«Cina e Italia sono partner strategici con mutuo rispetto e fiducia». Questo ha affermato pubblicamente il segretario generale del Partito comunista cinese nonché presidente della Repubblica popolare cinese Xi Jinping, giunto in Italia per una serie di importanti incontri prima di recarsi nella confinante Francia passando prima per il Lussemburgo. La Cina Popolare è dunque un «partner strategico» dell’Italia, infatti è stato siglato il memorandum che contempla nuove intese in campo commerciale: tutto merito dell’attuale esecutivo giallo-verde?
No. In realtà l’interlocuzione italiana con Pechino è risalente nel tempo. Ai governi precedentemente in carica, da quelli guidati da Silvio Berlusconi a quello Gentiloni, passando per Monti, Renzi e Letta. Iniziative assunte unilateralmente, poiché gli altri Paesi membri dell’Unione europea in tutti quegli anni seguirono politiche proprie. Adesso anche Bruxelles mostra di essersi accorta dell’attivismo economico cinese nel Vecchio continente, con Parigi e Berlino che invitano il Segretario generale a capo della Repubblica popolare capitalista al tavolo degli affari.
È strano il mondo. Nella stessa giornata di ieri, esprimendosi con tono grave riguardo a ciò che in quel momento stava accadendo a Roma, il presidente francese Emmanuel Macron ha definito la Cina Popolare un «rivale sistemico», utilizzando le medesime parole pronunciate al riguardo dal guru del sovranismo universale Steve Bannon, americano lui, quindi in piena guerra commerciale con i cinesi. Parigi invece no, lei con i cinesi fa affari da tempo. Tanti affari, visto che il fatturato francese (per non parlare poi di quello tedesco) non è affatto trascurabile.
Che sta succedendo dunque sotto questo cielo? La confusione è davvero grande, oppure gli attori del momento procedono nel solco della continuità? Per quanto concerne la cosiddetta Nuova Via della Seta si tratta di un progetto in sviluppo almeno da un decennio, lo testimonia tra l’altro l’elevato grado di interconnesione raggiunto, esempio ne sono i treni carichi di conteiner che partono continuamente dai maggiori centri industriali cinesi alla volta dei terminali tedeschi di Duisburg e Amburgo, senza parlare poi dell’avanzo commerciale vantato da Berlino con la Cina.
Èil clima a essere mutato. Non è casuale dunque che Macron abbia allargato il vertice alla cancelliera tedesca Angela Merkel e al presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Due settimane fa – in attesa del summit Ue-Cina previsto per il 9 aprile – la Commissione europea ha pubblicato un paper sulle relazioni con la Cina Popolare nel quale quest’ultima non veniva più definita soltanto come «partner» ma anche come un concorrente globale in campo economico. Il contesto nel quale ha avuto luogo il vertice si caratterizza per il forte clima di tensione tra Pechino e Washington: Cina e Usa si sfidano sul piano commerciale, con gli americani che oltre a imporre dazi contrastano con tutti i mezzi il progetto della Nuova Via della Seta. Poi la questione delle cosiddette “trappole del debito” e, infine, la vicenda Huawei con tutto il suo corollario di risvolti sul piano strategico.
Ma allora tutto andrebbe riletto diversamente. Non attraverso l’ottica economico-commerciale, dato che sotto ci sarebbe di più, e non è poi così difficile leggerne in controluce la filigrana. È stato detto: «Questi sono stati tre giorni che hanno rivestito un enorme significato simbolico», poiché siglando un memorandum di natura politica con Pechino l’Italia ha, in una qualche maniera, mostrato di aver fatto una scelta di campo. Probabilmente i cinesi volevano ottenere anche (o forse soprattutto) questo, che un paese del campo occidentale e atlantista – l’unico del G7, che ha comunque agito nella legittima cornice del sacrosanto esercizio della propria autonomia in politica estera – si ponesse in sostanziale contrasto con la sua superpotenza di riferimento.
In questo caso il memorandum assumerebbe forme diverse da un semplice accordo puramente commerciale, anche alla luce del fatto che delle intese di tale natura erano già state oggetto di trattativa e applicazione in seno al Business Forum italo-cinese. Esso dovrebbe essere percepito nel senso di una sanzione politica apposta a un processo già avviato, racchiuderebbe quindi contenuti politici e strategici. Quale valore si dovrà conferire a questa intesa appena raggiunta? Quali ne sono i reali contenuti? Tutto ciò sarà possibile considerarlo soltanto al momento delle sue pratiche ricadute, quando prenderanno avvio – se così sarà – le attività congiunte in Asia e in Africa, e quando verrà misurato il livello di apertura del mercato cinese alle imprese italiane.
Intanto emergono i dettagli del memorandum di Roma: dieci accordi stipulati con le imprese italiane e diciannove intese istituzionali. Si è parlato di particolari cautele per i brevetti su tecnologie avanzate e, ovviamente, delle telecomunicazioni. Accordo anche sui porti, che vede interessate Trieste e Genova. L’80% del traffico mercantile diretto dall’Europa verso l’Asia viene effettuato via mare principalmente dagli approdi di Rotterdam e, appunto, Amburgo. Il Memorandum of Understanding siglato con i cinesi dal governo Conte restituirà ai porti di Trieste (collegamento con l’Europa orientale) e Genova (collegamento con l’Europa settentrionale) una maggiore funzionalità quali approdi europei? Qualora le aspettative fissate nel documento non dovessero concretizzarsi i cinesi troverebbero immediatamente delle valide alternative nel porto di Marsiglia (Francia). Per altro, la presenza della marina militare cinese, che impiega le sue unità in Mediterraneo ormai regolarmente, è conseguenza dei massicci investimenti economici in Africa.