Per colpire i santuari dei terroristi jihadisti in territorio pakistano, lo scorso fine settimana i caccia MIRAGE dell’aeronautica di Delhi sono decollati dalla una base di rischieramento nella parte nordoccidentale del paese, un luogo non distante dal confine.
Non è chiaro se per portare a termine l’operazione i pianificatori di New Delhi abbiano usufruito delle informazioni fornite loro dell’intelligence americane. Le voci che circolano negli ambienti militari, amplificate dalle testate specializzate propenderebbero per il sì.
Nei sofisticati sistemi di puntamento installati sui jet venduti agli indiani dai francesi sono stati inquadrate alcune strutture logistiche e campi di addestramento dei gruppi armati jihadisti Jaish-e-Mohammed, Hizb-ul Mujahideen e Lashkar-e-Taiba, nella quasi totalità situate tra il Khyber Pakhtunkhwa e le contese province di Jammu e Kashmir.
Un raid scatenato a seguito di una pericolosissima fase di innalzamento della tensione tra i due storici nemici, rialimentata dal sanguinoso attentato suicida compiuto da un terrorista islamista appartenente al gruppo Jaish-e-Mohammed, che il 14 febbraio ha provocato la morte di quaranta agenti della Central Reserve Police Force in servizio nel distretto di Pulwama, nel Kashmir indiano.
Pre-emptive War, così vengono definiti questi attacchi, azioni intraprese in «via preventiva» per evitare, come hanno prontamente dichiarato le fonti governative di New Delhi, nuovi attentati terroristici, tanto è vero che – sempre secondo le fonti indiane – tra gli islamisti radicali eliminati dalle bombe tipo Spice 2000 figurerebbe anche Maulana Yousuf Azhar, cognato di Masood Azhar, leader del gruppo responsabile dell’attacco nel Pulwama. Ma il portavoce delle forze armate pakistane ha smentito la versione fornita alla stampa dagli indiani, sostenendo che l’attacco non avrebbe causato vittime e che le bombe sarebbero state sganciate in un’area disabitata. Tuttavia, il raid dei jet militari indiani – preventivo o ritorsivo che sia – riveste comunque una sua inquietante particolarità: è il primo effettuato in territorio pachistano che si registri dalla fine della guerra del 1971.
Il fatto che Islamabad non abbia reagito duramente, come ci si potrebbe attendere, è dovuto con ogni probabilità alla sorpresa con la quale è stato colto il suo sistema di difesa. Infatti, i pakistani erano certi di una risposta all’attentato stragistico jihadista, ma non se lo aspettavano lì dove invece hanno colpito gli indiani, bensì nel Kashmir. A questo punto, la Pakistan Air Force non ha potuto fare altro che far decollare in ritardo i suoi caccia. Come però era prevedibile, l’escalation, una volta avviata, ha proceduto nel suo corso ed è di oggi la notizia dell’abbattimento di due velivoli militari indiani da parte pakistana, con i piloti scampati alla morte ma catturati dal nemico.
E come sempre accade in questi casi, in parallelo ai combattimenti nei cieli dei due Paesi confinanti si assiste al balletto delle cifre diffuse dagli organi di propaganda di entrambi i governi, con informazioni contrastanti immesse in tempo reale nel circuito mediatico internazionale. La tensione è irrimediabilmente alta, seppure la crisi riesca a essere mantenuta sotto un relativo controllo. Al riguardo va rilevato che i due contendenti sono potenze nucleari regionali, dunque una escalation completamente fuori dal loro controllo potrebbe condurre a conseguenze estreme, è per questo che esistono condizionalità nelle risposte che vengono rispettate da entrambi, mantenendo lo scontro armato all’interno di una cornice di proporzionalità.
Una delle conseguenze del nuovo pericoloso attrito è stato il propagarsi dei combattimenti anche alla dimensione terrestre, dove è stata interessata la cosiddetta Line of Control che separa i due paesi. Il copione è noto: scambi di colpi di artiglieria e popolazione che prende d’assalto le rivendite di generi alimentari per procurarsi delle scorte in vista di un peggioramento della situazione.
Nel frattempo, per ragioni di sicurezza sia il Pakistan che l’India hanno chiuso i loro spazi aerei ai voli civili, Islamabad lo ha fatto su tutto il territorio nazionale, mentre Delhi si è limitata al settore settentrionale del paese. India e Pakistan escludono categoricamente che dagli attuali scontri armati si possa scivolare in un ennesimo conflitto per il Kashmir, tuttavia la situazione diviene sempre più critica.
Il ministro degli esteri indiano, la signora Sushma Swaraj, ha dichiarato che Delhi non vuole un’ulteriore escalation col Pakistan e che il raid non è stata un’operazione militare, ma un attacco preventivo contro i terroristi jihadisti. Il gabinetto del premier pachistano Imran Khan ha emesso un comunicato di tenore diverso, indicando le ragioni reali alla base del raid aereo, un’operazione finalizzata a «uso e consumo interno» in vista della campagna elettorale indette per il prossimo maggio.
Il premier pakistano ha comunque voluto spendere parole di distensione, affermando di comprendere la rabbia indiana per l’attentato di due settimane fa nel Kashmir, offrendo la collaborazione nelle indagini e invitando alla ragionevolezza.
Medesimo atteggiamento conciliante nella successiva replica di Sushma Swaraj: «L’India non vuole vedere un’ulteriore escalation di questa situazione e, quindi, continuerà ad agire responsabilmente e con moderazione».
In seguito anche Washington ha fatto sentire la sua voce, invitando i due belligeranti alla moderazione. Il segretario di stato Mike Pompeo a parlato al telefono con i primi ministri dei due stati.