Stato Città del Vaticano, un ridotto fazzoletto di terra oltre il fiume Tevere, soltanto quarantaquattro ettari di suolo che, facendo un paragone di facile comprensione, è pari all’appezzamento medio di un agricoltore italiano. Un complesso di edifici e ordinati giardini cinto da mura apparentemente impenetrabili, così come apparentemente impenetrabili sono i segreti custoditi all’interno di quel perimetro. Nell’immaginario collettivo qualcosa di grande, potente e temibile, tuttavia imperscrutabile, come gli occhi dei porporati che vi rinvengono il centro del loro universo. Lì, dove il loro monarca assoluto vive in un appartamentino a Santa Marta.
DETTO E NON DETTO
Probabilmente risiede proprio nel detto e nel non detto l’efficacia di certa antica comunicazione, come anche in regole a volte non scritte, che però affondano la loro cogenza in tradizioni e prassi affinate dal clero nel corso dei secoli. Come cercare di comprenderle? Evidentemente, al di là dell’affabulazione e del mito, il protocollo del Romano Pontefice conserva tuttora una sua formidabile efficacia, che non poche cancellerie nel mondo tentano con alterni successi di emulare, un protocollo, tuttavia, non esente da «errori» di «grammatica cerimoniale».
Ma, è piacevole indugiare ancora un poco sull’immaginario, una pratica utile per dissetarsi con gocce di conoscenza che placano l’arsura accesa dai simboli. Come le vesti del Pontefice, candide e rosse. Colori evocativi del passato imperiale di Roma e fatti propri dalla Chiesa, elementi pregressi trasferiti al papato.
44 ETTARI DI UNIVERSALITÀ
Bianco, a simboleggiare la purezza, l’innocenza, la carità; rosso: il sangue del Cristo. Non è imitazione della romanità in senso politico, o statuale, ovvero ancora militare, bensì è «l’Impero quale pretesa», o meglio: un messaggio di universalità, che viene «raccontata» dal protocollo anche mediante i colori forti e dolci delle vesti del Papa. Torna l’universalità e con lei i citati quarantaquattro ettari di terreno dei quali si diceva. Quarantaquattro ettari molto particolari, poiché in quel luogo idealmente insiste «la testa» dell’universalità della Chiesa cattolica romana e, si afferma, «non c’è Chiesa senza universalità». Il Papa parla attraverso i luoghi, come i palazzi vaticani, che rendono una immagine di sacralità e temporalità del potere. Al loro interno uomini, religiosi e laici che comunicano mediante il medesimo codice, riti e gesti resi comprensibili anche all’esterno.
I RETROSCENA NON RACCONTANO SIGNIFICATI
Fuori, laddove le «verità» giungono spesso nella forma dei retroscena. Tuttavia, si afferma: i retroscena non raccontano significati, bensì storie. Infatti, è assai più semplice raccontare storie piuttosto che significati, ma così facendo i significati rischiano di andare inesorabilmente perduti. E qui soccorre il saggio di Gagliarducci e Sanchirico, che introduce alla differenza tra significato e significante nel sistema di comunicazione compiuto che è argomento della sintetica ed esauriente divulgazione, con l’analisi dei segni che oggi, nel XXI secolo, sono realmente condivisi e dunque comprensibili. Gli autori spiegano come il cerimoniale sia in perenne tensione tra ciò che nel corso del tempo muta e ciò che invece rimane, un cerimoniale, dunque, dinamico e oggetto di continue risignificazioni.
FORMA E PAROLA
Qualcosa di attuale e affatto vecchio, antico semmai. Un qualcosa che, giocoforza, è stato adattato al mutare degli interlocutori, come le rappresentanze diplomatiche accreditate presso il Vaticano, cresciute a dismisura nel numero nei pochi decenni che separano i tempi attuali da quelli del pontificato di Giovanni XXIII. Il saggio – come recita la sua presentazione in IV di copertina -, è il «frutto delle conversazioni tra Andrea Gagliarducci e monsignor Stefano Sanchirico (Ufficiale dell’Archivio apostolico vaticano, già prelato d’onore di Sua Santità ed esperto di cerimoniale pontificio), presenta in maniera semplice ma precisa i linguaggi relativi al cerimoniale e al protocollo vaticano e della Santa Sede». L’opera offre al lettore una chiave interpretativa di un cerimoniale proprio di una realtà del tutto particolare, appunto, a volte non facilmente decifrabile e, in fondo, per questa ragione affascinante per i laici.
«LEGGERE» LE COSE VATICANE
Già, poiché cerimonie e cerimonieri lasciano intravedere più che esplicitare, alimentando così il gusto per l’enigma. Ebbene, il volume di Gagliarducci e Sanchirico, il cui testo è corredato da un’esplicativa appendice iconografica, descrivendo gli elementi e la loro mai casuale collocazione – luoghi, persone, colori, movimenti, parole – costituisce lo strumento adatto per «leggere» le cose vaticane, decifrandone magari il senso e i segnali.
titolo: Linguaggi pontifici. Storia, significati, protocollo della più antica istituzione del mondo
autori: Andrea Gagliarducci e Stefano Sanchirico
introduzione: Matteo Cantori
editore: Editoriale Romani
collana: Auxilia Juridica
pagine: 72
ISBN o ID: 9788899515690