ISRAELE, terrorismo. Identificato il palestinese che ha compiuto la strage nel bar di Tel Aviv. Proveniva da Jenin

Secondo lo Shin Bet, il ventinovenne in seguito ucciso dalle forze di sicurezza israeliane presso una moschea di Jaffa, aveva fatto ingresso illegalmente nel territorio dello Stato ebraico. Suo padre, in precedenza ufficiale nelle forze di sicurezza di Arafat, ha elogiato l’atto criminale del figlio morto. La città cisgiordana si conferma dunque un’area a rischio estremismo

Si chiamava Ra’ad Hazem, il palestinese di 29 anni proveniente dalla zona di Jenin che ha compiuto la strage terroristica di ieri sera nell’affollato bar Ilka in Dizengoff Street, a Tel Aviv, che ha provocato la morte di tre persone e il ferimento di dieci. Il giovane è stato ucciso dagli agenti dell’unità antiterrorismo della polizia israeliana e da quelli dello Shin Bet nei pressi di una moschea di Jaffa, dove forse aveva cercato di trovare rifugio.

SALE IL BILANCIO DELLE VITTIME

Il bilancio delle vittime è infatti cresciuto a tre, dopo che all’ospedale Ichilov è deceduto l’uomo di trentacinque anni che era rimasto  gravemente ferito dal fuoco del terrorista. Padre di tre figli, era del kibbutz di Givat Shmuel e allenava la squadra paralimpica israeliana e la nazionale di kayak. Con la sua morte sale a quattordici il numero delle vittime dei quattro attentati palestinesi compiuti in poco più di due settimane. Ra’ad Hazem, il terrorista palestinese responsabile dell’attacco mortale di ieri proveniva dal campo profughi di Jenin, nel nord della Cisgiordania, ed era entrato illegalmente in territorio israeliano. Come accennato, dopo aver aperto il fuoco nel bar di Dizengoff Street si è allontanato rapidamente dal luogo dell’attentato, ma è stato rintracciato prima dell’alba dagli uomini di Yamam e dello Shin Bet a Jaffa, località situata a pochi chilometri dal luogo della strage.

IL GIOVANE ATTENTATORE PALESTINESE

La dinamica dello scontro a fuoco è stata in seguito resa nota dalle autorità dello Stato ebraico, che hanno riferito come una volta notato nei pressi di una moschea a quell’ora chiusa un individuo sospetto le cui caratteristiche corrispondevano a quelle dell’attentatore, gli agenti della sicurezza israeliana gli hanno intimato l’alt e questi, apparentemente, non ha opposto resistenza, tuttavia ha successivamente tentato di estrarre un’arma ed è stato quindi fatto segno del fuoco da parte degli agenti. Identificato successivamente nel ventinovenne Ra’ad Hazem, il giovane figlio di un ex ufficiale dei servizi di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (ANP) non risulterebbe affiliato ad alcuna organizzazione terroristica o islamista, non era schedato, dunque non aveva precedenti penali a suo carico.

JENIN

Jenin permane dunque una spina nel fianco per Israele e la sua sicurezza, in una fase particolarmente delicata su diversi piani: della sicurezza (offensiva di attacchi terroristici e comparsa di Islamic State sulla scena israeliana), interni (maggioranza di governo a rischio crisi) e internazionali (proiezioni del conflitto ucraino in Medio oriente, con l’armata di Putin ai confini dello Stato ebraico e la presenza di quasi un milione di cittadini israeliani di origine russa nel Paese). Jenin, tormentata località della Cisgiordania dalla quale proveniva il terrorista che ucciso a Tel Aviv, è sempre stata un’area a rischio per gli israeliani, che in passato vi hanno condotto anche un assedio impiegando in forze le proprie forze armate. Anche il terrorista che in precedenza aveva ucciso nel sobborgo ortodosso di Bnei Brak proveniva da Jenin, una città che assieme al suo campo profughi è ormai divenuta una consolidata roccaforte della Jihad islamica palestinese nella Cisgiordania del Fatah di Abu Mazen.

CRITICITÀ NELLA SICUREZZA DELLO STATO EBRAICO

Oggi per lo Stato ebraico i pericoli provengono da tutte le parti, poiché, oltre alle tradizionali minacce alla sicurezza poste dalle organizzazioni armate islamiste palestinesi della striscia di Gaza e della Cisgiordania, nonché da Hezbollah nel Libano meridionale, si sono aggiunte quelle interne, costituite dai palestinesi cittadini dello Stato ebraico (che si sono radicalizzati o che fiancheggiano le organizzazioni armate tradizionali) e gli islamisti presenti e attivi oltre il Golan, in Siria. In particolare, Islamic State attraversa la fase particolarmente delicata della transizione al nuovo “califfo” che dovrà sostituire al vertice dell’organizzazione al-Qureishi. Dunque, il nuovo livello apicale deve consolidare i consensi della base attraverso l’azione di proselitismo, che si configura anche attraverso azioni militari eclatanti.

NON POCHE DIFFICILI PROBLEMATICHE

Alcuni autorevoli analisti israeliani in materia affermano che nel loro paese il fenomeno Islamic State sia stato in parte sottovalutato. In effetti, la serie di attentati compiuti negli ultimi giorni, almeno nel primo periodo sono coincisi con il vertice internazionale del Negev, evento di grande importanza nelle nuove e migliori relazioni tra alcuni Paesi arabi e gli Usa e Israele, questo con prevedibili effetti anche sulle posizioni in politica estera di potenze regionali come la Turchia e player di peso quale è il Qatar. Ma non sono solo queste le preoccupazioni di Gerusalemme, infatti vengono al pettine alcune criticità riscontrate sulla lunga e pericolosa linea di confine protetta dalla barriera difensiva (gheder hafrada), l’asserita parziale inidoneità della polizia a fronteggiare i recenti fenomeni terroristici e, inoltre, il fenomeno dell’estremismo violento e delle violenze nelle zone miste di Israele popolate da arabi e da ebrei.

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