Anche questa settimana il focus della trasmissione “Capire per conoscere” è stato mantenuto sul disegno di legge «concorrenza» in discussione al Senato, un impianto che si articola attraverso una serie di interventi in diversi settori, con il tema dei «balneari» che, però, monopolizza tutte le discussioni.
UN RISCHIO: L’ASSALTO DELLE MULTINAZIONALI E DELLE MAFIE
L’argomento era stato già ampiamente trattato nella precedente trasmissione e, stavolta, il professor Mario Baldassarri ci è ritornato su in via liminare introducendo il tema più generale della possibilità, indicata dall’ex viceministro della Repubblica come «rischio», che qualche multinazionale «e – ha egli aggiunto -, oso dire anche qualche organizzazione criminale piena di soldi, acquisisca decine e decine di chilometri di spiagge, gestendole poi in proprio in un contesto di nuovo monopolio molto più esclusivo». Questi dunque secondo Baldassarri sono i nodi veri della questione concessioni balneari.
IL PROBLEMA VERO DELLA CONCORRENZA
Tuttavia, all’interno del tema “concorrenza” andrebbe considerato un aspetto molto più importante di quello dei balneari, cioè la distribuzione di energia elettrica e gas, poiché «qui è palese l’esistenza di un cartello oligopolistico, al punto che il Governo ha addirittura parlato di “extraprofitti” tassandoli al fine di essere in grado di ridurre le accise. Si tratta di un problema enorme, ma poco discusso e quasi per niente affrontato». Si assiste alla prevedibile consueta resistenza opposta dai centri di interesse e dalle lobby a essi collegate ogniqualvolta si avvia un concreto processo di riforma strutturale del sistema.
LOBBY E LOGGE REMANO CONTRO
Afferma Baldassarri che «sono tutte quelle lobby e quelle logge trasversali che hanno dominato finora i mercati difendendo le proprie posizioni di parte e che ora le vedono messe in discussione». Questo si verifica soprattutto quando si inizia a parlare di concorrenza: «In questo paese sono tutti buoni a parlare di capitalismo e di mercato – ha quindi chiosato Claudio Landi, giornalista e conduttore della trasmissione in onda su Radio Radicale -, ma quando poi si mette mano al sistema per introdurre un po’ di sana disciplina concorrenziale… apriti cielo da tutte le parti, non solo dai lobbisti».
MONOPOLI E OLIGOPOLI: LA LEZIONE DI SYLOS LABINI
Ha dunque argomentato l’ex viceministro e attualmente presidente del Centro studi economia reale che, «dai tempi di Sylos Labini, cioè gli anni Cinquanta, nella teoria economica i modelli di concorrenza pura esistono solo sui libri di testo ma non nella realtà dei mercati. Il monopolio può essere il monopolio naturale, quindi o dello Stato oppure, comunque, governato dallo Stato, mentre tutti gli altri settori sono oligopoli più o meno concentrati. È il progresso tecnico che crea l’oligopolio, poiché l’impresa, che è maggiormente capace e rapida a innovare tecnologicamente, è più avvantaggiata sul mercato dove è in grado di creare una concentrazione».
IL MERCATO COME DOVREBBE ESSERE
Si pensi a Google, ad Amazon e a tutte le nuove multinazionali sempre più potenti che crescono sulla spinta dell’innovazione tecnologica. «Il mercato in quanto tale esiste solo se c’è un minimo di concorrenza, che spinge gli operatori a produrre a prezzi più bassi e a qualità maggiori, dunque a vantaggio del consumatore finale. Ma per pervenire a questo scenario occorrono regole molto chiare dettate dallo Stato». La questione del funzionamento dei mercati è stata propedeutica all’introduzione del tema relativo al potere d’acquisto, in Italia ridotto dalla spinta inflazionistica e dai bassi salari. Ebbene, il quesito retorico posto in trasmissione è stato il seguente: una concorrenza che abbassasse i prezzi aiuterebbe a recuperarne un po’?
INFLAZIONE: UNA BOMBA INNESCATA PRONTA A ESPLODERE
«Assolutamente sì – per dirla con Baldassarri -, però attenzione: siamo al cospetto di una bomba a orologeria già innescata che rischia di esplodere tra qualche mese. L’inflazione è oggi al 6,5 e i salari sono praticamente fermi, quindi viene pesantemente tagliato il potere d’acquisto. Questo vuol dire meno consumi delle famiglie e, conseguentemente, meno investimenti delle imprese. Ora, si dovrà affrontare la tornata di rinnovi contrattuali, ma se tutta l’inflazione verrà scaricata sui contratti di lavoro si riavvierà la dinamica perversa salari-prezzi, con l’inflazione che potrebbe schizzare al 12 per cento».
CUNEO FISCALE: NODO INSOLUTO
Agire sul cuneo fiscale e contributivo potrebbe rappresentare una via d’uscita dal problema: «Oggi un lavoratore che percepisce un salario netto di 1.300 euro al mese alla sua impresa costa 3.000 euro. Mai come in questo momento, quindi, si renderebbe necessario un intervento forte sul cuneo fiscale e retributivo allo scopo di sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori e al contempo evitare di tartassare le imprese nei termini dell’incremento del costo del lavoro. Però non si sta procedendo in questa direzione, dato che tutto va avanti mese per mese a “spizzichi e bocconi”: la direzione di marcia è giusta, ma i risultati modesti rispetto alla necessità del momento».