Di seguito viene riproposta un’analisi elaborata alcuni anni fa dal professor Ely Karmon, ricercatore presso l’International Institute for Counter-Terrorism (ICT) dell’Inter Disciplinary Center (IDC) di Herzliya, Israele. Si tratta di uno scritto che venne pubblicato il 25 maggio del 2017, che tuttavia mantiene tuttora integro il suo interesse
di Ely Karmon – Al pari dei musulmani sciiti, in materia di leggi e sentenze religiose la credenza degli Houthi nel concetto di «imamato» come essenziale per la loro religione li distingue dai musulmani sunniti. Sono seguaci Zaydis, dunque notevolmente diversi da coloro i quali (ad esempio gli appartenenti all’establishment iraniano) seguono la scuola Twelver dell’Islam sciita. Gli Houthi non abbracciano il concetto di vilayat-e faqih (Tutela del giurisperito islamico, Guida, n.d.r.), che nella sua sostanza significa professare lealtà al leader supremo della Repubblica Islamica dell’Iran.
Un funzionario delle Nazioni Unite esperto del movimento houthi, che è noto anche come Ansar Allah, lo descrive come un gruppo revivalista Zaydi formato negli anni Ottanta in risposta ai tentativi di sradicamento culturale e religioso percepiti dallo Stato. [¹]
LA FINE DELL’IMAMATO ZAYDI
L’imamato zaydi dello Yemen del nord venne rovesciato nel 1962, ponendo fine a più di un millennio di dominio da parte dei sayyid locali, i discendenti del profeta Maometto che formavano la classe dirigente. All’indomani della guerra civile di quell’anno e dei successivi regimi repubblicani che seguirono, i sayyid zaydi vennero discriminati al punto che molti di loro, all’interno della comunità, si sentirono sull’orlo dell’estinzione.
Tensioni che riesplosero alcuni decenni dopo, nel 2004, nel corso della prima di quelle che sarebbero poi state conosciute come le «Guerre houthi», nelle quali il governo centrale di Sana’a, guidato da Ali Abdullah Saleh (egli stesso zaidi), combatté gli houthi e i loro alleati. Nei successivi sei anni seguirono altri cinque fasi del conflitto e, all’indomani della primavera araba e delle dimissioni negoziate dal presidente Saleh, all’inizio del 2012 gli houthi si attivarono al fine di consolidare il proprio controllo all’interno e intorno al Governatorato di Sa’dah, dove essi erano insediati.
Alla fine del 2014, mentre il presidente Abed Rabbu Mansour Hadi stava agendo per fare fronte alle molteplici sfide poste al suo governo, gli houthi si spinsero fino a Sana’a e, nel gennaio dell’anno seguente, posero Hadi agli arresti domiciliari. Due mesi dopo, a seguito della fuga di quest’ultimo in Arabia Saudita attraverso Aden, il giorno 26 marzo 2015 la coalizione guidata da Riyadh lanciò l’operazione “Decisive Storm”, con l’obiettivo dichiarato di ricollocare al potere il presidente deposto.
COALIZIONE A GUIDA SAUDITA E MISSILI IRANIANI
Il 30 gennaio 2017 un attacco compiuto da un “cannoniere suicida” contro una nave saudita a ovest del porto yemenita di Hodeida, provocò la morte di due marinai e il fermento dii altri tre. Ad avviso di funzionari della Difesa degli Stati Uniti quell’attacco era presumibilmente destinato a una nave militare americana [²], mentre in seguito, allo specifico riguardo il canale televisivo houthi “al-Masira” dichiarò che l’esplosione era stata causata da un missile guidato. [³]
Per gli attori regionali e globali coinvolti nel conflitto yemenita la questione relativa all’importanza rivestita dal supporto militare iraniano ai ribelli houthi, in particolare riguardo alla fornitura di missili strategici antinave e terra-terra, risulta controversa.
Ad esempio, all’inizio dell’ottobre del 2016 un missile lanciato dai ribelli houthi dalle vicinanze della città portuale di Mokha, sul Mar Rosso, colpì una nave degli Emirati Arabi Uniti causandole gravi danni. Gli houthi affermarono successivamente che il missile antinave utilizzato nell’azione era un C-802 di fabbricazione cinese, lo stesso tipo di vettore lanciato nel luglio del 2006 da Hezbollah contro la corvetta Ahi-Hanit della marina militare israeliana mentre questa incrociava nelle acque libanesi. [⁴]
Il recente rapporto del citato gruppo di esperti dell’Onu sullo Yemen non è stato finora in grado di verificare l’attendibilità della dichiarazione relativa al tipo di missile impiegato, tuttavia, gli esperti hanno concluso che l’alleanza militare Houthi-Saleh aveva incrementato in modo significativo il livello di minaccia potenziale per le navi in navigazione nel Mar Rosso e nello stretto di Bab el-Mandeb, incluse quelle recanti aiuti umanitari allo Yemen. [⁵]
IL MUTAMENTO IDEOLOGICO DEL MOVIMENTO HOUTI
Tema di questo articolo è il cambiamento ideologico nel movimento Houthi, dinamica che, non solo lo ha trasformato in un alleato strategico del regime rivoluzionario islamista iraniano, ma anche in un membro settario dell’asse sciita di Teheran.
In questo senso, il video dell’attacco di gennaio alla nave saudita, ampiamente diffuso dai media houthi, lascia intravedere tale trasformazione ideologica. Infatti, i ribelli che guidano l’attacco scandiscono uno slogan assai noto nella coalizione sciita iraniana: «Morte agli Stati Uniti, morte a Israele, maledizione di Allah sugli ebrei». [⁶]
Alcuni osservatori, tra i quali figura anche l’analista politico Shahir Shahid Saless, hanno contestato le dichiarazioni dei funzionari iraniani rese nel 2015, secondo cui lo Yemen si trovava all’interno della sfera di influenza dell’Iran in qualità di nuovo membro dell’asse di resistenza guidato da Teheran, comprendente Siria, Hezbollah libanese e sciiti iracheni, militanti che si contrastano gli interessi occidentali e Israele.
Tra questi funzionari venivano citati l’hojatoleslam Ali Shirazi, rappresentante della Guida suprema (l’ayatollah Ali Khamenei) presso la Quds Force del Corpo delle Guardie rivoluzionarie iraniane (IRGC), Ali Akbar Nategh-Nuri, capo dell’Ufficio di Ispezione del gabinetto del la Guida suprema e Ali Akbar Velayati, consigliere per gli affari esteri dello stesso Khamenei. [⁷]
POLARIZZAZIONE POLITICA E SETTARIA NELLO YEMEN
Shahid Saless afferma che gli houthi hanno persistentemente negato le accuse mossegli di essere delegati dagli iraniani per il conseguimento degli obiettivi di Teheran in politica estera, tuttavia hanno ammesso il sostegno ricevuto dagli iraniani in ragione della visione condivisa nell’affrontare «il piano americano». Ma, nel corso delle loro manifestazioni ufficiali nessun membro dell’ufficio politico del movimento houthi ha rilasciato dichiarazioni che elogiassero l’Iran nell’ultimo anno o giù di lì. È dunque possibile che abbiano voluto evitare la polarizzazione politica e settaria che minaccia la nazione yemenita.
Hussein al-Bukhaiti, che dell’ufficio politico del movimento è membro, ha al riguardo dichiarato che gli Houthi non possono applicare il sistema iraniano nello Yemen «perché i seguaci della dottrina Shafi [sunnita] sono più numerosi degli Zaidi (sciiti)». [⁸]
Nell’aprile 2015 Yossi Mansharof ed E. Kharrazi hanno pubblicato un documento completo sulle opinioni nutrite dagli iraniani e le dichiarazioni ufficiali riguardanti il sostegno politico, militare ed economico fornito da Teheran agli Houthi, sottolineando i benefici strategici e geopolitici derivati alla Repubblica Islamica in particolare nel quadro del suo confronto con l’Arabia Saudita e l’Occidente. Alti portavoce iraniani hanno poi indicato la rivoluzione nello Yemen come indicativa dell’ulteriore successo nell’esportazione della Rivoluzione islamica iraniana. Gli autori citano Mehdi Taeb, direttore del think tank del quartier generale di Ammar, cui fa riferimento la Guida suprema Khamenei, il quale ha persino sostenuto che «senza l’Iran… Ansar Allah non sarebbe mai emerso». [⁹]
UNIVERSO SCIITA E LIMITI DELL’INFLUENZA DI TEHERAN
Recentemente anche Katherine Zimmerman, esperta di Yemen presso l’American Enterprise Institute (AEI), ha affermato che «il movimento al-Houthi non sarebbe un proxy iraniano e, malgrado a Teheran si affermi che essi fanno parte dell’asse di resistenza, per Teheran non rappresenterebbero probabilmente più di quanto la Repubblica Islamica faccia per loro». [¹⁰]
La Zimmerman sostiene che la leadership di houthi abbia conservato il proprio potere decisionale evitando di subordinare il movimento agli obiettivi iraniani. Infatti, i gruppi locali non seguono tutti ideologicamente la leadership di al-Houthi e il movimento è profondamente frazionato al suo interno, non organizzato gerarchicamente sotto un unico leader e guidato da potenti famiglie che si situano al di fuori di esso mantenendo un gradi di indipendenza rispetto all’influenza esercitata dall’Iran, con i principali elementi di vertice del movimento che risultano «parzialmente emarginati nel tempo».
Se alla luce di queste argomentazioni si paragona la situazione descritta a quella libanese, emergerà che Hezbollah non rappresenta l’unica rilevante entità organizzata espressione della comunità sciita locale, poiché il movimento laico Amal è attivo nella vita politica e mantiene la presidenza del Parlamento di Beirut. Persino un ex leader di Hezbollah della levatura di Subhi al-Tufayli, che ricoprì la carica di segretario generale del Partito di Dio libanese dal 1989 al 1991, si è mostrato apertamente critico nei confronti dell’Iran e dell’attuale leadership del suo movimento di appartenenza. Tuttavia, in Libano Hezbollah controlla gran parte degli spazi politici e militari ed è totalmente allineato alle posizioni di Teheran o, più esattamente, è parte integrante del regime iraniano.
Pertanto, non è possibile sostenere che l’attuale leadership houthi si adatti al modello di Hezbollah e – afferma sempre la Zimmermann – «è molto improbabile che sia in grado di replicarlo nello Yemen».
Ella conclude comunque sottolineando che «la relazione degli houthi con Hezbollah è divenuta pubblica nel corso del 2015, tuttavia sono pervenute segnalazioni della formazione di houthi al fianco di Hezbollah in Siria a partire dal 2012, mentre con le milizie sciite irachene collaboravano già dall’anno prima, nel 2014.
RADICI IDEOLOGICHE
Sia in dottrina che nella pratica si rilevano significative distinzioni a opera dello zaydismo dalla versione irachena e iraniana dello sciismo, il cosiddetto «sciismo duodecimano». [¹¹]
Tradizionalmente, gli zaydi non sono mai stati particolarmente dediti alla propagazione delle loro credenze attraverso l’opera di proselitismo. La loro dottrina (così come la maggior parte degli zaydi oggi) accetta il concetto di vilayat-e faqih introdotto dall’ayatollah Ruollah Khomeini a seguito della Rivoluzione islamica iraniana del 1979, principio secondo il quale soltanto i giuristi islamici, come incarnazione del dodicesimo imam nascosto, sono qualificati a esercitare un controllo sullo Stato e a interpretarne le leggi. Al contrario, gli zaiditi attualmente non sono sottoposti a una gerarchia clericale o a dei giuristi emanazione di quest’ultima, come invece lo sono i duodecimani iraniani. [¹²]
Badr al-Din al-Houthi, il patriarca della famiglia al-Houthi, uno dei più prestigiosi studiosi religiosi zaydi dello Yemen deceduto nel 2010, visitò l’Iran negli anni Novanta poiché Teheran aveva avuto un approccio «fraterno alla famiglia Houthi». Le autorità yemenite accusarono in seguito Badr al-Din e i suoi figli di condividere l’agenda di Teheran, nella quale rientrava la penetrazione di un cuneo sciita nel cuore della terra araba, con la trasformazione della componente yemenita in attuatore della politica regionale iraniana nota come della «mezzaluna sciita», in un quadro nel quale l’Iran stava ricevendo il sostegno dei gruppi sciiti in Bahrain, Arabia Saudita e in altri paesi del Golfo.
Le conferenze e le prediche di Hussein al-Houthi, figlio maggiore di Badr al-Din e ideologo del «revivalismo zaydiano», sono state tenute, registrate e ampiamente diffuse a partire dall’anno 2000. Dopo l’11 settembre e l’invasione statunitense dell’Iraq del 2003, queste idee hanno trovato diffusione in occasione di eventi speciali, tra i quali il “Quds Day”, la Giornata internazionale per Gerusalemme promossa dall’Iran a partire dal 1979, evento marcatamente anti-ebraico e anti-israeliano. [¹³]
HUSSEIN AL-HOUTI E «L’EGEMONIA ISRAELO-AMERICANA»
Egli ha ripetutamente propugnato la convinzione che il mondo musulmano fosse in una condizione di debolezza, «sotto i piedi degli ebrei e dei cristiani», pur riconoscendo che era «chiaro davanti a noi, collettivamente, che Israele è potente rispetto agli arabi (…) e che ebrei e cristiani sono i padroni dei musulmani».
Hussein al-Houthi allude regolarmente all’idea che gli sciiti, piuttosto che i sunniti o Al-Qaeda, siano i veri obiettivi dell’egemonia israelo-americana. Egli si riferisce alla «entità sionista» come a un «cancro» e all’America come al «Grande Satana».
Il motivo antiamericano e antiisraeliano nelle sue conferenze viene esemplificato dallo slogan scandito alla fine di quasi tutti i suoi sermoni: «Morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria per l’Islam». Si tratta di un motto gridato in coro per la prima volta nella scuola Imam Hadi, nelle montagne di Marran il 17 gennaio del 2002. È quasi una traduzione, parola per parola, dello slogan dell’ayatollah Khomeini scritto su quattro righe con due parole per riga, in verde e rosso su uno sfondo bianco, teso a radicare nelle menti dei musulmani come gli Usa siano il terrorista criminale e il male, al pari degli ebrei e dei cristiani, incoraggiando in questo modo i musulmani a prendere posizione contro l’egemonia occidentale nel mondo arabo e a sostenere coloro che combattono l’America e Israele.
A sostegno delle proprie argomentazioni egli citava regolarmente le dichiarazioni dell’Imam Khomeini, ad esempio attribuendo a quest’ultimo il merito di aver fatto riferimento agli Stati Uniti come al «Grande Satana», citando inoltre la sua opinione secondo cui «l’America e Israele stanno pianificando di conquistare i luoghi santi». Tutto ciò induce pertanto a considerare l’Iran un esempio di forza nel mondo musulmano rispetto ai suoi omologhi arabi sunniti. Riguardo invece a Hezbollah, Hussein al-Houthi li descriveva come i «capi dei mujahidin in questo mondo, quelli che presentano i martiri, quelli che conservano veramente l’acqua del volto della umma». [¹⁴]
IL MOMENTO DI ABD AL-MALIK
Sebbene Hussein non sostenga il rispetto degli editti della marja’iya iraniana o gli atti del vilayat-e faqih, i suoi riferimenti all’Iran e a Hezbollah si basano sull’idea che essi siano i pilastri dell’opposizione all’egemonia occidentale nel mondo arabo. Non ha mai esplicitamente invitato i suoi seguaci a prendere le armi contro lo stato yemenita, piuttosto sembrerebbe essere maggiormente interessato a confrontarsi con i nemici «ebrei» dell’Islam. Egli esprime certamente il suo sostegno a gruppi come Hezbollah, mentre al momento in cui intervenne in questo modo ancora non esisteva un’organizzazione strutturata degli houthi.
Si è recato in Iran e ha visitato Qom allo scopo di comprendere le ragioni alla base del successo della Rivoluzione islamica, nonché l’evoluzione di Hezbollah, questo mentre, dal canto loro, alla fined egli anni Novanta sciiti libanesi e iracheni visitarono lo Yemen per studiare nei “centri Houthi”, oltreché per stabilire centri di formazione in stile Twelver (Hussenias) nella regione. Nel giugno 2004 il governo dello Yemen ha tentato di eliminare la minaccia costituita dagli Houthi arrestando e poi uccidendo Hussein al-Houthi in quanto «rappresentante dell’Iran». Questo ha scatenato il conflitto armato e, seppure nel settembre 2004 il governo abbia dichiarato la vittoria, Saa’da e i governatorati limitrofi negli anni a seguire sono rimasti interessati dai combattimenti.
Abd al-Malik al-Houthi, giovane leader succeduto alla guida del movimento dopo l’assassinio di suo fratello Hussein, si è imposto quale capo ideologico del gruppo in virtù dell’eredità ricevuta da suo padre e suo fratello. Così, mentre l’organizzazione degli houthi doveva ancora sviluppare un’ideologia concreta, nel 2010 alcuni membri del gruppo già elaboravano concetti organici. [¹⁵]
Ad esempio, il ricorso all’anashid militante («inni», dal singolare nashid) nei video che lo ritraevano contribuivano a conferirgli una posizione ancora più in linea con i modelli di resistenza derivanti da Hezbollah. Le immagini dei combattenti houthi col sole sullo sfondo tracciano un parallelo ulteriore con gli altri gruppi jihadisti sciiti, fornendo legittimità spirituale agli Houthi quale organizzazione jihadista sciita. Gli opuscoli di propaganda distribuiti nelle zone di guerra, propagandanti l’importanza del jihad resero meglio l’immagine di un’organizzazione militante.
UNA ORGANIZZAZIONE STRUTTURATA
In un’intervista concessa nel 2008, ‘Abd al-Malik dichiarò che la corrente houthi era espressione della solidarietà popolare, «che si mobilita pacificamente per opporsi all’attacco israelo-americano al mondo islamico e diffondere la cultura coranica di fronte all’assalto intellettuale».
Secondo gli esperti della RAND, nel 2010 si rinvenivano alcune indicazioni che gli houthi fossero nelle condizioni di passare a un modello organizzativo più strutturato, anche in forma autonoma, evidenziando «rudimenti ideologici che iniziavano a consolidare un senso di identità tra i seguaci mediante rituali di gruppo». Gli analisti conclusero infatti che, mentre era improbabile che ‘Abd al-Malik trasformasse completamente l’organizzazione in un partito politico, avrebbe comunque potuto eventualmente mantenere una propria ala politica all’interno del gruppo, legittimandola nelle forme di una forza interna allo Yemen sul modello di quella cementata in Libano da Hezbollah nel 1990 e da Hamas nei Territori palestinesi dopo il 2000. [¹⁶]
Nelle sue dichiarazioni ufficiali l’Iran ha iniziato ad affrontare il tema delle violenze in corso a Sa’da alla fine del 2009. In un «suggerimento» all’Arabia Saudita, il ministro degli esteri della Repubblica Islamica avvertì tutti gli Stati di rispettare la sovranità dello Yemen, ribadendo la volontà iraniana di partecipare alla risoluzione del conflitto, questo mentre il ministro della Difesa criticava sia lo Yemen che l’Arabia Saudita affermando che «non esisteva una soluzione militare al conflitto».
Dal momento dell’intervento saudita nello Yemen, iniziato nel novembre del 2009, la stampa di Teheran ha concentrato sempre maggiormente le proprie attenzioni sul conflitto in atto. All’inizio del 2010, la guerra degli houthi e la stabilità yemenita divennero una priorità per Teheran, anche nel quadro complessivo della rivalità con l’Arabia Saudita per l’egemonia a livello regionale. Alla RAND sono state accuratamente valutate le relazioni intercorrenti in quella particolare fase tra Arabia Saudita e Iran, con il risultato di un possibile rapido deterioramento di esse qualora fossero emerse prove concrete riguardo ai rapporti di Teheran con gli houthi.
Se il conflitto fosse continuato e il movimento houthi si fosse evoluto in un’organizzazione in grado di erogare anche dei servizi sociali alla popolazione, esso avrebbe potuto ricalcare il modello degli Hezbollah e di Hamas. E ciò avrebbe potuto intensificare le speculazioni sui contatti iraniani con il gruppo, incrementare la disponibilità dei propagandisti di Teheran a considerare gli zayditi come «sciiti al-Houthi» e, infine, ridurre le prospettive di soluzione del conflitto.
IL MOVIMENTO HOUTI DOPO LA CADUTA DI SALEH
Abdulelah Taqi sostiene che la strategia propagandistica degli Houthi ha avuto sviluppato dalla battaglia tra l’allora regime in Yemen e gli Houthi alla metà del 2004, essa, egli afferma, racchiude «i segni distintivi dell’azione di propaganda del movimento libanese Hezbollah nei suoi discorsi e nel suo formato». Infatti, l’attuale leader Abdul-Malik pronuncia i suoi discorsi ispirandosi alle «esibizioni del segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, che imita nel tono, nei modi e nelle parole». [¹⁷]
Interpellato nel 2009 riguardo al legame intercorrente tra l’Iran e i ribelli, il religioso houthi Issam al-Imad, paragonò il leader del gruppo, Hussein al-Houthi, a quello di Hezbollah Hassan Nasrallah. [¹⁸] [¹⁹]
Nel novembre del 2015 Abdul-Malik ha accusato Israele e gli Usa di essere dietro la guerra saudita contro lo Yemen, poi, in dicembre, ha dichiarato che «Israele cerca di asservire i musulmani». In un discorso pronunciato nel maggio del 2016 in commemorazione del dodicesimo anniversario dell’uccisione di Hussein al-Houthi, ha affermato: «È risaputo che tutto ciò che sta accadendo nella nostra regione serve l’interesse di un partito: i sionisti e il Usa (…) La lobby sionista sta agendo con dispetto, pianificando molti degli schemi contro la nostra nazione, suscitando guerre civili e creando crisi». [²⁰]
Nell’aprile 2017, Abdul-Malik ha dichiarato che «gli Usa e il regime israeliano sono due facce della stessa medaglia e insieme cercano di distruggere lo Yemen attraverso una brutale campagna militare lanciata dall’Arabia Saudita».
Egli ha poi aggiunto che «quando qualcuno dice che Israele è una minaccia per la nostra nazione, gli Stati Uniti e i suoi alleati affermano di esserne i sostenitori e, sulla base di questa falsa giustificazione, (Washington e i suoi alleati) prendono di mira chiunque non accetti di adottare un atteggiamento ostile nei confronti dell’Iran». [²¹]
IL SOSTEGNO DI HEZBOLLAH
Quale chiara conferma delle loro inclinazioni ideologiche, i leader houthi nominarono Beraas Shams al-Din Muhammad Sharaf al-Din nuovo mufti per servire come principale autorità religiosa a Sana’a. Sharaf al-Din aveva studiato in Iran e si ritiene che sia uno dei legami più importanti tra Teheran e il movimento houthi. [²²]
Secondo la giornalista Erika Solomon, sulla base di interviste con un funzionario houthi e fonti vicine a Hezbollah, la relazione risalirebbe a diversi anni fa, poiché i combattenti della milizia sciita filoiraniana libanese affermano di aver svolto un ruolo più attivo sul campo in Yemen. Un funzionario houthi a Beirut ha altresì dichiarato che le relazioni con il movimento libanese sono in corso da oltre un decennio, mentre un comandante di Hezbollah ha affermato che houthi e militanti della sua organizzazione si sono addestrati congiuntamente negli ultimi dieci anni in Iran, quindi in in Libano e in Yemen. Hezbollah ha anche contribuito alla realizzazione del canale televisivo houthi Al-Masira, che ha la sua sede nella periferia meridionale della capitale libanese, una zona che è sotto il controllo del Partito di Dio.[²³]
Due esponenti di Hezbollah hanno inoltre testimoniato riguardo alla presenza di centinaia di addestratori e consiglieri militari libanesi e iraniani nello Yemen, con i secondi che, probabilmente, si occupano delle batterie missilistiche e degli altri sistemi d’arma, mentre i combattenti di Hezbollah in veste di «esperti di guerriglia», ponendo a fattor comune «esperienza e ideologia». Essi considerano la lotta nello Yemen come un riconoscimento del fatto che la loro organizzazione di appartenenza è ormai un’entità presente nella regione «ovunque gli oppressi ne abbiano bisogno», poiché – affermano – Hezbollah è la scuola dove ogni uomo in cerca di libertà vuole imparare». [²⁴]
A metà del 2014, nello Yemen sono stati arrestati elementi di Hezbollah e dell’IRGC che avevano aiutato i ribelli houthi nel sud del Paese. Nel settembre di due anni dopo, il presidente yemenita Hadi è stato però costretto a liberare un certo numero di membri dell’IRGC e di agenti di Hezbollah sotto la pressione degli Houthi, che avevano assunto il controllo di Sana’a. Inoltre, all’inizio del 2016, elementi dell’IRGC erano stati tratti in arrestato al momento del loro arrivo all’aeroporto della capitale, giunti nello Yemen allo scopo di addestrare gli houthi. [²⁵]
Recentemente, Mehdi Taeb è stato citato per aver affermato che «la fornitura iraniana di missili agli houthi è stata effettuata in più fasi dalle Guardie rivoluzionarie grazie al supporto e all’assistenza fornita dalla marina di Teheran». Egli ha poi accusato il presidente iraniano Hassan Rouhani di ostacolare le continue spedizioni di armi agli houthi per paura che gli americani sospendano i negoziati sull’accordo nucleare. [²⁶]
Gli houthi sono stati regolarmente accusati anche da molti zaydi di essere segretamente convertiti o seguaci della setta Twelver, che è la religione ufficiale in Iran. [²⁷]
Le stazioni radiofoniche e televisive affiliate agli houthi ricorrono a connotazioni religiose associate al jihad contro Israele e gli Stati Uniti, definendo l’Arabia Saudita uno stato fantoccio degli Usa. Il brigadier generale dell’IRGC, Hossein Salami, ha dal canto suo affermato che: «Ansarollah è una copia realizzata a somiglianza dell’Hezbollah libanese in un’area di importanza strategica». [²⁸]
MINACCIA DIRETTA A ISRAELE
Un recente rapporto redatto dall’American Enterprise Institute (AEI) stima che l’Iran potrebbe schierare capacità militari più avanzate nello Yemen a sostegno del movimento houthi, incluse armi sofisticate e consiglieri afgani e sciiti, sulla base del modello precedentemente sviluppato in Siria. In esso si afferma che il movimento al-Houthi non fa parte dell’Asse della Resistenza, come lo descrivono i funzionari iraniani. L’Iran potrebbe incrementare il suo impegno nello Yemen qualora il sostegno fornito dagli Usa alla coalizione guidata dai sauditi giungesse a minacciare la sopravvivenza della fazione al-Houthi – Saleh. Gli analisti dell’AEI raccomandano a Washington di lavorare al fine di evitare l’isolamento degli houthi e di concentrarsi sulla riduzione della loro dipendenza da Teheran. [²⁹]
Tuttavia, la stessa AEI considera «il dispiegamento di forze interoperabili per procura quale parte dell’evoluzione in Iran di una forma di guerra ibrida che gli consentirà di proiettare una forza significativa lontano dai suoi confini, alterando fondamentalmente l’equilibrio di potere nella regione». [³⁰]
Questo è esattamente il tipo di strategia che deve motivare gli Stati Uniti a contrastare le ambizioni e l’aggressione di natura egemonica poste in essere dall’Iran. Sulla base di questa valutazione il processo di radicalizzazione del movimento houthi ha preso avvio molto prima, come descritto in questo articolo, ed è più profondo di quanto valutato dagli esperti dell’AEI. Una presenza fisica iraniana basata su una cooperazione strategica con gli houthi, sia terrestre che navale, nei porti yemeniti del Mar Rosso, il controllo dello stretto di Bab el-Mandeb e la minaccia alla libera navigazione dal porto meridionale israeliano di Eilat rappresentano una minaccia diretta alla sicurezza e agli interessi di Israele.
Inoltre, questo progetto consentirà all’Iran di circondare completamente Israele alle frontiere libanese, siriana, della Striscia di Gaza e, adesso, anche yemenita, elevando il livello della sfida in campo terrestre e navale per lo Stato ebraico.
Va ricordato che negli anni Settanta e Ottanta lo Yemen ha costituito un’importante piattaforma e un rifugio sicuro per le organizzazioni terroristiche palestinesi, principalmente per il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), ma anche per alcune organizzazioni della sinistra radicale europea (principalmente tedesche), che organizzarono attacchi mortali contro obiettivi israeliani, ebrei e occidentali in Europa.
È significativo che il primo attacco navale terroristico compiuto dai palestinesi contro Israele sia stato organizzato dal FPLP contro la petroliera, registrata in Liberia, Coral Sea nello stretto di Bab el-Mandeb il 4 giugno 1971. In quell’occasione i terroristi da bordo di un motoscafo lanciarono contro la nave dieci razzi a carica cava RPG, provocando alcuni danni. Mediante quell’attacco si perseguiva lo scopo di dissuadere le petroliere dall’utilizzare il porto israeliano di Eilat.
Gli Houthi, Hezbollah e altri «combattenti stranieri» sciiti potrebbero usare una presenza territoriale nello Yemen per minacciare gli interessi israeliani, americani e occidentali nella regione e oltre, in modalità simili a quelle alle quali ha fatto ricorso Al-Qaeda nella Penisola araba (AQAP).
NOTE
[¹] Relazione finale del gruppo di esperti sullo Yemen del 27 gennaio 2017, indirizzata al Presidente del Consiglio di sicurezza il 31 gennaio 2017.
[²] “Gli Stati Uniti dispiegano cacciatorpediniere missilistici al largo della costa yemenita dopo l’attacco a una nave da guerra saudita. Report”, RT News, 4 febbraio 2017.
[³] “Gli Houthi dello Yemen attaccano una nave saudita e lanciano un missile balistico”, Reuters, 31 gennaio 2017.
[⁴] Ephraim Sneh, “Cosa significano per Israele le recenti mosse degli Houthi nel Mar Rosso”, Al-Monitor Israel Pulse, 7 novembre 2016.
[⁵] Relazione finale presentata dal gruppo di esperti delle nazioni Unite sullo Yemen.
[⁶] Vedere la nota [²].
[⁷] Shahir Shahid Saless, “L’Iran controlla davvero lo Yemen?”, Al-Monitor Iran Pulse, 12 febbraio 2015.
[⁸] Khalid Al-Karimi, “Al-Bukhaiti allo Yemen Times: ‘L’acquisizione degli Houthi non può essere definita un’invasione’”, Yemen Times, 21 ottobre 2014.
[⁹] Y. Mansharof e E. Kharrazi, “Il sostegno dell’Iran alla ribellione degli Houthi nello Yemen: ‘Senza l’Iran non ci sarebbe alcuna guerra in Siria e Ansar Allah non sarebbe mai emerso'”, inchieste e analisi MEMRI, n.1.155 del 20 aprile 2015.
[¹⁰] Katherine Zimmerman, “Pushing Back on Iran: Policy Options in Yemen”, Critical Threats, American Enterprise Institute, 7 febbraio 2017.
[¹¹] Questo capitolo si basa in gran parte sul lavoro svolto da Barak A. Salmoni, Bryce Loidolt e Madeleine Wells nel corso del seminario del 2010 “Regime and Periphery in Northern Yemen. The Houti phenomeno”, serie di monografie della RAND Corporation, 2010.
[¹²] Regime e periferia nello Yemen settentrionale: il fenomeno houthi.
[¹³] Ibidem.
[¹⁴] Ibidem.
[¹⁵] Ibidem.
[¹⁶] Ibidem.
[¹⁷] Abdulelah Taqi, “Propaganda Houthi: seguire le orme di Hezbollah”, The New Arab, 12 aprile 2015, su https://www.alaraby.co.uk/english/comment/2015/4/12/houthi- propaganda-seguendo-sulle-orme-di-hezbollah
[¹⁸] David Schenker, “Chi c’è dietro gli Houthi?” Standard Weekly, 22 febbraio 2010.
[¹⁹] Yossi Mansharof e E. Kharrazi, “Il sostegno dell’Iran alla ribellione degli Houthi in Yemen”.
[²⁰] Bymaayan Groisman, “Leader Houthi: Israele partecipa all’aggressione contro lo Yemen”, The Jerusalem Post, 3 maggio 2016.
[²¹] Paul Antonopoulos, “Houthi Ansarullah leader: Stati Uniti, Israele sono due facce della stessa medaglia”, Al-Masdar Al-‘Arabi, 24 aprile 2017.
[²²] “Gli Houthi dello Yemen nominano un nuovo Mufti istruito in Iran”, Al Arabiya English, 14 aprile 2017.
[²³] Erika Solomon, “Hezbollah del Libano e Houthi dello Yemen si aprono sui collegamenti”, The Financial Times, 8 maggio 2015.
[²⁴] Ibidem.
[²⁵] Lt. Col. (a riposo) Michael Segall, “Come l’Iran vede la caduta di Sana’a, Yemen: ‘La quarta capitale araba nelle nostre mani'”, Jerusalem Issue Briefs, Jerusalem Center for Public Affair, vol. 14, n. 36, 3 novembre 2014.
[²⁶] Saleh Hamid, “Il funzionario iraniano ammette che Teheran ha sostenuto gli attacchi missilistici Houthi contro l’Arabia Saudita”, Al Arabiya, 20 aprile 2017.
[²⁷] “Hothi / Houthi / Huthi. Ansar Allah al-Shabab al-Mum’en / Shabab al-Moumineen (Gioventù credente),” sito web GlobalSecurity.org , all’indirizzo http://www.globalsecurity.org/military/world/para/shabab-al-moumineen.htm
[²⁸] Shahir Shahid Saless, “l’Iran controlla davvero lo Yemen?”.
[²⁹] Maher Farrukh, Tyler Nocita ed Emily Estelle, “Warning Update: Iran’s Hybrid Warfare in Yemen”, Critical Threats Project of the American Enterprise Institute, 26 marzo 2017.
[³⁰] Ibidem.