalle dei loro popoli, poveri, sfruttati e ingannati con la retorica del colonialismo».

SUD AMERICA

«Attualmente il Sud America attraversa una fase di trasformazioni e lì la Francia potrà svolgere un ruolo importante». In questo senso, Del Valle richiama la vocazione universale di Parigi dalla Rivoluzione francese a De Gaulle, che a suo dire unisce aspetti soltanto in apparenza contraddittori, l’universalismo umanista, l’illuminismo ragione politica e la difesa della sovranità. «I monarchici del XIX secolo – egli argomenta -, avevano ragione nel criticare la colonizzazione, che contraddiceva i valori di sovranità e di emancipazione nazionale dei popoli, ma da De Gaulle in poi – che era un militare ex monarchico convertito a un repubblicanesimo sovranista e non coloniale, cioè che non cercava di esportare i valori repubblicani e illuministici altrove a quelli che non li vogliono , la Francia è tornata a essere il paese universale e nazionale che sostiene i desideri di autonomia dei popoli. Da queste basi Parigi dovrebbe ricominciare a essere la nazione latina che aiuta e appoggia i popoli che non vogliono diventare una colonia americana o anglosassonizzata. Ripeto: bisogna appoggiare i patrioti ucraini di fronte all’imperialismo russo, ma non dobbiamo cadere nella trappola di divenire strumenti dell’imperialismo strategico cognitivo degli Stati Uniti d’America, perché loro sono uno Stato imperiale più ampio nel potere e più efficiente, però sono stati così violenti, talvolta al pari della Russia».

LE «POLITICHE IMPERIALISTE» DI WASHINGTON

Del Valle asserisce che «gli Usa hanno sostenuto durante tutto il corso della guerra fredda loro amiche e imperialiste; in America Latina hanno destabilizzato e rovesciato direttamente parecchi Stati democratici contrastando la volontà di autodeterminazione di quei popoli americani. Per questi motivi la Francia proietta su di essi un’immagine positiva, a cominciare dall’Argentina, che abbiamo aiutato militarmente contro i britannici nella guerra per le isole Malvinas. In Brasile e in Messico i valori, gli ideali e le istituzioni democratiche realizzate sul modello francese hanno avuto un impatto e hanno influito fino a oggi sulle politiche nazionali i partiti come quello Revolucionario Istitucional messicano. Inoltre, non va neppure dimenticato il peso avuto dai valori illuministici e rivoluzionari francesi su figure anti-imperialiste e nazionaliste quali quella di Simon Bolivar. Orbene, detto questo, come liberal-conservatore non sono contento del passaggio di quasi tutta l’America Latina alla sinistra rivoluzionaria o social-progressista, però ma sono convinto che per queste élite progressiste la Francia rappresenta una sorta di “fonte primaria” di natura filosofica e politica.

UNA LEZIONE PER MACRON

«Dunque – asserisce Del Valle -, Macron dovrebbe utilizzare il suo lato gollista progressista, da ex socialista, al fine di rafforzare i legami con loro, anche se questo non dovesse piacere agli americani. Così come avvenne nel caso della Francia di Chirac posto di fronte all’inaccettabile guerra-anglo americana contro l’Iraq di Saddam del 2003, che Washington e Londra propagandarono alle opinioni pubbliche internazionali ricorrendo alle menzogne. Chirac si oppose con determinazione ai neocon dell’amministrazione presieduta da George Walker Bush, quindi oggi, come francesi ed europei, dovremmo avere il coraggio di non piacere all’impero americano. Questo sarebbe dovuto valere anche per l’Ucraina, perché uno come De Gaulle non avrebbe mai appoggiato le mega sanzioni contro la Russia se queste si fossero ritorte contro l’interesse francese, pur aiutando le forze armate di Kiev, ma non per piacere a Washington o a Bruxelles, bensì perché Parigi dovrebbe sostenere le sovranità, come adesso sta facendo Erdoğan in Turchia e, soltanto in parte, Macron in Francia. De Gaulle non avrebbe mai cessato di interloquire con Putin, ma avrebbe tentato di dialogare per trovare una soluzione, magari applicando prima gli Accordi di Minsk e poi incontrando personalmente il presidente, ottenendo così una intesa e il cessate il fuoco. Questo in nome della pace in Europa, che gli americani si possono permettere di calpestare, cosa che non possiamo però fare noi che in Europa ci stiamo, e che, come francesi ed europei, siamo il bersaglio e il teatro di guerre potenziali. Voglio concludere affermando che sono orgoglioso che Macron non si lasci colpevolizzare e prosegua nonostante tutto a dialogare».

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