di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’esercito italiano e membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Il presidente russo Vladimir Putin è arrivato oggi a Teheran per affrontare con i suoi omologhi iraniani e turchi una serie di questioni chiave relative alla regione.
PUTIN A TEHERAN
Il presidente iraniano Raisi e quello turco Erdoğan discuteranno con lui del conflitto in Siria e della proposta, sostenuta dalle Nazioni Unite, volta a consentire l’esportazione di grano dai porti ucraini bloccati dal conflitto, tra i quali quello principale di Odessa, minato a scopo difensivo dagli ucraini stessi. Le due potenze regionali e la Turchia hanno un rapporto complesso di interessi condivisi e contrastanti. I colloqui marcano il secondo viaggio di Putin fuori dalla Russia dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina avviata il 24 febbraio scorso e il primo incontro diretto con un leader di un paese membro dell’Alleanza atlantica, appunto Erdoğan. I colloqui si svolgono anche a distanza di pochi giorni dalla visita effettuata dal presidente statunitense Joe Biden presso i principali alleati di Washington nella regione, cioè Arabia Saudita e Israele, oltreché i Territori palestinesi.
I «NO» DI KHAMENEI
In vista dei colloqui trilaterali, la Guida suprema della Repubblica Islamica iraniana, ayatollah Ali Khamenei, ha messo in guardia Erdoğan da ulteriori aggressioni alla Siria e alla comunità sciita nella regione. Sia Teheran che Mosca sostengono il governo del presidente Bashar al-Assad, mentre la Turchia ha appoggiato apertamente, anche militarmente, alcuni gruppi che si oppongono a Damasco. «Mantenere l’integrità territoriale della Siria è molto importante e qualsiasi attacco militare nel nord della Siria danneggerà sicuramente la Turchia, la Siria e l’intera regione, andando a beneficio dei terroristi», ha esposto chiaramente Khamenei a Erdoğan. Ankara ha minacciato di lanciare un’operazione militare nel nord della Siria, in particolare nelle regioni controllate da gruppi curdi, allo scopo di estendere una cosiddetta “zona sicura”. L’operazione, in pretesa chiave di sicurezza, viene sostenuta anche dall’azione diplomatica turca, finalizzata all’ottenimento della massima libertà d’azione possibile contro i curdi, al punto da porre questo punto quale condizione all’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO.
ERDOĞAN GIOCA SU PIÙ TAVOLI
In pratica, ha sfruttato la tragedia del conflitto in atto nell’Ucraina al fine di ricavarne un vantaggio strategico nella regione mediorientale. Vedremo nei prossimi mesi se i curdi saranno anche loro vittime secondarie dell’aggressione di Mosca a Kiev. Ankara si è inoltre trovata sui fronti opposti a quelli Mosca nelle guerre in Azerbaigian e Libia, e ha persino venduto droni all’Ucraina dopo aver acquistato, però, sistemi missilistici antiaerei russi (doppiogiochismo evidente). Inoltre, il suo ruolo di membro della NATO che non ha imposto sanzioni, la rende un partner oggi necessario per la Russia poiché è anche una spina nel fianco della propria stessa alleanza occidentale, dato che ne rallenta oltremisura l’allargamento. Al momento, Iran e Russia si trovano sulla medesima barca di fronte alle sanzioni economiche, due paesi che sono per altro concorrenti economici sul mercato mondiale delle materie prime energetiche. Ciò risulta ancora più evidente dopo che Mosca ha concentrato la sua attenzione sulle esportazioni verso la Cina Popolare come conseguenza delle sanzioni occidentali. Pechino è stata e sarà probabilmente in futuro un sbocco chiave per i flussi di energia iraniana.
AMBASCE E AUSPICI DEGLI AYATOLLAH
Contestualmente, Teheran si contrappone anche al sempre più coeso blocco regionale formato dagli Stati arabi sunniti e da Israele, il cui quasi unico interesse condiviso appare quello di contrastare l’influenza iraniana nella regione. Gli ayatollah probabilmente sperano di riuscire a esercitare pressioni sugli Stati Uniti d’America affinché questi accettino di fare concessioni al tavolo del negoziato sul nucleare, dal cui accordo del 2015, in ragione dell’aumento dei prezzi energetici, venne messo in discussione unilateralmente tre anni dopo dal presidente Donald Trump. In seguito, successive sanzioni paralizzarono poi l’economia iraniana e ora Teheran spera in una conferma della debolezza americana alla luce dei fallimenti in Afghanistan e, almeno per ora, in Ucraina. In ogni caso, poco prima dell’arrivo di Vladimir Putin nella capitale della Repubblica Islamica, la National Iranian Oil Company e il colosso statale russo del gas Gazprom hanno stipulato un accordo del valore di quaranta miliardi di dollari che prevede lo sviluppo di possibili cooperazioni.
IL GRANO DA ODESSA
Per quanto concerne poi la trattativa sulle forniture di grano, è palese l’interesse turco, poiché già dai mesi scorsi la stampa di quel paese riportava la notizia che l’Ucraina aveva bloccato ventuno navi nel porto di Odessa. Si tratterebbe di diciassette navi turche e altre quattro battenti bandiera turca, tutte ormeggiate nel porto della città ucraina a causa del fatto che Kiev non rilascia loro le necessarie autorizzazioni a salpare in ragione di «pericoli», anche a causa delle mine posate in mare. Logicamente, le navi turche con grano caricato (e forse pagato) bloccate fanno sì che Erdoğan si dia da fare, atteso che i carichi quasi sicuramente sono destinati alla Turchia e non certo negli affamati e in crisi Paesi africani. La storia recente dimostra come il presidente turco persegua esclusivamente i suoi interessi, in particolare al puntellamento della traballante economia del proprio paese, una situazione che potrebbe prima o poi degenerare in una crisi profonda.
NAVI BLOCCATE E CRISI ALIMENTARE
Mosca si è detta disponibile ad aprire un corridoio di sicurezza, tuttavia continua a bloccare tutti i transiti. C’è addirittura chi ha ventilato l’ipotesi di un vantaggio per Kiev derivante dal trattenimento in porto di queste navi, dato che in questo modo fungerebbero da «scudo» per le forze ucraine che difendono Odessa. Un’altra ipotesi è quella che le autorità ucraine non avrebbero fretta di far salpare le navi turche a causa di possibili provocazioni. Ad esempio, se nel corso di un assalto alla città l’Armata russa distruggesse una proprietà turca automaticamente un paese terzo membro della NATO si troverebbe coinvolto nel conflitto. L’intervento dell’Onu e le dichiarazioni del governo di Kiev vanno nella direzione di una soluzione, tuttavia, oggi le navi straniere permangono bloccate nel porto di Odessa, aspetto che sta provocando una gravissima crisi nei rifornimenti alimentari. Comunque sia, dato l’interesse turco l’accordo si farà e sarà ancora un accordo in cui Ankara trarrà dei vantaggi dalla crisi in atto. Forse va considerato positivamente, come un bene per il resto del mondo. Forse.