La “Belt and Road” sarà una «cintura che stritola»? Questa «strada a senso unico» risponde a un disegno egemonico globale elaborato a Pechino nelle stanze del comitato centrale del Partito comunista?
La ricerca e lo sviluppo della tecnologia 5G, vengono condotti all’estero, negli Usa, in Germania e in Scandinavia (Nokia ed Ericsson), oltreché in Cina. l’Italia sarà costretta ad acquistare apparati di importazione per la sua rete strategica, quindi potrà soltanto monitorare le condizioni di sicurezza del sistema una volta attivato.
Il 5G è una tecnologia che non rappresenta soltanto la progressione lineare della precedente (4G), ma sarà la base della computazione dei quanti, cioè di qualsivoglia sviluppo tecnologico futuro. Essa permeerà la società e il sistema produttivo nazionale. Il dilemma è se consentire o meno alle società cinesi del settore l’accesso alla rete italiana con le loro innovative tecnologie, consentendo un’esponenziale incremento delle capacità di trasmissione dei dati rispetto alle reti attuali. Tuttavia questo significherebbe porle nelle condizioni di concentrare masse di metadati e gestirne l’analisi, col rischio potenziale di un utilizzo strumentale di essi a fini non solo economici, ma anche politici, sociali e militari.
L’acquisizione delle tecnologie di Huawei è un problema di estrema delicatezza che assume i contorni di una questione di sicurezza nazionale. Dal 2017 nella Repubblica popolare cinese è in vigore una legge sull’intelligence che prevede l’obbligo per tutte le imprese ad alto contenuto tecnologico come quelle informatiche e delle telecomunicazioni, di porsi in rapporto di collaborazione diretta con le strutture di intelligence dello Stato al fine di cooperare in un unico sistema all’implementazione di una strategia a tutto campo.
Huawei afferma – e cosa potrebbe dire di diverso? – di non aver mai compiuto atti di spionaggio nel passato e di non volerne compiere nel futuro, aggiungendo che non installerà mai delle back-doors (microchips) nei suoi prodotti, componenti che potrebbero venire poi utilizzati per la trasmissione segreta di dati da parte degli inconsapevoli utenti alle centrali in Cina. Si tratta di rassicurazioni credibili? Esempio, cooperazione italo-cinese in progetti quali la Nuova Via della Seta o quelli finanziati in comune (per i quali sono stati siglati memorandum) in Africa: quali garanzie riguardo alla tutela dei dati delle imprese italiane che transitano dai server cinesi? Tuttavia, il colosso cinese dell’informatica e delle telecomunicazioni (assieme a Zte) già sta sperimentando in Italia. A Milano e a Segrate col suo centro specializzato sulle microonde, a Bari, a Matera e infine a Pula, presso Cagliari, dove è attivo un altro centro di ricerca. Nel progetto i cinesi hanno investito decine di miliardi. In passato sono entrati con una quota di minoranza nel capitale di CdP Reti, che a sua volta vede come sue partecipate Italgas, Snam e Terna.
Allo specifico riguardo, il sottosegretario allo Sviluppo economico nel Governo Conte Michele Geraci ha ribadito che «il memorandum of understanding che l’Italia e la Cina firmeranno non ha nulla a che fare con il 5G e non nomina specifiche aziende – specificando poi che – si tratta solo di un framework che stabilisce come Italia e Cina potrebbero cooperare». Permane comunque l’attesa sui dettagli relativi al nuovo Golden Power, mentre le raccomandazioni dell’Unione europea dovrebbero arrivare presto, probabilmente la prossima settimana”, sicuramente prima del vertice previsto per il 9 aprile. In ogni caso la settimana scorsa a Strasburgo, il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione che esprime grande preoccupazione sulla possibilità che lo sviluppo del 5G sia affidato ad aziende cinesi.
Preocupazioni diffuse dunque. Per gli americani Huawei è il «braccio operativo» delle forze armate di Pechino. A Washington e Langley si ammonisce continuamente che tutte le società occidentali che utilizzeranno Huawei verranno assoggettate al controllo dei servizi segreti della Repubblica Popolare. Huawei – concludono oltre Atlantico – è un «cavallo di Troia infiltrato nella fortezza europea» al fine di carpirne i dati per utilizzarli poi come armi contro di essa. Però, se da un lato le imprese industriali cinesi sono rigidamente sottoposte a una normativa che gli impone la collaborazione con le istituzioni (cioè con gli apparati di intelligence), dall’altro sono però anche oggetto della propaganda e della disinformazione dei loro avversari gli americani, poiché di essi sono divenute formidabili concorrenti sui mercati.
Il primo dicembre del 2018 la direttrice finanziaria del gruppo, Meng Wanzhou (figlia del fondatore, Reng Zhengfei), è stata arrestata in Canada. Washington ne ha immediatamente chiesto l’estradizione, poi, alla fine di gennaio, hanno incriminato Huawei per furto di segreti tecnologici e per aver violato le sanzioni economiche imposte dagli Usa all’Iran. Prove concrete non sono state esibite, mentre da Huangzhou hanno sempre respinto decisamente queste accuse. La motivazione alla base del provvedimento di privazione della libertà di Meng Wanzhou non sarebbe quindi la presunta violazione delle sanzioni all’Iran, bensì il un tentativo di scardinare la potenza cinese nel settore della telecomunicazioni e dell’informatica.
Il confronto tra le due principali potenze economiche del mondo verte oggi sul complesso delle nuove tecnologie: 5G, intelligenza artificiale, robotica. La Cina sta compiendo passi da gigante, aspetto che in prospettiva apre scenari completamente del tutto nuovi, e l’Occidente forse teme di non essere del tutto preparato a questa sfida.