In un’intervista rilasciata il 22 agosto scorso a Shimon Cohen, giornalista di “Israel National News – Arutz Sheva” (https://www.israelnationalnews.com/news/358560), il dottor Ely Karmon, analista esperto di Medio Oriente e terrorismo internazionale presso la Reichman University (IDC Herzliya), ha delineato il quadro dei possibili sviluppi della situazione una volta che Israele e Libano dovessero addivenire a un accordo sulle prospezioni e l’estrazione di gas naturale nella zona contesa dai due Paesi nel Mar Mediterraneo. Egli ha avuto modo di sottolineare come l’Iran si trovi «appena fuori dalla portata visiva» e «sovraintenda» alle azioni poste in essere dai vari gruppi armati che sostiene.
DINAMICHE PALESI E DINAMICHE OCCULTE
«Non è del tutto chiaro cosa stia accadendo», ha esordito Karmon, «ma parrebbe che si stia procedendo in direzione di una concessione israeliana per quanto riguarda le dimensioni dell’area che verrà trasferita alla responsabilità libanese, oltreché per quanto concerne lo spostamento dell’impianto di trivellazione di Karish più a ridosso della linea costiera. Si tratterebbe di una concessione importante per Israele». Ora, l’interrogativo è se essa verrà accettata dal movimento sciita filoiraniano libanese Hezbollah. «Saranno in grado – si domanda Karmon – di presentarlo alla pubblica opinione libanese come un equilibrio tra le loro minacce e la deterrenza dello Stato ebraico, oppure il tutto diverrà un elemento funzionale agli interessi di Teheran nel quadro della tutela dei propri interessi in vista dell’accordo nucleare con l’Occidente?»
OPERAZIONE DI IMMAGINE NEL PAESE DEI CEDRI
«È infatti possibile – prosegue l’analista di Herzliya – che l’accordo sul gas abbia lo scopo di far conseguire un evidente risultato a Hezbollah e agli iraniani che, in caso di successo, costituirebbe in futuro un deterrente nei confronti di Israele nel caso si dovessero profilare per loro minacce più significative». Secondo Karmon tutto sarebbe coordinato con Teheran, che negli ultimi due anni, avrebbe cercato di sostenere il Libano nella controversia per il tramite di Hezbollah. «Hanno inviato navi con carburante attraverso la Siria e si sono detti pronti ad aiutare il Libano sul piano economico, tuttavia non ha funzionato. Gli iraniani hanno l’interesse a creare una loro immagine di salvatori del Libano».
AZZARDI PERICOLOSI: IL PRECEDENTE DEL 2006
Karmon ritiene che l’accordo sul gas si configuri come qualcosa che gli iraniani possono sfruttare per creare instabilità, mettendo in questo modo sotto pressione un Occidente indeciso sulla vicenda del nucleare. «Ci hanno già provato nel 2006, quando i paesi del G-8 imposero le sanzioni alla Repubblica Islamica. Teheran ha quindi pensato di colpire Israele attraverso una piccola operazione militare nel Libano meridionale, ma invece di una piccola operazione c’è stata la seconda guerra del Libano». Allora gli iraniani calcolarono male la forza di Israele, ritenendo che fosse politicamente debole: il primo ministro Ehud Olmert era in carica da poco, mentre il ministro della Difesa Amir Peretz non veniva ritenuto all’altezza della funzione che stava svolgendo, conseguentemente gli strateghi di Teheran si convinsero erroneamente di poter avere il sopravvento con uno scontro su scala ridotta.
TEHERAN INTERVERRÀ DIRETTAMENTE IN LIBANO?
«La stessa situazione potrebbe verificarsi di nuovo», ammonisce Karmon, che nella sua intervista ha indicato i segnali relativi ai rischi maggiormente complessi che l’Iran avrebbe iniziato ad assumersi. «Alcune settimane fa – egli ha argomentato – gli americani sono riusciti a sventare un tentativo di omicidio di John Bolton, già consigliere per la sicurezza dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump, e a Mike Pompeo, che di Trump fu ministro degli esteri. Tutto questo fa ritenere dunque possibile un incidente creato ad arte dagli iraniani sull’accordo per il gas allo scopo di perseguire obiettivi di maggiore portata». Inoltre, prosegue Karmon, «ci si deve interrogare se a Teheran siano pronti a entrare in guerra».
UNO SCENARIO OLTREMODO DELICATO
Per Israele lo scenario è inquietante: «Hezbollah combatte per procura per conto degli iraniani – afferma l’analista di Herzliya -, per farlo dispone di centocinquantamila missili in grado di colpire l’intero territorio dello Stato ebraico nonché può avvalersi sul terreno della sua unità di élite al-Radwan. A Teheran sono perfettamente consapevoli che gli israeliani trarrebbero un vantaggio da un attacco sferrato dai proxi degli iraniani, poiché fornirebbe un pretesto per colpire l’infrastruttura nucleare della Repubblica Islamica». Dal canto loro, i leader politici e militari dello Stato ebraico hanno ben chiare le condizioni attuali della situazione e sanno di avere bisogno ancora dai dodici ai ventiquattro mesi prima di essere in grado di affrontare militarmente l’Iran a seguito di uno strike sugli impianti dove viene sviluppato il programma nucleare degli ayatollah. «La partita è oltremodo molto delicata ed è difficile conoscere le reali intenzioni degli iraniani».
INSTABILITÀ POLITICA ALLA KNESSET
«Le concessioni relative alla piattaforma di Karish potrebbero venire interpretate come una debolezza da parte sia israeliana che americana, dato che si stanno esercitando premendo per delle concessioni al Libano. L’opposizione alla Knesset (il parlamento dello Stato ebraico, n.d.r.) ha ricordato al primo ministro che dal 2019 la cessione del territorio sovrano israeliano per essere approvata richiede una maggioranza di almeno ottanta parlamentari». Dunque, gli avversari politici del governo presieduto da Yair Lapid cercano di mettere in difficoltà l’esecutivo. «Questo potrebbe essere un problema – afferma ancora Karmon -, poiché il governo può dirsi pronto ad accettare i termini dell’accordo, ma potrà firmarlo soltanto dopo le prossime elezioni. Ma se a seguito dei risultati di queste ultime gli equilibri alla Knesset dovessero mutare, con essa muterebbe conseguentemente la composizione politica del nuovo esecutivo, fatto che potrebbe comportare una rinegoziazione dei termini con Beirut».
PERCEZIONE DI IMPOTENZA
Pertanto, mentre Karish è pronto per la sua attivazione «l’intera questione potrebbe venire rinviata a dopo le elezioni. Se i negoziati possano andare avanti oppure no per lasciare poi la responsabilità della decisione finale al nuovo esecutivo, sperabilmente stabile, richiederà la pronuncia dell’ombudsman». Adesso la palla passa dunque a Hezbollah, ma in una condizione del tutto particolare. Infatti, conclude Karmon: «È stato vergognoso quando Israele non abbia ingaggiato le squadre armate di Hezbollah che minacciavano i nostri militari dopo che avevamo eliminato un loro agente in Siria. Non gli spariamo perché non vogliamo aggravare il clima di tensione, ma questo nostro atteggiamento ingenera in Hezbollah e negli iraniani la sensazione di poter incrementare il livello delle loro minacce contro di noi».