Si è argomentato in precedenza come l’ultimo Documento di economia e finanza (Def) del Governo Draghi sopravvaluti la crescita e sottostimi l’inflazione, poiché, nel primo caso basa su una ipotesi di crescita tendenziale al 2,9% per la fine dell’anno, tuttavia, nel primo e nel secondo trimestre del 2022 sono stati registrati abbattimenti del tasso di crescita, col risultato che una stima ragionevole del tendenziale si dovrebbe attestare all’1,9%, come ha calcolato il Centro Studi Confindustria, oppure, nel caso di ulteriori sensibili rincari dei prezzi energetici, esso dovrebbe scendere addirittura all’1,3%, quindi meno della metà rispetto a quanto previsto ottimisticamente nel Def.
SOPRAVVALUTAZIONI E SOTTOSTIME
Si è poi accennato anche al ridotto impatto della politica economica su questo quadro generale, uno 0,3% di crescita stimato nella Nadef, posto l’obiettivo programmatico del 3,1%, per il quale verrebbero dunque ritenuti sufficienti i cinque miliardi di euro allocati, cosicché si perseguirebbe anche l’obiettivo di deficit pubblico posto al 5,6 per cento. Ora le cifre però rimettono in discussione questo fragile impianto e il conseguente rischio è quello di una crescita molto bassa. Ma tutto questo non basta, perché è stata sottostimata l’inflazione, nel Def prevista al 3% quale deflattore del prodotto interno lordo (cioè tutti i prezzi che incidono sul Pil, non soltanto quelli al consumo, bensì anche gli altri, come quelli dei beni importati ed esportati e degli investimenti), in realtà essa è schizzata al 7% e, posto che questo tasso diminuisca entro il prossimo dicembre, è comunque difficile che esso si attesti al di sotto del 5,5 per cento.
ALEGGIA IL FANTASMA DELLA STAGFLAZIONE
«Crescita più bassa e inflazione più alta materializzano il fantasma della stagflazione», questo il commento espresso al riguardo dal professor Mario Baldassarri (già viceministro dell’Economia e attualmente presidente del Centro studi economia reale) nel corso della trasmissione di approfondimento “Capire per conoscere”, condotta dal giornalista Claudio Landi e andata in onda sulle frequenze di Radio Radicale lunedì 18 aprile 2022. Secondo l’ex viceministro dell’Economia gli scenari possibili sarebbero tre: «Nel primo caso, quello previsto nel Def del Governo, le probabilità che esso si concretizzi sono pari al 20%; un secondo scenario più pessimistico, anch’esso considerato nel Def, configura una crescita addirittura inferiore all’1% e gli viene attribuita una probabilità del 15% al massimo; infine lo scenario rimanente, quello che vedrebbe una crescita sotto al 2% e un’inflazione al di sopra del 5%, che a oggi ha una probabilità di concretizzazione pari al 65-70 per cento»
UNA MANOVRA DA 50 MILIARDI, MA NON «A BUFFO»
Ebbene, risulta evidente come il Def abbia puntato sullo scenario che ha le minori probabilità di concretizzarsi. La conclusione di Baldassarri è che «occorre urgentemente una manovra di politica economica molto forte, rapida e urgente, dieci volte più grande di quella indicata dal Governo, cioè pari ad almeno 50 miliardi, che tuttavia non dovrà venire realizzata attraverso deficit e incremento del debito pubblico, cioè a buffo», ma in quest’ultimo caso il deficit pubblico giungerebbe all’8 per cento. «Una manovra – ribadisce Baldassarri – in grado di sostenere famiglie, lavoratori e imprese soprattutto a fronte del caro energia e al caro alimentari». Al riguardo non va dimenticato che fu proprio il ministro dell’Economia e delle Finanze Daniele Franco, in questo confermato dal suo collega alla Transizione ecologica Roberto Cingolani già due mesi fa, come l’aggravio complessivo dei costi energetici era pari a 22 miliardi a trimestre, che, sommato il carovita dal lato alimentare, oggi superano ampiamente la cifra di 30 miliardi.
NOVANTA MILIARDI «BRUCIATI» E CENTO «BUTTATI»
Un’enormità, poiché se si proiettano tali cifre alla fine dell’anno i miliardi “bruciati” in più in questo modo saranno novanta, dinamica che alimenterebbe il circolo vizioso della flessione sempre più sensibile di consumi e investimenti. «Quest’anno – sottolinea il presidente del Centro studi economia reale – il totale della spesa pubblica italiana, al netto degli interessi da pagare sul debito pubblico, ammonta a 920 miliardi di euro, ma, da una parte il Governo annuncia di rimanere nei limiti con una manovra di bilancio limitata a 5 miliardi, dall’altra si pongono alcune forze politiche che invece chiedono che si faccia una manovra di 30 o 40 miliardi tutta a debito: in entrambi i casi si fa finta di dimenticare che all’interno di quei 920 miliardi di spesa pubblica un centinaio di miliardi tra sprechi, spese clientelari e malversazioni, oltre ad almeno altrettanti evasi al Fisco».
IL MOLTIPLICATORE DI KAHN
L’interrogativo (retorico, ovviamente) posto dal professor Baldassarri è se non si possa davvero ricavare almeno alcune decine di miliardi da questa montagna di soldi che sfuggono a una razionale e giusta allocazione, evitando così ulteriori aumenti del deficit e del debito pubblico. John Maynard Keynes a suo tempo affermò che in fase di recessione, al fine di fornire impulso alla crescita attraverso un sostegno alla domanda, manovre in disavanzo fossero auspicabili, purché non si esaurissero in spesa corrente, ma si concretizzassero in investimenti pubblici e spese per l’istruzione, cioè qualcosa che incrementi l’effetto moltiplicatore della ricchezza. Perché, dunque, l’esecutivo presieduto da un economista come Mario Draghi non è in grado di varare politiche più audaci in questo campo? Glielo impediscono i partiti politici che formano la coalizione che sostiene il suo governo oppure cos’altro?
EQUILIBRIO DI FINANZA PUBBLICA O CRESCITA? È UNA QUESTIONE DI FORMAZIONE
«Mentre io mi sono formato principalmente nel campo della teoria della crescita economica – sostiene Baldassarri -, con certamente una attenzione agli equilibri di finanza pubblica, Mario Draghi si è formato nell’universo dell’economia monetaria e poi è stato anche presidente della Banca centrale europea, quindi, probabilmente, nell’approccio iniziale a un problema come quello che gli si presenta ora tende a privilegiare l’equilibrio di finanza pubblica alla crescita, ponendo il primo alla base della seconda. A mio avviso questi due elementi andrebbero considerati invece congiuntamente, facendoli procedere in parallelo». In questo quadro bisogna poi fare molta attenzione a non dimenticare i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, poiché l’Italia rischia di perderne una quota rilevante. Di tutto questo, oltreché di formazione e lavoro e riforme strutturali, si è discusso nel corso della trasmissione radiofonica la cui registrazione integrale è disponibile di seguito (A429).