ENERGIA, Eni. Accordo con Qatar Petroleum su offshore in Marocco: si rafforza il partenariato con Doha, ormai svincolata dall’Opec.

L’Eni ha stipulato un altro accordo con la Qatar Petroleum mediante il  quale si impegna a cedere alla compagnia di Doha la quota del 30% relativa alla concessione del Permesso Tarfaya Offshore Shallow, che consta di dodici blocchi esplorativi in Marocco. Alcuni giorni prima la stessa Eni aveva ceduto alla medesima compagnia qatarina il 25,5% del blocco A5-A nelle acque del Mozambico. Le due società sono inoltre partner in Oman e nel Messico.

L’area estrattiva di Tarfaya, estesa per circa 24.000 chilometri quadrati, è situata nella parte meridionale dell’offshore marocchino, in acque profonde fino a mille metri. Eni Maroc (società controllata da Piazza Mattei) e Office National des Hydrocarbures et des Mines (ONHYM) detengono rispettivamente una partecipazione del 75% e del 25% con Eni Operatore. Attualmente sono in fase di effettuazione gli studi geologici e geofisici della prima fase esplorativa. A seguito dell’accordo, soggetto all’autorizzazione delle autorità di Rabat, il consorzio sarà composto dall’Eni per il 45%, da Qatar Petroleum per il 30% e da ONHYM per il restante 2 per cento.

All’inizio del dicembre dello scorso anno Doha aveva annunciato il suo ritiro dall’Opec, l’organizzazione internazionale dei paesi esportatori di petrolio che attualmente annovera quindici membri alla quale aveva aderito nel 1961. Una decisione apparentemente inaspettata, giunta nel momento in cui all’atteso vertice Opec di Vienna, previsto per il 6 dicembre, era attesa una pronuncia riguardo alle future quote di produzione. Un distacco che ha confermato il ridotto potenziale qatarino nel settore petrolifero, evidenziando, però, al contempo le potenzialità conferite all’emirato dalle notevoli riserve di gas naturale, confermando inoltre la sua leadership mondiale nel settore del gas naturale liquefatto (GNL), dove appunto Doha sta focalizzando le proprie attenzioni e gli sforzi.

Al settembre del 2018 i quindici paesi membri dell’Opec pesavano per il 44% della produzione globale di petrolio stimata e per l’81,5% delle riserve, configurando dunque una sostanziale situazione di oligopolio. Ma allora perché un’uscita unilaterale dal cartello petrolifero? Il piccolo emirato del Golfo Persico non è un grande produttore di petrolio, ma al contrario possiede le maggiori riserve stimate di gas naturale, quindi a Doha hanno ritenuto più opportuno concentrarsi su quest’ultimo business, anche per la ragione che, con il previsto sviluppo dell’economia mondiale che cercherà di limitare sempre più le emissioni inquinanti riducendo gradualmente l’uso di combustibili fossili, non è più così utile fare parte dell’Opec.

Tuttavia, alla base della decisione potrebbero risiedere anche altre ragioni. L’improvvisa decisione andrebbe ricondotta anche allo scontro in atto con i sauditi e le altre monarchie del Golfo alleate di Riyadh, che negli ultimi tempi hanno isolato il Qatar imponendogli un embargo di natura economica con l’accusa di appoggiare il terrorismo e le politiche iraniane nella regione. Una conseguenza delle tensioni geopolitiche in atto, dunque, che potrebbe favorire Teheran a scapito dei sauditi.

L’Opec perde una sua pedina importante, poiché il Qatar ha funto spesso da mediatore tra le posizioni iraniane, quelle saudite e quelle venezuelane. Un abbandono che alcuni analisti ritengono possa addirittura porre a rischio la stessa sopravvivenza dell’organizzazione, minata anche da problemi di diversa natura che le impediscono di svolgere al meglio la funzione di calmieratore dei prezzi della materia prima energetica. Conferma di questa debolezza sarebbero le sensibili oscillazioni dei prezzi del greggio registrate negli ultimi mesi del 2018, una dimostrazione che le decisioni di ridurre le quote di produzione assunte dal consesso dei produttori non sarebbero più sufficienti a influire sui prezzi. Nel frattempo si è reso necessario uno stretto coordinamento con la Russia, paese che non aderisce all’Opec, il cui apporto è stato fondamentale all’Arabia saudita al fine di consentirle nuovamente di influenzare i prezzi di mercato.

La liaison tra Mosca e Riyadh è stata emblematizzata dall’affettuoso abbraccio al vertice del G20 di Buenos Aires tra il principe ereditario saudita Bin Salman (in gravi difficoltà a causa della vicenda Khassoggi) e il presidente russo Vladimir Putin. Russia-Arabia saudita, un duopolio nei fatti già esistente. Infatti, gli ultimi interventi dell’Opec sulla produzione, diminuita per incrementare i prezzi del greggio, sono stati decisi in coordinamento tra i due Paesi. E questa è un’altra delle ragioni alla base della precarietà dell’organizzazione dei produttori, che, in buona parte, si vedono costretti ad allinearsi alla leadership esercitata da Riyadh, accettando qualunque tipo di accordo quest’ultima possa stipulare con Mosca.

Come potrebbe essere un futuro senza Opec? I sauditi starebbero considerando questa ipotesi e, in prospettiva, hanno avviato una serie di studi al riguardo per contemplarne gli eventuali effetti elaborando strategie preventive. Uno degli scenari considerati prende in esame una situazione caotica conseguente alla scomparsa dell’Opec, caratterizzata da una competizione senza regole che vedrebbe protagonisti la totalità dei produttori; un altro scenario prospetterebbe invece una situazione nella quale, anche in assenza dell’Opec, grazie alla sua capacità produttiva l’Arabia saudita sarebbe  comunque in grado di influenzare il mercato globale del petrolio calmierandone i prezzi.

La volatilità dei prezzi al barile di recente è stata influenzata da diversi fattori, questo anche per la ragione che i meccanismi di calmieramento precedentemente efficaci oggi non funzionano più. Tutto avviene poi nella turbolenta cornice dell’instabile dinamica economica globale, che lega tra loro l’insieme delle incertezze. Ci si interroga sul futuro del commercio mondiale, mentre il rallentamento dell’economia si riflette sulla domanda di petrolio, complicandone così la determinazione del prezzo. Un fattore che va a sommarsi all’incapacità dei paesi produttori di incidere su di esso se non in maniera parziale. In questo complicato contesto l’unica certezza è la messa in discussione dell’’Opec.

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