MEDIO ORIENTE, Israele. A seguito dell’ondata terroristica muta l’equazione del rapporto

Il pretesto alla base delle recenti stragi terroristiche perpetrate nelle ultime settimane nelle città israeliane, è quello che lo Stato ebraico starebbe alterando lo status quo del Monte del Tempio a Gerusalemme, minacciando in questo modo la sopravvivenza stessa dell’importante luogo di culto islamico

Nel giorno dell’anniversario dell’Indipendenza dello Stato di Israele un macabro attentato compiuto a Elad, città popolata in buona parte da ebrei ortodossi (haredim), due terroristi armati di ascia e forse anche di un’arma da fuoco hanno assassinato tre persone, ferendone gravemente numerose altre. Alcuni giorni fa, il leader di Hamas nella Striscia di Gaza, Yahia Sinwar, aveva lanciato un appello ai palestinesi chiedendo loro di prepararsi alla lotta armata contro gli israeliani: «Chi ha una pistola dovrebbe prepararsi a usarla – aveva pubblicamente dichiarato Sinwar -, chi non ha una pistola dovrebbe preparare la sua mannaia, l’ascia o il coltello per una grande guerra che ci sarà se Israele non smette di colpire la moschea di al-Aqsa».

STRAGI E PRETESTI

Il pretesto alla base delle recenti stragi terroristiche palestinesi perpetrate nelle ultime settimane nelle città israeliane, è quello che lo Stato ebraico starebbe alterando lo status quo del Monte del Tempio a Gerusalemme, minacciando in questo modo la sopravvivenza stessa dell’importante luogo di culto islamico. Allo specifico riguardo, si segnala una interessante ricostruzione dei cambiamenti realmente verificatisi nei cinquantacinque anni che intercorrono dalla fine della dalla Guerra dei Sei Giorni del 1967 fatta da Nadav Shragay, ricercatore senior presso il Jerusalem Center for Public Affairs, in un suo articolo pubblicato recentemente dal quotidiano “Jerusalem Post”.

http://www.jns.org/changes-to-the-status-quo-on-jerusalems-temple-mount-since-1967/?utm_source=The+Daily+Syndicate+05-01-22+%28new%29_COPY_02%utm_medium=email&utm_term=0_8583953730-6aaf9ca368-%5BLIST_EMAIL_ID%D&ct=t%28Daily+Syndicate+05-01-22+%28new%29_COPY_02%29

LA CONTROVERSIA SUL MONTE DEL TEMPIO

Egli nel suo dettagliato scritto afferma che, contrariamente a quanto affermato dai palestinesi, lo status dei musulmani e del Monte del Tempio sarebbero invece notevolmente migliorati, una realtà «molto diversa da quella dei tempi di Moshe Dayan». Secondo Shragay, il principio su cui fondavano quelle disposizioni informali non scritte, era relativo al congelamento della situazione esistente ai fini di una divisione non ufficiale delle aree di preghiera tra musulmani ed ebrei, in base alla quale i musulmani avrebbero pregato sul Monte e gli ebrei al Muro occidentale, cioè quello di contenimento del complesso del Monte del Tempio, che trae la sua santità dal Monte stesso, accanto al quale gli ebrei hanno pregato per secoli.

STRUMENTALIZZAZIONI A FINI POLITICI

A questo punto, Shragay torna alla controversia sull’espansione delle aree di preghiera dei musulmani e l’istituzione di ulteriori moschee sul Monte, un contenzioso pregno di aspetti simbolici e storici. Il ricercatore del Jerusalem Center for Public Affairs prosegue poi sottolineando come da anni i musulmani accusino Israele di complottare per distruggere le moschee sul Monte del Tempio ed edificare al loro posto il Tempio ebraico: «Si tratta di diffamazioni infondate – egli precisa -, tuttavia, negli ultimi anni sono state strumentalizzate allo scopo di sobillare il terrorismo e la violenza. Essi hanno trasformato un luogo sacro al giudaismo e all’Islam in un’arena, un bersaglio, un pretesto per la violenza e il terrore e un mezzo per conseguire un obiettivo di natura politica».

LA REALTÀ ATTUALE

Permane in ogni caso in numerosi analisti israeliani la radicata convinzione che, fino a quando lo Stato ebraico non annullerà la forza militare di Hamas nella Striscia di Gaza, non esisterà alcuna seria possibilità di progredire nei negoziati con i Palestinesi, anche a fronte della debolezza che attualmente caratterizza l’Autorità nazionale palestinese (ANP).

Secondo l’opinione espressa dal professor Ely Karmon, tale situazione non sarebbe altro che il risultato della strategia concepita e attuata dal precedente governo guidato dal primo ministro Benjamin Netanyahu, che per anni ha preferito rafforzare Hamas invece dell’ANP, che come conseguenza si è molto indebolita. Egli ha inoltre aggiunto che, «attualmente, il governo israeliano in carica presieduto da Naftali Bennet sta prendendo in considerazione la possibilità di tornare alla strategia delle cosiddette «eliminazioni mirate» dei leader e dei responsabili militari di Hamas, in via prioritaria Yahia Sinwar» (leader politico di Hamas nella Striscia, n.d.r.).

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